Verbali Amara, il Csm condanna alla censura il pm di Milano Storari: “Consegnò atti segreti a Davigo”. Nel processo penale era stato assolto

Assolto nel processo penale, ma condannato per gli stessi fatti in sede disciplinare. Il pm di Milano Paolo Storari è stato sanzionato con la censura dal Consiglio superiore della magistratura al termine del giudizio sul caso dei verbali di Piero Amara, le copie delle deposizioni dell’ex consulente dell’Eni che il magistrato consegnò nell’aprile 2020 a Piercamillo Davigo, allora membro del Csm, per contrastare un asserito tentativo di insabbiamento da parte dei propri capi. La Sezione disciplinare di palazzo Bachelet ha giudicato Storari colpevole di aver fornito a Davigo, “soggetto terzo rispetto alle indagini, non autorizzato a riceverli, atti coperti da segreto e comunque riservati nel loro contenuto, in tal modo ledendo il diritto alla riservatezza dei soggetti indicati dall’avvocato Amara come appartenenti alla “loggia Ungheria“”, presunta cupola massonica composta da politici, funzionari, imprenditori e anche magistrati, la cui esistenza è stata negata in sede giudiziaria. Il sostituto procuratore milanese è stato condannato anche per aver “gravemente violato le norme” che disciplinano la “trasmissione al Consiglio superiore della magistratura delle notizie di reato” concernenti i magistrati accusati da Amara di far parte di Ungheria: invece di spedire un plico riservato, infatti, consegnò al collega “copie informali, non sottoscritte e dunque prive di alcun attestato di autenticità, palesemente inidonee a una trasmissione ufficiale a qualunque organo istituzionale”. La Procura generale della Cassazione, che rappresenta l’accusa nel processo disciplinare, aveva chiesto una sanzione più pesante, la perdita di un anno di anzianità.

In sede penale, invece, Storari era stato assolto in via definitiva dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio perché il fatto non costituisce reato: secondo i giudici di Brescia, infatti, aveva agito senza la consapevolezza di violare i regolamenti, essendo convinto che il segreto non fosse opponibile a Davigo in quanto membro del Csm (l’errore sulla legge non penale è ammesso a determinate condizioni, a differenza di quello sulla legge penale). E non aveva seguito le vie ufficiali soltanto perché, tra i membri della loggia citati nei verbali, comparivano anche due magistrati allora componenti dell’organo di autogoverno, che in quel modo sarebbero venuti a conoscenza delle accuse. Nel processo disciplinare il pm è stato invece assolto dall’incolpazione di aver tenuto un “comportamento gravemente scorretto” nei confronti dei suoi superiori, l’ex procuratore di Milano Francesco Greco e l’ex procuratrice aggiunta Laura Pedio, “accusandoli di inerzia nelle indagini” nei colloqui con Davigo, senza però formalizzare loro il proprio dissenso sulla gestione del fascicolo, e anzi chiedendo all’allora consigliere di intervenire “al fine di condizionare le attività del suo stesso ufficio”. Assoluzione anche dall’accusa di aver mancato ai “doveri di correttezza ed imparzialità” per aver omesso di astenersi dall’indagine sull’arrivo a due giornali (il Fatto e Repubblica) delle copie dei verbali, pur essendo stato lui a farli uscire per primo dalla Procura. La decisione della Sezione disciplinare potrà essere impugnata di fronte alle Sezioni unite della Corte di Cassazione.

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Il Fatto Quotidiano

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