Zaiastan, un’isola e non molto felice. Il modello nord-est non si è evoluto
- Postato il 24 novembre 2025
- Di Il Foglio
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Zaiastan, un’isola e non molto felice. Il modello nord-est non si è evoluto
Lo Zaiastan è stato il modello ottimale per il Veneto degli ultimi 15 anni? Dal punto di vista politico i numeri del consenso sono lì ed è difficile contestare l’efficacia delle scelte di Luca Zaia, così incondizionate da fargli meritare l’appellativo di Doge. Ma in campo economico possiamo dire la stessa cosa? Con altrettanta sicurezza si può di rispondere di no. Il governatore del Veneto che si è battuto fino all’ultimo per conquistare sul campo un quarto mandato si è rifiutato pervicacemente di considerare una possibile evoluzione del modello nord-est. E’ rimasto abbarbicato alla tradizione, ha difeso strenuamente il paesaggio dei capannoni e la cultura tradizionale degli imprenditori veneti. Ha cantato le lodi del piccolo è bello senza accorgersi che gli anni intanto passavano e la piccola dimensione diventata sempre di più un limite oggettivo alla crescita. E’ vero che in questo suo posizionamento Zaia è stato spinto anche da una visione che semplicisticamente chiameremmo “etica”. Il Doge sale al potere dopo Giancarlo Galan, un presidente decisamente interventista in economia, ma vista la sua ingloriosa fine Zaia ha scelto di non immischiarsi negli “affari”. Ha optato sistematicamente di restarne fuori, di evitare qualsiasi mischia che gli potesse lasciare una cicatrice, ma per non farsi dare del rinunciatario ha dovuto per forza sostenere la continuità del modello veneto. E’ vero che ha fatto un’eccezione per l’autostrada Pedemontana, visto però quanto costa oggi all’utente sicuramente non è una storia di successo.
Un secondo elemento che in sede di bilancio vale la pena sottolineare è come Zaia alla fine abbia sempre contrapposto la questione veneta a quella settentrionale. Pur appartenendo al campo leghista e quindi – almeno negli anni di Bobo Maroni – alla narrazione di “prima il nord” il Doge ha sempre estrapolato il suo Veneto dal resto delle regioni settentrionali. Quasi fosse vita natural durante un modello autosufficiente anche dal punto di vista economico. Come non esistessero i flussi di merci e di persone. E’ significativo che un tema che lo irrita è quello che si rifà alla fuga dei cervelli, alla straordinaria emorragia di giovani laureati che il Veneto – come le altre regioni del nord – subisce e non da oggi. Il solo fatto di pensare che i giovani talenti veneti potessero guardare alla realizzazione delle proprie chance con un campo decisamente più largo di quello regionale gli faceva e fa venire la mosca al naso. I suoi assessori, ligi a questo credo, non hanno mai cercato sinergie e obiettivi comuni con i colleghi di partito di altre regioni governate dalla Lega o dal centro-destra. In primis la Lombarda, la sorella più grande del Veneto e decisamente più inserita nei grandi flussi dell’economia moderna. Del resto è l’autonomia la policy alla quale ha dedicato la maggior parte del suo impegno e per lui non è stata solo la richiesta di maggiori poteri tolti allo stato. In economia alla fine questa impostazione ha prodotto quasi un’autarchia. E le foto degli ultimi giorni con Massimiliano Fedriga, Maurizio Fugatti e Attilio Fontana sono solo espedienti di campagna elettorale.
In terzo luogo Zaia non ha mai maturato una propria visione dell’economia della conoscenza. E’ arrivato persino a declinare in chiave politica l’innovazione reclamando una maggiore attenzione del mondo leghista ai temi dei diritti civili, in economia però no. La manifattura di oggi è rimasta ai suoi occhi la manifattura di ieri. La necessità di far evolvere il sistema industriale veneto incorporando conoscenza lo ha forse sfiorato ma sicuramente non influenzato. E così nonostante l’Emilia-Romagna fosse a un tiro di schioppo non ha mai voluto vedere che lo stretto dialogo tra industria e università fosse uno dei segreti del modello emiliano. E anche in questo caso ogni volta che in un convegno l’economista di turno sottolineava il sorpasso dei cugini “rossi”, sul viso del Doge appariva una smorfia.
Ora, se come sembra vincerà Alberto Stefani, l’eredità in chiave economica che gli lascerà Zaia non sarà la migliore. Il nuovo governatore dovrà rimboccarsi le maniche e non è detto che anche lui possieda la cultura giusta. Finora in campagna elettorale ha parlato più di sociale che di business, sembra più orientato a favorire una società comunitaria e solidale piuttosto che a fare i conti con le competenze che mancano alle fabbriche, con il capitale umano che scappa e con le università da cui dovrebbero nascere una sfilza di start up (e non succede).
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