Yayoi Kusama, la donna dei pois: a Basilea la mostra che celebra 10 anni di infiniti punti
- Postato il 4 novembre 2025
- Di Panorama
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Aveva solo 10 anni, nel 1939, quando disegnò il ritratto della sua giovane madre con gli occhi chiusi e il volto ricoperto di puntini che raggiungevano anche la chioma, estendendosi per tutto il foglio di carta. Un’ossessione quella per i pois che poi diventa cifra estetica e segno di comunicazione profonda per Yayoi Kusama.
All’artista giapponese, tra le più significative del panorama internazionale, nata a Matsumoto, nel 1929, da una famiglia di commercianti di semi (forse da qui la sua passione per i puntini e la natura in genere), la Fondation Bayeler di Basilea dedica una ricca esposizione di oltre 300 opere, di cui 130 mai esposte finora, provenienti da collezioni in Giappone, Singapore, Paesi Bassi, Germania, Austria, Svezia, Francia, Svizzera e soprattutto parte del repertorio personale dell’artista.
Le opere, che occupano più di 10 sale della Fondazione, ricostruiscono non solo il percorso artistico della Kusama, ma anche quello umano di una giovane donna che durante gli anni Cinquanta si trova ad apprendere le tecniche tradizionali della pittura giapponese, ma che dagli anni Sessanta, dal suo arrivo a New York, può finalmente dare sfogo alla sua immaginazione attraverso una grammatica personale e innovativa, arricchita da esperienze performative sempre più radicali. E se il passaggio dal Giappone all’America è segnato dalle meravigliose e oniriche tele dal titolo The Pacific Ocean (1958), tra i primi lavori della serie Infinity Net, l’arrivo a New York coincide con la realizzazione di video e performance che mettono l’artista con il suo corpo in primo piano. Sono gli anni della guerra in Vietnam, delle contestazioni, delle comuni, dell’amore libero e della sperimentazione di nuovi linguaggi da quelli dell’arte al design, alla moda: Yayoi Kusama li pratica tutti, con estrema passione e originalità, come testimoniano le tante fotografie in mostra e i docu-video.
In quegli anni infatti comincia anche a realizzare oggetti come Untitle Chair (1963), una sedia bianca sulla quale si accumulano pezzi di stoffa imbottita che ne impediscono la seduta (da qui la fase artistica Accumulation) e vestiti, sua passione giovanile (aprì anche un negozio di abiti), considerati simbolo di liberazione dalle restrittive norme sociali imposte dalla borghesia.
In questo processo di colonizzazione di ogni oggetto quotidiano, la produzione artistica è cresciuta in maniera esponenziale e continua a farlo. Attualmente da Tokyo, dove Kusama vive i suoi 96 anni dipingendo ogni giorno su tele più piccole, coloratissime e gioiose, in una stanza di una clinica dove ha deciso di risiedere, non distante dalla sua fondazione e dall’atelier.
Molte di queste ultime opere della serie Everyday I pray for love, iniziata nel 2021 fino a oggi, sono presenti nella mostra della Fondation dove si passa, quindi, dall’universo ipnotico dei dipinti infinity-net, ai video del periodo newyorkese, fino all’intensità immersiva delle Infinity mirror room, pensate appositamente per questo allestimento e una delle quali posta nel parco. «Le opere di Kusama non sono fatte soltanto per essere solo osservate, ma anche per essere esperite, in particolare le installazioni spaziali e quelle a specchi che immergono l’osservatore in una sorta di liquido fluttuante. In tal modo Kusama tramuta i conflitti personali in un’esperienza collettiva, la sua arte in un luogo di confronto e consolazione, di forza e vulnerabilità» spiega la curatrice Mouna Mekouar.
Si può guardare, toccare, per esempio i “serpenti” gonfiabili dell’installazione Hope polka dots, si può giocare con gli specchi all’interno delle stanze di vetro e soprattutto ci si può perdere nell’universo ipnotico degli infiniti punti di Kusama: insomma, si rimane avviluppati in un mondo fantastico che, al di là delle banalità sulla presunta malattia mentale dell’artista, rimanda alla linea infinita dell’esistenza tra la vita e la morte.





















