Vicenza, storica bottega chiude “per paura”. La commerciante vittima di minacce ma l’uomo non si può espellere

  • Postato il 25 giugno 2025
  • Di Panorama
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Quando Margherita Parolin quasi 34 anni fa ha aperto la Maison di prodotti per la casa, il suo regno profumato di lino e cera d’api, in corso Fogazzaro, pieno centro di Vicenza, non immaginava che un giorno avrebbe dovuto abbassare la saracinesca «per paura».

Parole che ha letteralmente stampato su un cartello affisso al suo negozio: «Chiuso per paura». E subito sotto: «Non per ferie. Non per scelta. Ma perché lavorare così è diventato impossibile». Dietro, in penombra, i vecchi scaffali in legno con esposti gli asciugamani con le frange e la porcellana decorata custodiscono l’eleganza silenziosa di un tempo che non c’è più. La città pulita, ordinata, borghese ha lasciato spazio a degrado e immigrati molesti e inespellibili. Contattata dalla Verità, Margherita si lascia andare a un lungo sfogo: «Ora ci sono questi sbandati e noi commercianti siamo sotto scacco», afferma prima di annunciare: «Non alzerò di nuovo la serranda finché quell’uomo non sarà fuori dall’Italia». È il pensiero più comune tra i commercianti del centro. Nessuno, però, aveva ancora avuto il coraggio di alzare il velo.

L’uomo del cartello è uno dei tanti che popolano il centro storico: uno straniero senza fissa dimora. Uno che bivacca, urla, strattona, spaventa i clienti. Uno che, negli ultimi due mesi, ha provato a portarsi via qualcosa dal negozio, che ha cercato di danneggiare la vetrina. E che ha tentato di aggredirla. «Due volte», precisa Margherita. Giovedì scorso, dopo l’ennesima segnalazione (due denunce, una per violenza privata e un’altra per stalking nel giro di una ventina di giorni), era stato emesso un Daspo Willy (un provvedimento amministrativo che vieta l’accesso e lo stazionamento in determinati luoghi, pensato per contrastare episodi di violenza, risse, aggressioni e comportamenti pericolosi) e, subito dopo, un decreto di espulsione.

Lo straniero doveva essere accompagnato al Cpr di Gradisca d’Isonzo. E venerdì la città ha tirato un sospiro di sollievo. Il copione sembrava perfetto: reato, pena, espulsione. Applausi. Sipario. «Ma sabato mattina era di nuovo qui», ha spiegato Margherita. Nessun errore nella procedura messa in fila dalla questura. Il decreto di espulsione, però, si è dissolto davanti a un certificato medico che attesta la sua incompatibilità con il trattenimento in un Cpr. E secondo una sentenza della Cassazione (del 2019), inoltre, lo straniero che presenta determinate patologie sanitarie che richiedano assistenza non può essere allontanato.

Per i commercianti del cuore della città come Margherita, che si autodefinisce «un arredo urbano del centro storico» per quanto tempo ci ha passato, è un paradosso. Da quando lo straniero è tornato a bighellonare davanti alle vetrine, chi ha un’attività commerciale ha di nuovo il cuore in gola. Molti negozi del lusso hanno già, da tempo, lasciato il centro. Le associazioni dei commercianti ripetono che il degrado attira il disagio. E viceversa. Che una vetrina chiusa è una porta aperta sul nulla. «In 33 anni di lavoro», sospira Margherita, «non ho mai visto una situazione così. Mai». E spiega: «Non è una questione politica, quella non mi interessa, ma c’è l’impressione che l’immigrazione sia fuori controllo».

La solidarietà è arrivata, certo. I clienti la chiamano, i colleghi passano a trovarla. Ma il vuoto resta. «Qualche volta ho temuto per la mia incolumità e, pur sentendomi protetta dalla polizia locale che ha risposto a ogni chiamata», spiega la donna, «ho raggiunto la consapevolezza che ci sia un cortocircuito nelle leggi. E questo mi terrorizza». Margherita non urla, non organizza cortei. Ha deciso che protestare vuol dire rinunciare al proprio lavoro e agli incassi. «Un’azione composta, educata, ma decisa», ha definito la protesta il presidente di Confcommercio Vicenza Nicola Piccolo. Che ha aggiunto: «Non è la prima volta che capita e non è un caso isolato, ma mi auguro che sia l’ultimo e che la denuncia di Margherita possa smuovere qualcosa».

Piccolo, dal suo osservatorio, ha già registrato altre segnalazioni. «In un’altra area del centro», ricorda, «ci fu una vicenda molto simile. Segnalazioni ed espulsione. Ma la frustrazione fu forte quando il soggetto tornò in poche ore nello stesso punto dal quale era stato ufficialmente allontanato». Una sorta di porta girevole dell’illegalità. La sua conclusione: «Le forze dell’ordine intervengono subito, le istituzioni rispondono, ma alla fine qualcosa si inceppa». Tant’è che sei giorni fa, quando il questore ha emesso il provvedimento, la stampa locale aveva anche pubblicato con toni da trionfo che «l’incubo» era «finito» e che Margherita «poteva tornare a vivere». E invece no. Quando ha visto il pendolare del Cpr di nuovo davanti alla porta d’ingresso deve essere davvero stato un brutto colpo per lei.

Un déjà vu giudiziario, insomma. «Non mi arrendo», dice ora Margherita Parolin, comunque determinata a «non restare in ostaggio delle scappatoie della giustizia». Ha deciso di fermarsi e di aspettare che la legge ricominci a funzionare. Fino ad allora la sua Maison rimarrà chiusa. «Non per ferie, ma per paura».

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Panorama

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