Vitamina D e vita più lunga? Le ultime ricerche rivelano tre effetti inattesi
- Postato il 23 novembre 2025
- Lifestyle
- Di Blitz
- 1 Visualizzazioni
La vitamina D come possibile alleata della longevità. Studi recentissimi suggeriscono che questa vitamina-ormone potrebbe avere un ruolo nella prevenzione di alcuni tumori, nel rallentamento dell’invecchiamento cellulare e addirittura nella protezione dopo un infarto.
Questa crescente attenzione nasce dal fatto che, pur essendo facile da ottenere tramite l’esposizione solare e alcuni alimenti, la carenza di vitamina D è una delle più diffuse al mondo. Le stime parlano di un deficit che coinvolge milioni di persone, compresa una larga percentuale della popolazione adulta nei Paesi occidentali.
Alla luce di questi dati, capire se la vitamina D possa favorire la longevità diventa più che un semplice interesse accademico: potrebbe avere un impatto diretto sulla salute globale.
In questo articolo analizziamo tre nuove ricerche che stanno facendo discutere la comunità scientifica e che potrebbero cambiare il modo in cui guardiamo alla vitamina D.
La vitamina D e il possibile ruolo nella prevenzione del tumore al colon-retto

Una revisione scientifica pubblicata ad aprile 2025 ha analizzato ben 50 studi e oltre un milione di partecipanti arrivando a una conclusione interessante: livelli più alti di vitamina D nel sangue sembrano associarsi a un rischio ridotto di sviluppare tumore al colon-retto.
Oltre all’effetto preventivo, la review suggerisce che tra le persone già colpite dalla malattia, la vitamina D potrebbe favorire una sopravvivenza migliore. Questo dato non è ancora una prova definitiva, ma indica una direzione significativa che merita di essere approfondita.
Secondo i ricercatori, il merito potrebbe essere della combinazione di funzioni che la vitamina D svolge a livello cellulare. Da un lato, contribuisce a mantenere un sistema immunitario vigile e capace di riconoscere le cellule anomale. Dall’altro, sembra interferire con i processi infiammatori e con la crescita incontrollata delle cellule tumorali.
Nel dettaglio, la vitamina D potrebbe aiutare a:
-
favorire l’apoptosi, cioè la “morte programmata” delle cellule difettose
-
limitare la proliferazione cellulare anomala
-
modulare la risposta infiammatoria, spesso coinvolta nello sviluppo di tumori
Gli studiosi sottolineano però che i risultati non sono uniformi. Alcune ricerche mostrano benefici sia dalla vitamina D introdotta con la dieta sia da quella supplementare, mentre altre non riscontrano un legame evidente. Parte di questa variabilità potrebbe dipendere da fattori come il peso corporeo, il sesso, l’alimentazione generale o persino la genetica individuale.
Molti oncologi ritengono comunque che mantenere livelli adeguati di vitamina D possa essere un supporto utile, soprattutto se affiancato ai trattamenti convenzionali. Non si parla di sostituire le terapie, ma di integrare uno strumento in più, semplice e potenzialmente vantaggioso.
Vitamina D e invecchiamento: nuove evidenze sul possibile effetto anti-aging
Uno degli aspetti più affascinanti emersi di recente riguarda la capacità della vitamina D di influenzare il ritmo di invecchiamento biologico. Una ricerca pubblicata nel 2025 sull’American Journal of Clinical Nutrition ha osservato un effetto interessante sui telomeri, le strutture che proteggono le estremità dei cromosomi e che tendono ad accorciarsi con l’avanzare dell’età.
Lo studio si è basato sui dati del grande VITAL Trial, che per anni ha monitorato migliaia di persone valutando gli effetti di vitamina D3 e omega-3. Analizzando i partecipanti trattati quotidianamente con 2.000 IU di vitamina D, i ricercatori hanno scoperto che il loro accorciamento dei telomeri nei globuli bianchi era meno marcato rispetto a chi aveva assunto un placebo.
Gli scienziati hanno stimato che questo rallentamento corrisponderebbe, in media, a circa tre anni di “giovinezza cellulare” preservata.
L’effetto risultava più evidente in alcune categorie: persone senza obesità, non in trattamento con farmaci per abbassare il colesterolo e alcune etnie specifiche. Non sono invece emerse correlazioni significative con l’assunzione di omega-3.
Il dato più interessante è che la ricerca collega direttamente la vitamina D a un marker biologico dell’invecchiamento, fornendo un possibile meccanismo scientifico alla base del suo effetto sulla longevità. Va tuttavia precisato che si tratta di un’analisi post-hoc, cioè non prevista nel disegno iniziale dello studio, e quindi serviranno ulteriori conferme.
Un punto critico riguarda anche la composizione del campione, costituito in gran parte da persone bianche e anziane. Questo significa che i risultati potrebbero non essere applicabili a tutta la popolazione, soprattutto ai più giovani o a gruppi etnici differenti.
Nonostante queste limitazioni, il collegamento tra vitamina D e preservazione dei telomeri apre una finestra promettente su future terapie anti-aging.
La vitamina D3 può ridurre il rischio di un secondo infarto? I risultati che fanno discutere
La terza ricerca arriva da un ambito completamente diverso: la cardiologia. All’American Heart Association Scientific Sessions 2025, i ricercatori di Intermountain Health hanno presentato uno studio che potrebbe portare a nuove strategie preventive dopo un infarto.
Il loro trial, chiamato TARGET-D, ha seguito 630 persone di circa 63 anni di media, tutte reduci da un recente attacco cardiaco. I ricercatori hanno scoperto che l’87% di loro aveva livelli di vitamina D considerati insufficienti, con una media di 27 ng/ml.
Invece di somministrare a tutti una dose standard, gli scienziati hanno personalizzato la terapia controllando periodicamente i valori e regolando l’integrazione per mantenerli intorno ai 40 ng/ml, un livello giudicato ottimale da molti cardiologi per la salute cardiovascolare.
Il risultato più sorprendente riguarda la riduzione del rischio di un secondo infarto: chi seguiva la terapia mirata con vitamina D3 ha riportato un tasso del 3,8% contro il 7,9% del gruppo di controllo, una differenza che supera il 50%.
Curiosamente però, quando si consideravano tutti gli eventi cardiaci maggiori, non emergeva una differenza significativa tra i due gruppi. Questo suggerisce che l’effetto della vitamina D potrebbe essere specifico per alcuni meccanismi, ma non sufficiente a modificare l’intero quadro clinico.
Alcuni cardiologi non coinvolti nello studio hanno ricordato che molte ricerche precedenti avevano trovato solo correlazioni e non prove certe di un effetto diretto della vitamina D sul cuore. Tuttavia, se studi più grandi dovessero confermare che una supplementazione personalizzata riduce realmente il rischio di un secondo infarto, l’impatto sulla medicina preventiva sarebbe enorme.
Quanto vitamina D serve e quando diventa pericolosa
La maggior parte delle linee guida consiglia una dose quotidiana di circa 15 microgrammi, equivalenti a 600–800 IU, anche se molti studi anti-aging e cardiaci utilizzano dosaggi più alti, intorno alle 2.000 IU.
È importante però ricordare che la vitamina D, essendo liposolubile, può accumularsi nell’organismo. Eccessi prolungati possono provocare problemi anche seri, come ipercalcemia e danni ai reni.
Per questo motivo gli esperti raccomandano sempre di misurare i livelli con un semplice esame del sangue e di valutare la supplementazione insieme al medico, soprattutto se si assumono altri farmaci o si hanno condizioni particolari.
L'articolo Vitamina D e vita più lunga? Le ultime ricerche rivelano tre effetti inattesi proviene da Blitz quotidiano.