Vestiti d’arte: quando il look è un’opera unica

  • Postato il 29 giugno 2025
  • Di Panorama
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C’è chi si atteggia ad artista e chi lo è sul serio. In ogni caso, se è vero che per creare un capolavoro non basta indossare un abito stravagante, bisogna ammettere che anche l’occhio vuole la sua parte. In un ideale catalogo dei tipi d’artista occhieggiano Ugo Foscolo con la camicia bianca con lo jabot aperto sul petto, Rembrandt con il turbante mentre dipinge nella penombra, Alessandro Blasetti con gli stivaloni mentre impartisce ordini sul set e Yayoi Kusama, inarrivabile negli abiti a pois che si confondono con le fantasie delle sue opere.

Sono artisti veri vestiti da artisti. Ma la casistica è assai più complessa. C’è gente comune che ama abbigliarsi come i creativi e ci sono artisti che non ambiscono ad essere identificati immediatamente come tali e si mimetizzano, scegliendo abiti che permettono di confondersi tra la folla. Come Gilbert & George, maestri anticonvenzionali per eccellenza, che si distinguono per i loro sobri abiti in tweed di taglio sartoriale, ma anche come Maurizio Cattelan, spesso in giacca e cravatta anche nelle sue performance più rivoluzionarie. Siamo all’opposto dell’egocentrismo di Salvador Dalí, che già con i suoi baffetti nella posizione a ore 10 e 10 raccontava il suo inimitabile personaggio.
Cerca di fare ordine in una materia complessa la mostra S’habiller en artiste, curata da Annabelle Ténèze, Olivier Gabet, Marie Gord, Audrey Palacin, in programma fino al 21 luglio al Louvre di Lens, nel Nord della Francia, una delle sedi distaccate del museo parigino.

L’esposizione affronta tutta una serie di temi legati al look dei creativi nei secoli, passando dalla veste da camera di Balzac agli abiti simultanei di Sonia Delaunay, all’iconica parrucca di Andy Warhol.
In mostra ci sono più di 200 opere per sviscerare argomenti quali l’artista in camicia bianca, la bohème, lo smoking indossato dalle donne, prendendo le mosse dal Rinascimento e arrivando ai giorni nostri. Nelle sale del museo si instaura un dialogo ideale tra gli abiti, gli accessori e i dipinti, le sculture, le fotografie, mettendo in relazione il mondo dell’arte e quello della moda, evidenziando la forza dell’abito come espressione della propria personalità.
Come nota Annabelle Ténèze, direttrice del museo Louvre-Lens, «la mostra rivela un altro modo di intrecciare storia della moda e storia dell’arte, di scrivere una storia sociale e artistica lontana dalla frivolezza, fatta di bellezza e libertà. Nella storia delle apparenze, leggiamo anche la storia del gusto, delle norme e del desiderio di trasgredirle ed emanciparsi».

Si delinea così un viaggio nella moda vista attraverso gli occhi degli artisti. Qualche esempio? Le marinière, le classiche magliette a maniche lunghe a righe orizzontali blu e bianche, tanto amate da Picasso e da Andy Warhol, e riportate in auge da Jean-Paul Gaultier.
E poi, la giacca afrodisiaca disseminata di bicchierini ideata da Salvador Dalí, le cravatte di capelli come provocazione dei surrealisti, la tuta blu da meccanico indossata da Jean Tinguely quando lavorava alle sue sculture, i cappellini indossati da Camille Corot quando dipingeva, una specie di coperta di Linus per il grande paesaggista ottocentesco. Ampio spazio è dedicato anche all’aspetto androgino di artisti che hanno scelto l’abito come strumento di emancipazione e di rappresentazione di sé.

«Gli artisti abitano gli abiti», osserva la giornalista Sophie Fontanel nel catalogo della mostra. «E persino gli accessori, come dimostra la famosa foto di Samuel Beckett con una borsa Gucci portata con disinvoltura come una semplice tote bag».
Nella mostra non si contano i ritratti e le fotografie degli artisti al lavoro, visti nella loro dimensione privata. Il modo di vestirsi, infatti, dipende molto dal contesto: un conto è immaginare un pittore nel suo atelier, con la tuta imbrattata di colori, o in maniera più romantica, col basco e il camicione bianco, e un altro è vederlo nella vita di tutti i giorni, dove si assottiglia la differenza con gli altri.

A volte un certo tipo di abbigliamento è una questione puramente funzionale. Come spiega Alberto Camerini, cantante che ha precorso i tempi interpretando un inedito arlecchino elettronico a cavallo tra rock e commedia dell’arte: «Il pittore dipinge vestito in un certo modo perché se no si sporca di colore. Quando poi va in galleria per il vernissage, indossa abiti eleganti».
Magari, però, con vestiti che raccontino il suo modo di essere. «Alcuni pittori amici di mio padre si vestivano in modo bizzarro», continua Camerini. «Erano unici, non si vestivano con gli abiti che si trovano nei negozi di massa. È una necessità creativa, è la gioia di giocare».

C’è quindi una doppia valenza dell’abito da artista, che diventa destabilizzante a seconda della situazione: Magritte che dipinge in giacca e cravatta o Charlie Watts, il leggendario batterista dei Rolling Stones vestito in modo sobrio e flemmatico, hanno la stessa forza dei gilet futuristi di Giacomo Balla o degli abiti ideati nei corsi del Bauhaus.
«Ogni nostro abito è parte di una narrazione intima, nonché di una storia collettiva, economica, sociale e multiculturale», notano Olivier Gabet e Annabelle Ténèze, curatori della mostra S’habiller en artiste.
«Le apparenze, anche quelle ingannevoli, o ancor di più quando sono ingannevoli, sono significative. Sebbene questa storia dell’abbigliamento degli artisti non sia priva di cliché, dal bohémien all’eccentricità, tra verità e finzione, gli abiti emblematici indossati dagli artisti, al lavoro in studio, alle inaugurazioni, sul palco o nella sfera sociale, intrecciano un nuovo modo di intenderli. Gli abiti scelti, acquistati, scovati o creati dagli artisti stessi hanno il valore di un manifesto umano e artistico. Esprimono lo stile di un artista, in entrambi i sensi del termine».

Un’affermazione che calza a pennello con lo stile di Lucio Corsi, astro nascente della scena musicale che colpisce e convince con i suoi outfit, dove si mischiano cultura pop, vintage e richiami alla tradizione del rock. Naturalmente, poi, c’è la dimensione dello spettacolo. Quando un artista fa una performance si trasforma e l’abito sul palco diventa una seconda pelle, che racconta il personaggio. Sono storiche le performance di David Bowie come Ziggy Stardust. Un inno alla fantasia ripreso da personaggi istrionici come Renato Zero e Achille Lauro.

Ognuno vive il personaggio a modo suo, considerando l’abito più o meno aderente alla propria identità. Come spiega Camerini, «I Rockets indossano il costume in scena, come Ivan Cattaneo, ma con una differenza: i Rockets vogliono rappresentare l’astronauta, mentre Ivan è l’astronauta. La mia ispirazione, invece, è il personaggio di arlecchino, che è la massima realizzazione del costume d’artista».

Autore
Panorama

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