Zucchero compie 70 anni: la vita e la carriera raccontate da lui
- Postato il 24 settembre 2025
- Di Panorama
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Il 25 settembre spegne settanta candeline Adelmo Fornaciari da Roncocesi (Reggio Emilia), superstar in Italia ma anche nel resto del mondo. Lo dicono i numeri e le tappe della sua carriera: ha venduto oltre 60 milioni di dischi, di cui 8 milioni con l’album “Oro, incenso & birra”, è stato il primo artista occidentale a esibirsi al Cremlino dopo la caduta del muro di Berlino, l’unico artista italiano ad aver partecipato al Festival di Woodstock nel 1994, a tutti gli eventi del 46664 per Nelson Mandela e al Freddie Mercury Tribute nel 1992 a Londra. Sempre nel 1992 Zucchero e Luciano Pavarotti hanno condiviso l’ideazione del gala di beneficenza Pavarotti & Friends.
La sera del 25 settembre Zucchero sarà sul palco per il settimo dei suoi 12 show all’Arena di Verona. Nel 2026 sono invece previste una serie di date negli stadi italiani (biglietti in prevendita dalle ore 14.00 di lunedì 29 settembre).
Zucchero ha suonato in 5 continenti, 69 Stati, 650 città, toccando destinazioni uniche come Oman, Mauritius, Thaiti, New Caledonia, Armenia, Nuova Zelanda e molte altre. Nel 2004 si è esibito alla Royal Albert Hall di Londra ospitando sul palco colleghi di grande fama internazionale, tra cui Luciano Pavarotti, Eric Clapton, Brian May, Solomon Burke e Dolores O’Riordan.
In occasione del suo settantesimo compleanno abbiamo raccolto aneddoti e storie di vita racchiusi nelle interviste rilasciate a Panorama nel corso degli anni. Buona lettura.
Gli esordi con i Lords Flowers: «Il primo tour l’ho fatto nelle canoniche dell’Emilia la domenica pomeriggio. Eravamo i Lords Flowers, cioè io, un mio amico delle elementari piuttosto cicciottello e una ragazzina con le treccine che avrei voluto fosse la mia morosa. A quei tempi, ero snello, magro come una acciuga…. Avevamo una sola locandina fatta a mano: la attaccavo alla porta della chiesa la mattina, poi la staccavo e me la riportavo a casa» ricorda Zucchero» Che tempi! Era un’Emilia alla Don Camillo e Peppone: mio zio marxista duro e puro che discuteva tutti i giorni davanti al pozzo pubblico con il prete soprannominato Don Tagliatella. Erano su fronti radicalmente opposti, ma si rispettavano»
Luciano Pavarotti: «Una volta Luciano Pavarotti, dopo un pranzo a casa sua, mi disse “Ciccio, lo conosci uno che si chiama Bono? Bene, chiamalo e digli di venire a cantare al Pavarotti & Friends a Modena”. Alzai il telefono e glielo passai»
Eric Clapton: “Vieni qui che stasera cantiamo insieme Tearing us a part, il mio pezzo che ha interpretato anche Tina Turner”. Gli risposi “ok, vengo, ma dobbiamo provarlo e ho bisogno che sul palco davanti a me ci sia il testo della canzone a caratteri cubitali perché non sono sicuro di ricordarmi tutte le parole”. Mi misi in viaggio ascoltando a nastro Tearing us a part. Una volta arrivato, scoprii che non c’era il tempo materiale per fare il soundcheck. Eric non si scompose: “Tutto bene, la proviamo in camerino”. “Tutto bene un cavolo”, fu la mia risposta. Poi salii sul palco e andò alla grande. La stessa cosa mi è capitata con gli U2 a Torino. Andai per vedere il concerto e loro mi coinvolsero nel finale in I still haven’t found what I’m looking for. Anche lì la provai in camerino. Da solo mentre loro erano già sul palco…».
Miles Davis: «Eravamo a New York e Miles doveva registrare la sua parte in Dune Mosse. All’inizio non ci capimmo sulla tonalità del brano. “What the fuck are you doing?” mi urlò. Era davvero spigoloso, introverso, sempre vestito di nero con gli occhiali neri. Non rideva mai… Io mi difesi dicendo che sapevo quel che facevo perché il brano l’avevo scritto io. Ci capimmo, lui si alzò, appoggiò le dita sulla mia gola e disse: “Hey, mi piace la tua voce”. In un’altra occasione, a Bolzano, Miles Davis mi invitò a pranzo perché voleva che scrivessi dei testi su due suoi brani blues. Mi diede un nastro, ma fu impossibile metterci sopra delle parole perché non erano brani veri e propri, ma improvvisazioni complicatissime. Poco dopo, morì. Conservo ancora la cassetta con quei due pezzi. Ai tempi, qualcuno arrivò a ipotizzare che per convincerlo a suonare nel mio disco gli avessi regalato una Ferrari. Figuriamoci: in quel periodo non avevo nemmeno gli occhi per piangere».
Zuccherino: «Così mi chiamavano i paesani di Roncocesi, in Emilia, dove sono nato. Il classico borgo con la chiesa e la cooperativa dove tutti si conoscevano. Lì hanno iniziato a chiamarmi Zuccherino perché ero un bambino dolce anche se un po’ birichino, destinato a diventare un trascinatore, ma sempre molto sensibile e romantico. Ho capito di recente che invecchiando, le radici, anziché accorciarsi, si allungano. E quell’affresco fatto di granai, profumi di fiori e contadini mi manca molto. Oggi, come dico nel mio ultimo album, siamo, chi più chi meno, vittime del “cool”. Nessuno si manifesta per quel che davvero è, c’è un’esigenza di apparire, di dare l’impressione di essere sempre il numero uno. Ecco perché ho scelto di vivere su un cucuzzolo dell’Appennino tosco-emiliano, dove se ho bisogno andare in paese ci vado con i jeans e gli stivali. Posso dire che non era questo il mondo che sognavo da bambino. Ho vissuto un’infanzia stupenda, in una comunità dove ci si sentiva abbracciati e benvoluti».
Aretha Franklin: «Fui istigato da Luciano Pavarotti e da uno dei responsabili dei Grammy Award. Tutto avvenne durante le prove generali a porte chiuse della sua esibizione. Aretha, volendo fare un omaggio a Luciano, aveva deciso di interpretare il Nessun dorma. Solo che, non essendo italiana, sulla parola “vincerò”non beccava mai l’accento giusto mandando fuori tempo l’orchestra. “I’m not gonna sing like this” urlava incazzata sbattendo il microfono per terra. Il giovane direttore era nel panico, sbiancato. A quel punto, Luciano mi disse: “Vai e dille dove sbaglia. Sei matto? Quella mi manda al diavolo, fu la mia risposta… Poi, a convincermi, ci si mise anche il funzionario dei Grammy che senza esitazioni profetizzò: “Guarda che lei è una professionista, vedrai che apprezzerà molto il tuo suggerimento”. Così, poco convinto, e un po’ coglione, andai. “Sorry Aretha…”. Si infuriò e mi disse: “Tu che cosa fai per vivere?” E io: “Il musicista”. “Ecco, bene, allora tu fai il tuo lavoro che io mi occupo del mio”. E continuò a sbagliare accento. Il giorno dopo, al momento della foto ufficiale per i Grammy non volle posare di fianco a me e si mise vicino a Luciano: la fine del mio sogno di duettare con Aretha».