Verso il nuovo Codice delle costruzioni: l’Italia riscrive le regole dell’edilizia
- Postato il 4 dicembre 2025
- Di Panorama
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L’Italia prova a mettere ordine nel suo labirinto normativo più intricato: quello dell’edilizia. Un settore che vive da anni sospeso tra regole nazionali e discipline regionali, una sovrapposizione resa ancora più complessa dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha attribuito alle Regioni una competenza concorrente con lo Stato. Il risultato è stato un mosaico di normative spesso divergenti, interpretazioni discordanti, contenziosi infiniti e, soprattutto, rischi concreti per tecnici e proprietari. Ora, con il disegno di legge delega che il governo porta in Consiglio dei ministri, inizia la costruzione del nuovo Codice delle costruzioni: un tentativo di riportare omogeneità, semplificare procedure, chiarire le regole e ridurre drasticamente tempi e costi degli interventi edilizi.
Stato e Regioni, il nodo della competenza concorrente: verso regole uniche e criteri nazionali
Al centro della riforma c’è la questione che da anni genera confusione normativa: il rapporto tra Stato e Regioni in materia edilizia. La delega si muove con un obiettivo preciso: stabilire con nettezza quali norme rientrano nella potestà esclusiva dello Stato e quali invece sono materia concorrente. Il nuovo Codice introdurrà criteri nazionali univoci per definire difformità e abusi edilizi. Per esempio, verranno fissati parametri minimi validi ovunque, eliminando quell’arbitrio interpretativo che negli anni ha alimentato ricorsi amministrativi, stop ai cantieri e situazioni borderline. La riforma vuole eliminare o ridurre il rischio che lo stesso intervento edilizio sia lecito in una regione e irregolare nella regione vicina.
Riforma dell’edilizia: silenzio-assenso rafforzato e sanatorie più rapide
Punto cruciale della riforma riguarda l’accelerazione dei procedimenti amministrativi. La delega parla chiaro: ridurre i tempi per il rilascio o la formazione dei titoli edilizi è un “obiettivo primario”. Per riuscirci, il governo punta sul meccanismo del silenzio-assenso. Se l’amministrazione non risponde nei termini, la richiesta si intende accolta. Non più quindi attese indefinite, ma un automatismo che vuole spingere gli uffici a rispettare le scadenze e, al tempo stesso, evitare il blocco dei lavori per inerzie amministrative. E nei casi in cui servono più pareri entrerà in gioco un “commissario ad acta” capace di sostituirsi agli enti che non rispondono.
La riforma interviene anche sulla questione sanatoria degli abusi storici, in particolare quelli realizzati prima del 1 settembre 1967, quando non esisteva ancora l’obbligo per i Comuni di dotarsi di piani regolatori. In questi casi si supererà il principio della doppia conformità, che richiede la regolarità urbanistica sia al momento dell’abuso sia al momento della sanatoria, un requisito spesso impossibile da documentare. Obiettivo? Sbloccare migliaia di immobili che oggi non possono essere venduti, frazionati o ristrutturati per piccole difformità risalenti a decenni fa. Le sanzioni saranno calibrate su entità e gravità dell’intervento, distinguendo gli abusi minori dalle opere totalmente abusive o realizzate in area sismica.
Altra semplificazione voluta dalla riforma è la possibilità di un’unica istanza per ottenere più titoli autorizzativi o di sanatoria per lo stesso intervento. Una sorta di sportello unico reale, pensato per eliminare duplicazioni di documenti, pareri e costi.
Nuova classificazione degli interventi, fascicolo digitale e rigenerazione urbana
Il nuovo Codice riscrive anche la classificazione stessa degli interventi edilizi. Spariscono le distinzioni tradizionali (manutenzione straordinaria, restauro, ristrutturazione edilizia) e si avrà una classificazione basata su rilevanza, natura e impatto dell’opera. A ogni tipologia corrisponderà un titolo autorizzativo uguale in tutto il Paese: CILA, SCIA o permesso di costruire. Una misura pensata per eliminare le interpretazioni divergenti che bloccano i cantieri.
È introdotto anche il principio dell’“indifferenza funzionale” per la rigenerazione urbana. In pratica se l’impatto urbanistico è minimo si può passare da una destinazione d’uso residenziale a una commerciale senza iter complessi.
Infine, si punta sul digitale, creando una sorta di carta d’identità elettronica dell’edificio, completa e aggiornata, fondamentale per garantire trasparenza, tracciabilità e rapidità nella verifica dello stato urbanistico.