Voyeurismo online e patriarcato digitale: ricatti, foto rubate e il business del corpo femminile

  • Postato il 14 settembre 2025
  • Di Panorama
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Chiusa un sito (lo scandaloso Phica.eu), se ne fa un altro. È una catena di montaggio (senza ironia) ormai. I grandi hub del sessismo non sono solo un italico vizio. Esistono in tutto il mondo, coinvolgono milioni di uomini. In Corea del Sud le donne hanno fortemente protestato contro le molka, microtelecamere posizionate per spiarle nei bagni pubblici o nei camerini dei negozi e mostrare le immagini rubate sul Web. È impresa ardua fermare gli arrapati leoni da tastiera, c’è già chi dice che dopo la chiusura del gruppo Facebook “Mia Moglie”, i 32 mila iscritti siano migrati su un sito analogo, questa volta con l’accesso privato. Eccoli chini sul computer, un po’ come Giancarlo Giannini in Sessomatto (film del 1973): occhialoni spessi e tastiera scivolosa.

Sessismo online, deepfake e il racket del corpo femminile

Gli onanisti del Web se non hanno difficoltà a scambiare foto della moglie ignara in mutande, sull’italiano invece pattinano assai male. Com’è noto, i commenti sono la parte più ributtante del tutto. Anche la più patetica. Ha ragione il regista Guillermo del Toro quando afferma che teme la stupidità, non l’Intelligenza artificiale. Per ora le due cose insieme hanno dato vita ad altri capolavori tra deepfake, fotomontaggi e scatti rubacchiati a influencer e donne della politica. Tutto solo per i vostri occhi su Phica.eu. Portale sbarrato tra molta indignazione. D’altronde era aperto solo da vent’anni con 700 mila iscritti e, secondo le stime di HypeStat, 20 milioni di visite al mese, 600 mila accessi al giorno. Poi, nella migliore tradizione di sesso&soldi, una volta scoperto di essere in vetrina, alle donne veniva proposto un tariffario per essere tolte. Il racket della Topa, come direbbe Mario Cardinali sul Vernacoliere.

Chat, social e il confine che si sposta sempre più avanti

Eppure ciò che è emerso non è nemmeno la punta dell’iceberg. «Niente rispetto a quello che si trova su Telegram», dice un anonimo utente. Dopo le mogli tocca alle figlie, ai figli, ai minori. Un confine che si supera, velocemente. Nel frattempo continueranno a scambiarsi come le figurine Panini fidanzate, cognate (c’è chi supplica in ginocchio di venire cancellato dalle chat vergognose dopo aver postato la foto della parente ignara), topless rubati, momenti di intimità. Anche mentre puliscono la cucina sembra che le donne non possano stare in santa pace (il prurito in stile Malizia non tramonta mai). Brandelli di carne sbranati da commenti luridi, degradanti, perlopiù sgrammaticati, miserevolmente banali.

La cultura del guardonismo e la miseria dei segaioli digitali

«Tua moglie e (testuale) tantissima roba, complimenti», «È come la Fanta, tanta», «Complimenti al cornuto», «Che casaling(u)a», «Alla mia fidanzata piace vedermi montare le sue amiche», «Salve ho una moglie superbona e arrapante, posso garantirvi che è una gran t. fatemi sapere cosa ne pensate». Roba da Taverna del Diavolo a Pian dei Cerri, il famigerato ritrovo dei voyeur, gli “indiani”, come venivano chiamati in fiorentino, prima di diventare i compagni di merende. Un’orgia di pance e dentiere, uno stuolo di libertini da Rsa. Sicuri di un anonimato che si è rivelato alquanto fragile. Miserie borghesi, cronache di poveri segaioli. Il tutto con un sapore acido di già visto.

Patriarcato, violenza simbolica e il “merito” maschile

L’antico peccato di guardare dal buco della serratura. Ed è subito Alvaro Vitali e le docce della Fenech. Un tempo almeno a Genova, sulle alture di Righi, i “coppianti” avevano il coraggio di strisciare dentro ai copertoni come vermi fino alle auto delle coppiette e poi alzare il capino per rubare la vista di qualche amplesso. Ora strisciano sulla tastiera, vomitando banalità triviali. È un mondo oscuro, trasversale, include tutti i ceti sociali, le professioni, livelli di cultura diversi. Hanno bisogno di questi riti barbarici per riconoscersi, confermarsi fra di loro.

Dialogo mancato e il disfacimento del patriarcato

Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza, non ha dubbi: «Sono uomini che si parlano fra loro, che devono dimostrare l’uno all’altro cosa valgono. Invece che misurarselo, come da tradizione, devono far vedere come sono stati bravi a conquistare quella fidanzata dalle chiappe meravigliose.  Questo senza che le donne, nel 99,9 per cento dei casi, siano consapevoli. Se lo fossero e si divertissero andrebbe bene. Invece è una violazione intollerabile».

La questione non è il guardonismo, né si può derubricare a una goliardata, continua la storica femminista: «È come se lo stupro fosse una pratica normale. Finalmente si è mostrato cosa gorgoglia sul fondo. E sul fondo oggi sappiamo che gorgoglia la merda. Sono stati fatti enormi passi avanti, la nostra premier ha rotto tutti i soffitti che restavano da rompere. Eppure non riescono ad accettare che la donna non sia qualcosa da dominare, da possedere, carne da farne l’uso che si preferisce». Papa Ratzinger lo aveva definito magnificamente: «È la perversione del dominio di un sesso sull’altro».

“Non esistono modelli di uscita dal patriarcato”

In questa relazione sempre più complessa una cosa non esiste davvero: «Questo è il disfacimento del patriarcato, non esistono modelli di comportamento che accompagnino all’uscita dal patriarcato. La psicanalista Julia Kristeva diceva che le donne non hanno da ridere quando si disfa un ordine simbolico. È quello cui stiamo assistendo».

Non sono mostri, solo repressi: la cultura del desiderio maschile

Allora dove sono finiti gli uomini? Risponde il sociologo Stefano Ciccone: «È sbagliato liquidarli come una minoranza di maniaci depravati. Esprimono una cultura diffusa, il Web permette di toccare livelli che non si raggiungono normalmente al bar sport. Promette l’illusione di un comportamento senza conseguenze e permette di andare oltre i limiti. Le chat mostrano la miseria della sessualità e del desiderio maschile. Dobbiamo condannare radicalmente questi comportamenti, ma non esserne scandalizzati. Non c’è nulla di trasgressivo, riproducono una cultura vecchia come il cucco».

Insomma torniamo a Lando Buzzanca e Il merlo maschio. Il film (1971) era tratto da un racconto di Luciano Bianciardi, Il complesso di Loth, dove la parafilia del protagonista era di fotografare la moglie (consenziente) per mostrarla agli amici. Nasceva da una reazione alla rivoluzione sessuale, fallita senza appello. Sostituita da un bigottismo di cui le nostre nonne avrebbero riso. Siamo all’oscurantismo del politicamente corretto. Una volta giornali come La Coppia Moderna, Fermoposta o la rubrica “Le Ore liete” sul magazine Le Ore, erano l’approdo per coppie audaci (e consenzienti) in cerca di avventure. In copertina titoli oggi impensabili: «Racchie da letto, brutte di giorno, belle di notte». Nessuno scandalo. Migliaia di foto amatoriali inviate per posta. Incontri tra scambisti che spesso finivano in una mangiata all’autogrill.

Frustrazione, branchi e la ricerca dell’approvazione

Continua il sociologo: «Questi uomini che guardano hanno bisogno del potere della fotografia perché non hanno altre risorse. Sono portatori di un rancore rivolto soprattutto alle donne di potere o successo. È una sorta di vendetta, una rivincita. Vedo una grande frustrazione. Più che scandalizzarci dovremmo dire: «Vivete in un mondo che non esiste più». Le donne desiderano, ricercano il piacere, scelgono. Ma questi maschi preferiscono corpi virtuali da consumare. L’online risponde a una fantasia: avere sesso senza esporsi alla delusione, all’abbandono, alla dipendenza, alla vulnerabilità. Non ci sono orchi, solo repressi. Non dobbiamo cancellare il desiderio, ma dargli un’altra forma. Tra monaci e porci qualcosa in mezzo ci sarà».

Maschilità normale e il rumore di pochi

Ci sono gli uomini, come dice Marco Diso, love coach e autore di Uomini, tutto quello che una donna dovrebbe sapere: «In mezzo ci sono quelli veri, che non si fanno sentire abbastanza, ma che rappresentano la maggioranza. Rispettosi, presenti, capaci di amare. Non lasciamo che il rumore di pochi ci faccia dimenticare come la normalità maschile sia ben diversa. I commenti volgari riguardano chi si nasconde dietro a una tastiera e scrive cose che dal vivo forse non direbbe mai. Poi si aggiunge la forza del branco. Dentro al gruppo le regole cambiano, si cerca l’approvazione adeguandosi a un linguaggio comune. Un commento osceno in quel contesto diventa una “battuta” che rafforza l’appartenenza. Un like, una risata, una reazione. Piccole, ignobili gratificazioni che spingono a reiterare il comportamento. Non c’è nulla di virile, è un meccanismo infantile. Come i bambini che dicono le parolacce per far ridere gli amici. Sono giochi infantili mascherati da virilità».

Intanto questi giochi infantili per l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace sono stupri di gruppo. E si prepara una colossale class action contro siti e social. Il problema è solo uno: «Niente lagne, dovete avere l’orgoglio di denunciare», dice l’avvocato. Ma farsi avanti non sarà affatto facile. Gisèle Pelicot si nasce, non si diventa.

Autore
Panorama

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