Viva Palermo e Santa Rosalia?
- Postato il 15 luglio 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
«Viva Palermo e Santa Rosalia!», grida il sindaco Lagalla nella notte più attesa dell’anno. È il momento in cui la voce si fa rituale, la città si raccoglie e ogni palermitano — credente o no — sente che qualcosa di più profondo vibra nell’aria. Ma quest’anno, a quel grido, la risposta non è stata l’applauso compatto e festante che ci si aspettava. Sono esplosi fischi, forti, chiari, ripetuti. Fischi che hanno attraversato la piazza come una lama. Fischi che non si possono ignorare, perché raccontano molto più di un dissenso momentaneo: raccontano un disagio profondo, un amore disilluso, una città che non riesce più a trattenere ciò che ha nel cuore.
Palermo, la città del culto e della contraddizione, ha smesso — per una notte — di indossare la maschera della festa per far parlare la sua ferita. E lo ha fatto proprio nel luogo più sacro del teatro urbano: i Quattro Canti. Lì dove ogni anno la storia si fa presente, dove il popolo guarda al cielo e grida alla Santuzza la propria speranza, quest’anno ha gridato anche il proprio dolore. E lo ha fatto con fischi. Con un gesto antico e popolare, simbolo di disapprovazione ma anche di coraggio. Di una libertà che — seppur sofferta — resiste. Perché a Palermo, anche chi è stanco trova ancora voce per dire: “Così non va”.
Il sindaco ha reagito con compostezza. Ha detto: “La libera espressione va sempre tutelata”. Parole giuste, forse anche sincere. Ma è nel tono pacato di quella risposta che si avverte tutto lo scarto tra chi amministra e chi vive la città. Una distanza che non si colma con una frase, ma con l’ascolto quotidiano. Con le risposte mancate, con le strade sporche, con le periferie dimenticate, con i giovani che se ne vanno, con i bambini che crescono senza servizi, con gli autobus che non passano, con la sensazione che la politica sia di nuovo — ancora una volta — altrove.
Il Festino è sacro, ma è anche politico. Sempre lo è stato. Da sempre. Lo era nel 1624 quando la peste decimava Palermo e si gridava al miracolo. Lo era negli anni bui della mafia, quando il carro della Santuzza attraversava una città impaurita, ma mai vinta. Lo è oggi, quando sotto la maschera della devozione si cela una rabbia che non è più contenibile. Perché il palermitano ama, ama visceralmente la propria terra, ma ha anche imparato a non tacere più. Non basta la tradizione a coprire la mancanza di visione. Non basta un evento simbolico a nascondere le troppe assenze nella quotidianità.
I fischi a Lagalla non sono solo contro Lagalla. Sono contro un’idea di politica che non abita le strade. Che si mostra solo quando è festa, ma che manca quando la città piange. Sono il segnale di una stanchezza collettiva che riguarda chi da anni attende cambiamenti veri, e non solo restauri scenici. Perché Palermo non vuole più essere spettatrice del proprio declino. Vuole essere protagonista del proprio riscatto.
Eppure, in quei fischi c’era anche un amore tradito. Non erano urla distruttive, non erano cori di odio. Erano il suono ruvido di una città che ama troppo per restare in silenzio. Che ama talmente tanto da non sopportare l’ipocrisia di chi la celebra ma non la serve. Era come se il popolo dicesse: “Non sporcare il nome di Rosalia con parole vuote. Non usare il suo nome per nascondere il malcontento”. Un richiamo alla verità, alla coerenza, alla sostanza.
Il Festino resta un evento meraviglioso. Le luci, il carro, le danze, la folla, il mare che osserva dall’alto di Monte Pellegrino. Ma quest’anno qualcosa si è rotto. Non la devozione, non la fede. Si è incrinata la pazienza. È finito il tempo in cui bastava l’incenso per soffocare il malessere. Adesso Palermo vuole parole nuove. Vuole fatti. Vuole verità. E chiede, anche nella notte della festa, che chi ha il dovere di guidare lo faccia con la schiena dritta e l’orecchio attento.
Rosalia, la santa che ha scelto il silenzio della grotta, si ritrova oggi a fare da eco al grido della sua gente. Lei, che fuggì il potere, che si fece piccola per amore, oggi è testimone di un popolo che non vuole più essere ignorato. Palermo non ha fischiato contro la santa. Palermo ha fischiato per proteggere il suo spirito. Perché Rosalia rappresenta un modo di servire che è l’opposto della retorica. Lei è sobrietà, essenzialità, ascolto. Ed è questo che oggi la città invoca. Una politica che somigli di più alla santuzza e meno ai palazzi.
In molti hanno provato a minimizzare l’accaduto. A dire che si tratta solo di qualche voce fuori dal coro. Ma non è così. I fischi non sono stati un incidente. Sono stati un avvertimento. Un campanello d’allarme che dice che Palermo non si accontenta più. Che ha fame di cambiamento. Che non vuole solo celebrazioni, ma trasformazioni. Che non vuole solo riti, ma diritti.
Forse questo Festino entrerà nella storia non per la bellezza del carro o per l’eleganza della coreografia, ma per quei secondi di tensione in cui la piazza si è fatta specchio della verità. In cui il popolo ha parlato. Non con la violenza, ma con il coraggio. Non con la rabbia, ma con la voce di chi ha il diritto — e il dovere — di dire: basta.
È tempo che la politica ascolti. Che si spogli delle cerimonie e scenda davvero in strada. Che guardi negli occhi i suoi cittadini e chieda: “Come state?”. Che non si rifugi dietro la devozione, ma che la onori con il servizio. Perché Palermo non è una città qualsiasi. È una madre antica e fragile. È un popolo che sopporta da secoli. Ma anche le madri, a volte, si stancano di aspettare.
«Viva Palermo e Santa Rosalia» deve tornare a essere un grido che unisce. Non un proclama vuoto. Deve essere la promessa di una città che si rialza, nonostante tutto. Ma per farlo ha bisogno che le parole tornino carne. Che la politica torni gesto. Che la fede diventi azione. Solo così i fischi potranno trasformarsi di nuovo in applausi. Applausi veri, non imposti. Applausi meritati.
Fino ad allora, Palermo continuerà a parlare. Anche se con un fischio. Anche se nella notte. Anche se davanti alla Santuzza. Perché quando il cuore non viene ascoltato, trova sempre una strada per farsi sentire.
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