Washington accusa la relatrice ONU Francesca Albanese: «Sostiene il terrorismo, va rimossa»
- Postato il 2 luglio 2025
- Di Panorama
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Secondo documenti interni ottenuti dal Washington Free Beacon, l’amministrazione americana guidata da Donald Trump ha chiesto formalmente alle Nazioni Unite la rimozione di Francesca Albanese dall’incarico di relatrice speciale sui territori palestinesi occupati, accusandola di «antisemitismo virulento», di «appoggio al terrorismo» e di aver «falsamente rappresentato le proprie qualifiche legali». A proposito di questo in Italia il Prof. Riccardo Puglisi dell’Università di Pavia è stato il primo a denunciare il fatto che Albanese, che si è più volte spacciata per avvocato, in realtà non ha sostenuto l’esame per diventarlo. Lo scorso 7 maggio Puglisi su X scriveva: «Francesca Albanese non può iscriversi all’albo degli avvocati semplicemente perché non ha mai dato l’esame da avvocato». Il professore non si è dato per vinto nonostante le istituzioni accademiche abbiano protetto la vicenda della laurea in legge di Francesca Albanese quasi fosse il terzo Segreto di Fatima ma il tempo ha dato ragione a Riccardo Puglisi non nuovo nel difficile compito di sbugiardare sedicenti professori e laureati anche tra le fila giornalistiche.
Nonostante le continue proteste dell’amministrazione statunitense, l’ONU ha confermato l’incarico di Albanese — nota per le sue violente posizioni verso Israele — anche dopo che quest’ultima aveva paragonato il premier israeliano Benjamin Netanyahu ad Adolf Hitler e aveva attribuito a Israele la responsabilità dell’attacco del 7 ottobre compiuto da Hamas. Da allora, Albanese ha persino inviato comunicazioni minacciose ad aziende internazionali esortando a interrompere i rapporti con lo Stato ebraico, sostenendo che altrimenti sarebbero potute incorrere in «responsabilità penali». L’amministrazione Trump ha definito tali lettere come «piene di retorica incendiaria e accuse infondate». I messaggi sono stati inviati a diverse grandi aziende statunitensi, attive nei settori tecnologico, finanziario, manifatturiero e turistico. Le pressioni della relatrice hanno spinto il Dipartimento di Stato a esprimere preoccupazione direttamente al segretario generale dell’ONU António Guterres (suo grande sostenitore) e a sollecitare la rimozione della funzionaria. Secondo la rappresentante americana a interim presso le Nazioni Unite, Dorothy Shea, Albanese avrebbe formulato «accuse estreme», sostenendo che alcune imprese potrebbero essere coinvolte in «gravi violazioni dei diritti umani», «apartheid» e «genocidio». Sempre secondo Shea, Francesca Albanese avrebbe «erroneamente invocato norme imperative di diritto internazionale» per minacciare conseguenze penali a chiunque avesse rapporti con Israele, in quella che Washington definisce «una campagna di guerra economica e politica contro l’economia americana e globale». I messaggi di Albanese sarebbero collegati a un rapporto in fase di stesura per l’ONU, mirato a documentare il coinvolgimento di aziende straniere nei presunti «crimini internazionali» compiuti da Israele. Il rapporto, diffuso lunedì scorso, accusa Gerusalemme di sostenere un’«economia del genocidio» e contiene, secondo Washington, «gravi errori giuridici» che renderebbero il documento «privo di legittimità giuridica» oltretutto «non conforme al diritto internazionale». Shea ha sottolineato che, secondo il diritto internazionale, «le aziende non hanno obblighi vincolanti in materia di diritti umani». Inoltre, ha evidenziato che i presunti errori commessi da Albanese dimostrano la sua «inadeguatezza professionale» e «infondatezza delle sue pretese immunità diplomatiche». Secondo la diplomatica, Albanese avrebbe anche mentito sulle proprie qualifiche legali, dichiarandosi «avvocato internazionale» pur non essendo abilitata alla professione forense.
L’amministrazione Trump sostiene che questa mancanza di trasparenza dovrebbe comportare l’immediata revoca dell’incarico, e critica l’inerzia dell’ONU per averle consentito di «proseguire indisturbata la propria campagna economica contro aziende globali, incluse importanti società statunitensi». Washington paragona l’azione di Albanese alla campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), considerata da Israele e da alcuni governi occidentali come antisemita. Malgrado ciò, le Nazioni Unite hanno dichiarato che Albanese non fa parte dello staff ufficiale dell’ONU e agisce a titolo personale, esprimendo opinioni proprie. In una seconda lettera, datata 2 aprile gli Stati Uniti hanno chiesto con forza la «revoca immediata» del mandato di Albanese, sostenendo che i suoi commenti violano il codice di condotta delle Nazioni Unite, secondo cui i titolari di incarichi speciali devono mantenere «indipendenza, imparzialità e obiettività». Dal canto suo, l’ufficio del segretario generale ha precisato di «non avere competenze dirette sulla gestione dei relatori per i diritti umani, che rispondono al Consiglio per i Diritti Umani (HRC)». Il classico giochetto per mantenerla al suo posto viste le affinità ideologiche con António Guterres.
Le denunce di UN Watch
Lo scorso 1° luglio con una dettagliata analisi giuridica, l’organizzazione per i diritti umani UN Watch ha duramente criticato l’ultimo rapporto presentato da Francesca Albanese, definendolo una «massiccia diffamazione» nei confronti di Israele. Secondo UN Watch, il documento criminalizza lo Stato ebraico, ignorando completamente sia il terrorismo di Hamas sia il rifiuto palestinese di negoziare. L’organizzazione con sede a Ginevra ha pubblicato una valutazione approfondita del rapporto, che a suo dire sarebbe stato redatto con l’obiettivo di «isolare Israele, escluderlo dalla comunità internazionale e minarne l’esistenza stessa». Il testo accusa Israele di essere una «macchina genocida» e invoca misure radicali come boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni globali per limitarne la presenza sullo scenario internazionale. Uno degli aspetti più contestati da UN Watch è la ripetizione del termine «genocidio», presente in varie forme ben 57 volte nelle 38 pagine del documento, a fronte di una totale assenza dei termini «Hamas» e «terrorismo». Nel suo rapporto, UN Watch elenca dieci gravi lacune nella relazione di Albanese, tra cui l’omissione di elementi fondamentali, la distorsione delle politiche israeliane e la demonizzazione delle innovazioni tecnologiche israeliane. L’analisi sottolinea che il documento ignora il contesto di guerra in corso tra Israele e Hamas, iniziato con l’attacco su vasta scala lanciato da Hamas il 7 ottobre 2023, e dimentica il continuo rifiuto del gruppo islamista di porre fine al conflitto restituendo gli ostaggi. Tra le omissioni più gravi, secondo UN Watch, vi è anche il silenzio sulla pratica degli scudi umani utilizzata da Hamas e sul sostegno militare e logistico fornito dall’Iran alle organizzazioni armate palestinesi. Inoltre, il rapporto è accusato di «demonizzare» tecnologie salvavita sviluppate da Israele, come i sistemi di puntamento di precisione impiegati per ridurre i danni collaterali nei conflitti armati, e persino infrastrutture civili come la metropolitana leggera di Gerusalemme, utilizzata sia da cittadini ebrei che arabi.
La fabbrica dei falsi di Francesca Albanese
L’organizzazione documenta anche le gravi imprecisioni nelle affermazioni di Albanese sul controllo israeliano delle risorse a Gaza, affermando che Israele non ha mai imposto un «assedio totale» alla Striscia e ha invece cooperato con la comunità internazionale per garantire l’invio di aiuti umanitari. UN Watch ricorda inoltre che, durante gli attacchi del 7 ottobre, Hamas ha colpito nove delle dieci linee elettriche che collegavano Israele a Gaza, contribuendo all’attuale crisi energetica. Persino la Norvegia, sempre contro Israele, ha preso le distanze da alcune delle richieste contenute nel rapporto. Il ministro delle Finanze di Oslo ha dichiarato che le decisioni in materia di disinvestimento devono basarsi su «dati verificati» e non su «accuse prive di fondamento». Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch, ha commentato duramente: «Francesca Albanese è la prima esperta ONU nella storia a essere stata pubblicamente censurata da Stati Uniti, Francia, Germania e Canada. Con questo nuovo rapporto, intensifica la sua crociata contro l’unico Stato ebraico al mondo, utilizzando l’autorevolezza delle Nazioni Unite per legittimare la sua agenda». E ha aggiunto: «In 38 pagine, il suo rapporto menziona la parola “genocidio” 57 volte, ma non cita mai Hamas, il terrorismo o gli attacchi del 7 ottobre. Questo dice tutto sulle sue intenzioni: demonizzare Israele e offrire impunità ai terroristi responsabili della guerra».