Vescovo, pastore valdese, Anpi, Cgil, cittadini in piazza: Torino si mobilita contro l’espulsione dell’imam decisa da Piantedosi. Lettera inviata a Mattarella

  • Postato il 27 novembre 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 5 Visualizzazioni

Cittadini di San Salvario, quartiere multietnico al centro di Torino, rappresentanti religiosi e civici, nessuna bandiera, neanche quelle palestinesi. Con un presidio alla moschea di via Saluzzo, giovedì sera, una parte della società civile di Torino ha manifestato solidarietà a Mohamed Shahin, imam su cui pende un provvedimento di espulsione per le frasi pronunciate nel corso di una manifestazione per Gaza il 9 novembre. In questi giorni, cattolici e valdesi impegnati nel dialogo interreligioso, la sezione dell’Anpi del quartiere, la Cgil e altri ancora hanno chiesto la revoca del decreto firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in persona dopo l’interrogazione della deputata torinese di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli. Shahin è al momento nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) a Caltanissetta, lontano da famiglia e avvocati.

Una serie di personalità legate alla rete torinese del dialogo cristiano-islamico, tra cui il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo), rappresentanti della Chiesa valdese (con il pastore valdese Francesco Sciotto) e il coordinamento dei centri islamici, ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Hanno ricordato sì che, nel corso della manifestazione, l’imam ha affermato di ritenere gli attacchi di Hamas “non una violenza, ma una reazione ad anni di oppressione”, ma anche che “l’imam aveva già rettificato e cui aveva fatto seguito un comunicato congiunto” dei rappresentanti delle diverse comunità religiose cittadine (cattolici, valdesi, ebrei e musulmani) contro l’intolleranza e per la pace.

La rete del dialogo interreligioso e anche l’Anpi sottolineano come l’eventuale espulsione di Shahin metta a rischio anni di dialogo e progettualità a cui l’imam partecipa in prima persona: “La moschea di via Saluzzo è sempre stata aperta e collaborativa – si legge nella nota del circolo Anpi del quartiere –. Ha ospitato iniziative che hanno coinvolto tutte le comunità religiose e laiche”. “Come la maggior parte dei centri culturali islamici della Città di Torino, la moschea di via Saluzzo è sempre stata aperta e collaborativa, ospitando iniziative che hanno coinvolto tutte le comunità, laiche e religiose, testimoniando concretamente e giorno dopo giorno l’impegno sincero della sua direzione, dell’imam e di tutti i fedeli nel senso del rispetto delle leggi, della pace e della cooperazione civile e interculturale”, si legge nella lettera della rete del dialogo. Conferma Sergio Velluto, presidente del concistoro della chiesa valdese (il consiglio dei fedeli) e componente del comitato interfedi della città: “La cosa stupisce perché era molto conosciuto. Pochi mesi fa c’è la giornata delle moschee aperte, dove siamo stati accolti dall’imam Shahin. Da anni gestisce una delle moschee più integrate e attive nel dialogo interreligioso. Proprio la sua moschea aveva chiesto di diffondere la Costituzione italiana scritta in arabo ai suoi fedeli. Lui ha espresso opinioni sue, ma arrivare a deportare una persona come lui per delle opinioni è preoccupante”.

L’imam italiano Gabriel Iungo (in passato finito nell’occhio del ciclone per aver rilanciato una vignetta sulle stragi del 7 ottobre), in un lungo post di Facebook ha denunciato un paradosso: “‘Per ragioni di sicurezza’ legate a dichiarazioni problematiche – pure rettificate – andrebbe a discapito proprio di quella sicurezza che si vorrebbe tutelare, in un quartiere ed in periferie dove figure come la sua operano da anni, in stretta collaborazione con istituzioni e forze dell’ordine, come riferimenti educativi essenziali anche per arginare criminalità e disagio giovanile”. Ha ricordato inoltre come, nel corso di tante manifestazioni a sostegno della causa palestinese, la sinagoga di Torino non sia mai stata “oggetto di aggressioni o episodi antisemiti” anche per il “fatto di avere come ‘vicini di casa’ comunità islamiche responsabili, moderate e moderatrici”, prive di “predicatori d’odio, facinorosi o estremisti violenti”.

“Al di là di eventuali violazioni, che spetta all’autorità giudiziaria verificare – premette la Cgil in un comunicato –, chiediamo il rientro immediato a Torino di Shahin e l’immediata revoca del provvedimento di espulsione. Stigmatizziamo l’uso di strumenti amministrativi finalizzati alla gestione dell’immigrazione che troppo spesso sono utilizzati come strumenti di razzializzazione del dissenso, effetti del clima che il decreto sicurezza ha generato nel nostro paese”.

Le autorità di polizia ritengono Shahin “una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”, è scritto nel decreto firmato da Piantedosi. Secondo quanto riportato, Shahin è un esponente della Fratellanza musulmana in Italia e questo lo metterebbe a rischio nell’Egitto guidato dal generale Al-Sisi, che ha preso il potere con un golpe un anno dopo l’elezione, nel 2012, di Mohammed Morsi, leader dell’organizzazione. Sempre secondo quanto riportato dal provvedimento, Shahin avrebbe “intrapreso un percorso di radicalizzazione religiosa connotata da una spiccata ideologia antisemita” e risulta “in contatto con soggetti noti per la visione violenta dell’Islam”: i suoi comportamenti sarebbero quindi una “minaccia sufficientemente grave per la sicurezza dello Stato” e si teme che “agevoli in vario modo organizzazioni o attività terroristiche”. Un punto di vista diverso rispetto a quello delle persone impegnate nel dialogo tra fedi. Già due anni fa, l’8 novembre 2023, le autorità negarono a Shahin la cittadinanza italiana per “ragioni di sicurezza dello Stato”. Di fronte a questo quadro, però, agli avvocati dell’imam risulta soltanto un procedimento pendente per un blocco stradale.

L'articolo Vescovo, pastore valdese, Anpi, Cgil, cittadini in piazza: Torino si mobilita contro l’espulsione dell’imam decisa da Piantedosi. Lettera inviata a Mattarella proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti