Affitto breve o tradizionale: quale conviene davvero nel 2025 con tasse e costi in aumento
- Postato il 5 novembre 2025
- Di Panorama
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Per diversi anni gli affitti brevi sono stati considerati la nuova frontiera del mattone. Airbnb, Booking e altre piattaforme avevano trasformato il proprietario di casa in un piccolo imprenditore. Oggi la situazione sta cambiando rapidamente.
Tutto nasce dalla Legge di Bilancio 2025, che prevede l’aumento della cedolare secca dal 21 al 26% sugli affitti brevi. Una misura pensata per «fare cassa» ma che, nei fatti, potrebbe ridurre la convenienza di questo tipo di locazione. L’unica eccezione rimarrebbe per chi affitta una sola abitazione senza passare da piattaforme online.
Tasse, costi e burocrazia: cosa resta?
Ecco un quesito che attanaglia molti italiani. Al netto delle tasse, delle commissioni e delle spese, il guadagno effettivo di chi affitta per brevi periodi si è ridotto drasticamente.
Secondo le stime più recenti, infatti, solo il 25% degli incassi lordi resta realmente al proprietario. Il resto finisce tra Imu, cedolare, utenze, Tari, costi di pulizia, manutenzione e commissioni delle piattaforme (fino al 15%). Facciamo un esempio pratico: su 100 euro incassati per notte, al proprietario ne restano circa 85 dopo la trattenuta della piattaforma. E da lì bisogna ancora eliminare le tasse e le spese.
Il confronto con gli affitti tradizionali
Chi sceglie la locazione ordinaria, nonostante il rischio di morosità e tempi di sfratto lunghi, oggi ottiene un rendimento sensibilmente più stabile. Per un contratto 4+4, il netto reale è circa il 60-65% del canone lordo, che può salire fino al 75% per un canone concordato 3+2.
In confronto, gli affitti brevi difficilmente superano il 25-30% netto: una forbice che sta spingendo molti proprietari a tornare alla formula classica, in particolare nelle grandi città dove l’offerta di alloggi turistici è in calo.
Le principali città italiane
A seconda di dove abitate, naturalmente, l’incasso annuo sarà molto diverso. Vediamo nello specifico come cambia nelle più grandi città d’Italia.
A Milano, l’incasso medio lordo annuo da affitti brevi è di circa 22.000 euro, ma il netto si ferma a 5.500. Con un affitto tradizionale 4+4, invece, il proprietario arriva a oltre 8.600 euro netti. A Roma, dove la domanda turistica è più costante, la differenza è minima: gli affitti brevi rendono 7.540 euro netti, contro i 7.536 del contratto ordinario e 8.536 per il concordato. A Napoli e Bologna, il vantaggio dei contratti tradizionali è ormai evidente, mentre Firenze, nonostante i volumi elevati di turismo, mostra un margine sempre più sottile tra lordo e netto per i brevi periodi.
Ad ogni modo, il capovolgimento improvviso di fronti, con un vantaggio dell’affitto tradizionale rispetto a quello breve, appare evidente in quasi tutta Italia.
Le possibili modifiche
L’aumento della tassazione ha scatenato una bufera politica. Diverse forze della maggioranza, da Forza Italia alla Lega, hanno espresso perplessità sull’aliquota al 26% e propongono di fermarsi al 23%, o addirittura di abbassare al 15% la cedolare sugli affitti a lungo termine per incentivare la locazione stabile.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lasciato intendere un’apertura a eventuali modifiche: «Bisogna capire se vanno premiate le locazioni per abitazione oppure quelle turistiche per stranieri». Anche Confedilizia, con il presidente Giorgio Spaziani Testa, si è schierata contro l’aumento della cedolare breve, proponendo invece di raddoppiare la riduzione dell’Imu (oggi al 25%) per chi affitta a canone concordato, fino ad arrivare all’azzeramento totale dell’imposta.
La crisi degli alloggi
La stretta fiscale e i costi crescenti stanno riducendo l’offerta di case per turisti, ma non hanno certamente risolto la crisi abitativa nelle grandi città. Le associazioni dei proprietari ricordano che gli affitti brevi rappresentano meno del 2% del totale delle abitazioni italiane, quindi penalizzarli non aumenterà automaticamente la disponibilità di case a lungo termine. Ciò che potrebbe fare davvero la differenza, sostengono gli esperti, è una politica fiscale che premi chi affitta stabilmente e riduca i rischi di morosità, per esempio velocizzando gli sfratti e incentivando i canoni concordati.
Il futuro del mercato
Nel 2025 il mercato immobiliare si muoverà su due binari paralleli (anche se si spera che un giorno si incontreranno): da un lato la domanda turistica, che resta forte ma più selettiva; dall’altro la ricerca di stabilità da parte dei proprietari.
Gli affitti brevi non scompaiono, certo, ma tornano a essere una scelta di nicchia per chi si può permettere di gestire direttamente l’immobile e massimizzare l’occupazione.
Il vero equilibrio, oggi, si può trovare grazie a una gestione consapevole: meno improvvisazione, più calcoli e soprattutto un’attenta valutazione fiscale.