Vi racconto i 10 anni dell’arbitro Mattarella. Scrive Cazzola
- Postato il 4 febbraio 2025
- Politica
- Di Formiche
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In questi giorni ci siamo ricordati che Sergio Mattarella ha tagliato il traguardo di dieci anni ininterrotti al Quirinale. Nessun Presidente prima di lui nell’Italia repubblicana ha svolto così a lungo le sue funzioni al vertice della Stato. Il primato della rielezione era spettato a Giorgio Napolitano, che tuttavia, aveva dichiarato subito che il suo secondo mandato sarebbe stato a tempo, come poi è avvenuto, anche se i problemi aperti che avevano indotto Napoletano a non tirarsi indietro non erano stati risolti al momento della sua rielezione.
Anzi, è plausibile ritenere che l’ex Capo dello Stato – che aveva a lungo caldeggiato le riforme costituzionali al punto di legare ad esse la sua permanenza nella più alta magistratura repubblicana, ritenesse (a parte i condizionamenti dell’età) che il governo Renzi avesse compiuto la missione riformatrice con la legge Boschi e che quindi anche la vigilanza dal Colle più alto fosse ormai superflua. Che Napolitano condividesse la riforma di quel governo era tanto evidente da non suscitare alcun dubbio, anche perché il Presidente aveva irritualmente costituito una commissione trasversale di saggi incaricata di formulare delle proposte al governo che sarebbe uscito dalle elezioni. Napolitano volle e operò perché fosse un esecutivo bipartisan e riuscì a mettere in campo l’esecutivo presieduto da Enrico Letta, la cui maggioranza (comprensiva di Forza Italia) andò in frantumi proprio in occasione delle elezioni che avrebbero portato Mattarella al Quirinale, tanto che Renzi continuò a governare con il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano.
Sconfitto nel referendum confermativo, Renzi si dimise e qui entrò in scena Mattarella riuscendo a varare un governo presieduto da Gentiloni incaricato di portare a termine la legislatura e di ricucire alcuni strappi che il “giovane caudillo” (copyright Ferruccio de Bortoli) aveva disseminato per l’Europa. Ma fu dopo il voto del 4 marzo 2018 che restituì un Parlamento dominato dalle forze sovranpopuliste, che Mattarella diede prova di una determinazione che nessuno si aspettava e che non era facile far valere in quel contesto e in quel clima. Mattarella seppe capire quali erano le priorità su cui non mollare, mentre su altri aspetti si poteva fare buon viso a cattiva sorte. Non si mise di traverso quando si formò l’alleanza contro natura tra Lega e M5S, non si sottrasse quando gli presentarono uno sconosciuto da indicare come presidente del Consiglio. Ma quando venne il momento di varare l’esecutivo si rifiutò di nominare in ruoli chiave titolari di ministeri propensi a raccogliere l’andazzo allora di moda contro l’Europa e l’euro e contro le alleanze tradizionali sul piano internazionale. Giovanni Tria fu designato al Mef e seppe reggere all’ombra del Quirinale le offensive fantasiose dei minibot come alternativa alla moneta unica, mentre l’indipendente Enzo Moavero Milanesi venne incaricato di fare la guardia alla Farnesina.
In breve, Sergio Mattarella, nonostante la peculiarità negativa della XVIII Legislatura, non ha mai voluto cospirare – come avevano fatto altri Capi dello Stato prima di lui – per fare cadere un governo in carica che avesse la fiducia di una maggioranza in Parlamento. Ma è pur vero che quella Legislatura del nostro scontento iniziò con il Conte I e una maggioranza gialloverde antieuropea e filorussa e terminò con il governo Draghi di unità nazionale assolutamente allineata con l’Europa e l’Occidente. Nel corso della XVIII legislatura tre governi tra loro molto diversi si sono passati la staffetta della crisi sanitaria con spirito di collaborazione e sotto la vigilanza del Quirinale. Ma il più grande contributo di Mattarella ha riguardato la fermezza con la quale ha preso posizione, orientando in maniera chiare ed in equivoca, le scelte dell’Italia all’indomani dell’aggressione russa dell’Ucraina.
Non è stato facile per il Presidente mantenere una linea di condotta tanto ferma e coerente in un Paese come l’Italia che fanti conti da pagare con i principi non negoziabili della libertà e della democrazia. E dove – anche per la vicinanza con il Vaticano – la pace si confonde con la resa all’insegna del “non rompeteci le scatole”. Per Mattarella è sempre stato chiaro che nella situazione attuale non si può usare la parola “pace” senza accompagnarla dall’aggettivo “giusta”, che può ottenersi soltanto attraverso una “vittoria” di chi sta dalla parte della ragione e del diritto. La parte migliore del discorso del Ventaglio ha riguardato la guerra in Ucraina, smontando una per una le argomentazioni degli pseudo-pacifisti. È una scelta dolorosa – ha affermato il Presidente mandando a gambe all’aria discorsi di un buon senso disonesto – dover impiegare tante risorse, che sarebbero meglio usate per altre più nobili finalità, per gli armamenti. Ma la responsabilità non può essere attribuita a chi si difende o a chi aiuta a difendersi dalle aggressioni.
Poi Sergio Mattarella ha voluto dare una lezione di storia soffermandosi a lungo, rispetto alla durata complessiva del discorso del Ventaglio, sul Patto di Monaco del 1938 sullo sfondo delle analogie con la guerra in Ucraina. A mio avviso, il Presidente ha voluto ricordare quell’evento come la prova che una politica di appeasement contro un palese nemico non contribuisce alla pace, ma prepara la guerra. Del resto, quando Mattarella si è trovato a dover gestire dal Quirinale, per la prima volta, un cambiamento tanto radicale come quello che si è determinato nella XIX Legislatura, Mattarella non si è perso d’animo; non è stato a giudicare il presente di una forza politica rievocandone il passato remoto; ma ha preteso che fosse ben chiara la scelta di non inquinare le alleanze internazionali e gli impegni che ne conseguono (prima con l’Ucraina poi con Israele), ma soprattutto ha preteso una posizione limpida sull’Europa (e una continuità nel gestire il Ngeu).
Mattarella ha sempre voluto paragonare il ruolo del Capo dello Stato a quello di un arbitro, la cui direzione della partita è tanto più efficace se i giocatori lo aiutano. C’è da riconoscere che quello strano giocatore uscito dalle urne del settembre 2022 non ha inteso mettere in difficoltà l’arbitro in nessuna circostanza importante. Ma che l’arbitro è stato capace di dirigere al meglio la partita in ogni sua fase anche in presenza di una squadra di oriundi. Quanto al futuro del Presidente io credo e auspico che Mattarella terminerà tutto il secondo mandato. Il Presidente ha la mia età, con una piccola differenza di mesi. Ma quando vedo l’attività che svolge in giro per il mondo mi sento in grado di giudicare, paragonandola con il declino della mia, quanto sia ancora grande la sua forza fisica e morale. Arrivederci tra altri 4 anni Presidente. Gli italiani ci contano.