7 ottobre: Israele si sveglia con spari, urla, stupri, tanti morti e rapiti. È il pogrom di Hamas: poi tutto diventa propaganda e la guerra salva il governo

  • Postato il 7 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un certo cabalista noto in ambienti esoterici israeliani già da tempo prediceva l’arrivo del Messia. Ma avvertiva: sarebbe stato preceduto da catastrofi di ogni tipo, pandemia, guerre, attentati, e inimmaginabili avvenimenti di ogni genere. Ci è andato vicino. Il Covid che come catastrofe non scherza, è stato solo l’inizio. Poi una prima grande disgrazia per Israele: la caduta del governo Bennet Lapid, le elezioni e il ritorno al comando di un uomo tanto abile quanto cinico e corrotto, circondato da una coalizione da brividi di fascisti, messianici, incapaci e lecchini. Era tornato lui. Benjamin Netanyahu. L’angelo della distruzione. E con lui l’annuncio della temuta riforma giudiziaria. E l’inizio della protesta. Ogni sabato sera, in via Kaplan a Tel Aviv, siamo diventati “i kaplanisti”. Cittadini che manifestavano in modo civile ed educato, senza rompere una vetrina o ferire un poliziotto. Senza cercare lo scontro interno. Almeno all’inizio. Ne avevamo già vissute troppe, di guerre. E se il governo di destra si dichiarava contrario a ogni dialogo o soluzione con i palestinesi, anche noi che la pensavamo diversamente eravamo stati sedotti dall’idea che si potesse continuare a vivere tranquillamente senza affrontare il problema vero, l’elefante nella stanza.

Poi, esattamente due anni fa, hanno suonato improvvisamente gli allarmi. Un intero paese è sceso nei rifugi. Era iniziata nello sbalordimento generale, la guerra con Gaza. (Più tardi a Hamas si sarebbe unito anche Hezbollah dal Libano). Per ore ci siamo scambiati messaggi tra figli e nipoti e amici e parenti per sapere chi era stato colpito e dove e come, mentre alle redazioni iniziavano ad arrivare disperate richieste di aiuto e negli ospedali file di cittadini si mettevano in fila per donare sangue. Altri cittadini già aprivano le loro case al centro e nord del paese per gli abitanti al confine con Gaza che scappavano terrorizzati. Da mia figlia arrivò dal kibbutz Yad Mordechai la sua migliore amica M. con le figlie e il cane. Al contrario di altri kibbutz vicini, il suo si era salvato per miracolo, malgrado i terroristi avessero tentato di infiltrarsi anche lì. Furono salvati dalla squadra di sicurezza interna a cui apparteneva anche suo marito. Che rimase nel kibbutz per continuare a proteggerlo anche nei mesi seguenti. M. e le ragazze rimasero da mia figlia più di un mese, forse di più, e l’atmosfera in casa cambiò come se una nuvola nera avesse coperto la luce. La tristezza e il trauma erano tangibili. Ogni giorno tornavano da un funerale. Compagni di scuola, alunni della madre. M. era stata l’insegnante di uno dei bambini Brodutch, rapiti con la madre e Abigail, la bimba di tre anni dei vicini. I suoi fratelli, Michael e Amalia, si salvarono chiudendosi in un armadio per sette ore. Abigail riuscì a salvarsi strisciando da sotto il corpo del padre ucciso. Sporca di sangue fu raccolta da Hagar Brodutch che se la portò con sé e i suo figli Ofri, Yuval, e Oriya quando furono presi in ostaggio. Avihai Brodutch, il padre, si piantò invece con una seggiolina di plastica e un cartello davanti al ministero della difesa. Il cartello diceva “rivoglio la mia famiglia”.

Non sorprese nessuno in quelle ore che proprio i gruppi della protesta e della dimostrazione, i “Kaplanisti”, ormai già organizzati ed efficienti, si fossero ripresi per primi dallo choc e fossero stati i più rapidi a muoversi per organizzare i primi aiuti ai disgraziati abitanti dei kibbutz e Moshav della zona di Otef Aza (cioè intorno a Gaza). Anche i generali in pensione della protesta, bollati da Bibi come “anarchici kaplanisti”, tutti signori di una certa età, si presentarono subito a combattere rispondendo senza esitazioni alla muta richiesta d’aiuto. Le vittime, riconosciute col passare dei giorni, arrivarono a 1200 morti e 250 ostaggi, e a migliaia di feriti. Uno di quegli attempati generali, ex vice capo di stato maggiore, deciderà mesi dopo di entrare in politica. È Yair Golan, che creerà il partito dei democratici. I superstiti intanto iniziano a parlare: dei colpi sulle porte di casa, del disperato tentativo di nascondersi e infine della strage: spari, sangue, urli, disperazione, stupri, suppliche. Mogli hanno visto morire i mariti e mariti hanno visto morire mogli, bambini sono rimasti soli e/o rapiti, e poi c’è stato anche il saccheggio, la distruzione, la devastazione. Gli ostaggi. L’attacco di risposta deciso dal premier e dal governo sarà violentissimo. I bombardamenti feroci. Le vittime palestinesi, in numeri paurosi. Poi anche la fame. Tutto diventa rapidamente spettacolo mediatico, propaganda e guerra psicologica. Persa da Israele naturalmente.

Mentre l’apparato di Hamas è rapidissimo e spregiudicato. E non ha regole di alcun genere nella guerra santa voluta da Dio (la jihad). Già in quei giorni si comincia ad avvertire un odio feroce nei confronti di Israele e degli israeliani, prima nei campus americani, poi ovunque nel mondo. Poi l’odio si allarga rapidamente anche verso gli ebrei in generale, (vedi omicidio in Inghilterra durante la preghiera di questo kippur). Nascono in quei giorni anche le idee cospirative come quella che sostiene che non è possibile che i migliori servizi segreti del mondo, il Mossad e lo Shin Bet, non sapessero cosa si stesse organizzando a Gaza praticamente sotto il loro naso. Che era tutto finto, il pogrom un’invenzione israeliana per permettere a Netanyahu di iniziare la strage dei gazawi. Pensavo che quelle ore, quei primi giorni, fossero stati tra i peggiori mai vissuti nella mia vita. E mi sbagliavo. Ci sarebbe stato di peggio. Per me gli eventi successivi sono diventati un’unica massa di immagini e parole. Non ne ricordo le date.

Solo le sensazioni: l’uccisione dell’arci-nemico Nasrallah, quella di Sinwar e fratello, la fuga di Assad da Putin, i 12 giorni di guerra con l’Iran che lasciano il segno in palazzi squarciati dai missili a Tel Aviv. I missili Houthi di giorno e di notte. E i rari momenti di gioia quando gli ostaggi iniziano a tornare dalla prigionia a Gaza. Ma ne restano ancora una ventina nei tunnel di Gaza. Anche le dimostrazioni in Israele aumentano e ce ne sono per tutti i gusti. Da quella soft alla “piazza degli ostaggi” a quella più dura davanti al ministero della difesa, a quella durissima con le foto dei bambini palestinesi morti sotto le bombe a Gaza. A quella a Gerusalemme, la più importante, perché lì risiede il governo e il parlamento. Ma Netanyahu vuole ancora guerra. Finché c’è guerra c’è governo. Idem Hamas, responsabile non meno di Netanyahu della sofferenza del suo popolo. Poi si è mosso Trump. Spero che il suo piano funzioni, perché ciò che vivono le famiglie degli ostaggi, vivi o morti, è uno strazio che non ha fine. Perché i gazawi sono allo stremo. Perché anche noi non ne possiamo più. Perché questa guerra non ha più senso. Se mai le guerre hanno un senso. Perché i problemi di questa terra martoriata vanno risolti una volta per tutte. Odio chiama odio e guerra chiama guerra, e solo la riconciliazione può fermare la spirale. Il Kippur il giorno dell’espiazione e del perdono è appena passato. Abbiamo bisogno di entrambi.

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Il Fatto Quotidiano

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