Venezia/Berlino. Profili urbani: Indagine Fotografica di Giovanni e Francesco Bertin

  • Postato il 6 ottobre 2025
  • Mostre
  • Di Paese Italia Press
  • 1 Visualizzazioni


di Enrico Gusella


Sulle onde, lungo una strada, aldilà di uno “specchio”, dentro invece a un “movimento”.
Come un’identità mutante, o di una forma che si trasforma nel tempo e nello spazio, nel paesaggio urbano, nella dimensione quotidiana e in quella di un’immagine.
È così raccolta l’indagine da cui muovono Giovanni e Francesco Bertin – all’anagrafe padre (1953) e figlio (1988) – la coppia di autori della rassegna Venezia/Berlino o la “ri-flessione” possibile”.
Forme, configurazioni, astrazioni che assumono identità concrete nelle alterità, dentro le trasformazioni di oggetti, in spazi scenici che acquisiscono proprie figuratività entro le quali si scoprono architetture – interne/esterne – e “fisionomie”, o veri e propri “corpi”.
Ma la loro è anche un’indagine che sottende a non poche opposizioni concettuali quali ad esempio: equilibrio/squilibrio, stabilità/instabilità, ordine/disordine, e che trova risposta nella mostra “Venezia/Berlino. Profili urbani”.
Si tratta di forme e configurazioni colorate o in altri casi “fredde”, come striature di un Novecento astratto e semi-costruttivista, tale da proiettarsi su sfondi riequilibrati, lungo un respiro identitario non solo di un profilo, ma anche verso un limite o di un ≪bordo≫ che diventano i codici di riferimento per scandire gli oggetti e le forme presenti in un territorio. E in questo senso muovono le loro immagini lungo un progetto visivo, teso a coniugare prospettive di luce ed effetti altamente cromatici, reversibili e ambigui, in quanto negli specchi – ovvero le cromature delle automobili – e negli oggetti luminosi e specchianti è possibile ritrovare tutto questo, ma, anche l’Io e il suo doppio, ovvero un modo altro di rappresentare le soggettività e la realtà. E non a caso lo si evince dallo sguardo dei due fotografi che si spinge a indagare proprio quelle prospettive e quei profili urbani che sono espressione di un carattere identitario, con il quale aprire un dialogo e una relazione empatica o, meglio ancora, concettuale, o astratta.
Forme e frammenti di automobili che si rifrangono e svettano verso il cielo, o che si incrociano
creando forme geometriche che danno luogo a impressioni stupefacenti, prospettive luminose che accendono lo spirito e intrecciano fantastici giochi di luce.
Anche così la città diventa il luogo del vedere, secondo un pensiero complesso che contempla identità e alterità. Giovanni e Francesco Bertin costruiscono così nuove iconografie urbane, strutturate secondo forme e immagini che interagiscono con il luogo e lo spazio, morfologie
caratterizzate da sequenze di frammenti, e da dettagli che diventano l’insieme di un tutto: lo sguardo delle forme, elementi e oggetti: metallo, acqua, palazzi, barche.
Limiti e confini in cui aprire “canali” di accesso, o di contrasto, come una forma del tempo che si modifica, o si amplifica per dare a nuovi sentieri ancora, a nuove identità o a una possibile altra figura entro le quali riconoscersi, come motivo identificante ma anche di possibili realtà mutante.


Eh sì, la storia o, meglio, le storie di una città, le storie urbane, a Venezia come a Berlino, si misurano anche su queste dinamiche: su vuoti e pieni, o fra oggetti che formano un insieme spazio-temporale, quale fonte delle complessità e dei caratteri di una stessa città.
Così a Berlino riconnettersi a un’idea di equilibrio e di ≪ordine≫ significa “ideare” corpi – architettonici ma anche concettualmente umani, in quanto dentro un’assenza è possibile ritrovare forme della quotidianità – le acque e i palazzi veneziani – sono espressività il cui il carattere diventa anche lo sguardo del silenzio, o di una percezione altra che rinvia a nuovi segni e ad altri territori. E altri ancora sono i modelli e le contaminazioni che rivivono e s’impongono sulla scena urbana, e che ritrovano nelle identità (?) urbane i motivi di un dialogo, una metacomunicazione e una rifrazione, altro elemento altrettanto vero e concreto su cui Giovanni e Francesco Bertin focalizzano il proprio occhio.
Su auto piuttosto che su onde o sui palazzi veneziani. Come a dire che la rappresentazione di una città non ha confini, anzi non esistono i confini, in quanto l’occhio e i meccanismi che lo sottendono sono in grado di “murare” un paesaggio, un’idea di strada, una forma del canale o di uno spazio vitale.

Venezia/Berlino o la “trait d’union”, segno grafico, rinvio, mutazione o di un’identità mutante, forse anche la nostra! Perché no? Lavorare, scrutare, osservare e immortalare possibilità di un’ambiguità diventa il codice di un elemento oggettivo e persuasivo, la cifra stilistica con cui affrontare lo spazio e l’oggetto, la forma e la configurazione, una nuova idea di percezione, entro la quale ri-muovere il territorio (?), o di una prossemica entro cui ritrovarsi e ri-conoscersi.
La fotografia del resto “mira”, in tutti i sensi, anche a questo. A ricondurre, a ricollocare, ma anche a “smontare” forme facilmente riconoscibili, “realtà” identificabili. L’onda, piuttosto che il palazzo, la facciata, oppure una “briccola” diventano stilemi ambigui, forme perturbanti, o appunto identità mutanti.
Così Giovanni e Francesco Bertin scandagliano, indagano i territori, attraverso forme e oggetti, rinvii e rimandi. E lungo un asse denso di storia e di storie, è dentro una storia del tempo che è possibile ritrovare gli “specchi”: sulle onde del mare, o lungo una strada, come possibili percorsi di una lettura, o, meglio ancora, di una scrittura visuale, a cui l’immagine fotografica di Giovanni e Francesco Bertin ci rinviano quale momento di una percezione altra, in grado di scrutare il superamento delle soglie individuali e collettive.
Da Venezia a Berlino come segni grafici che diventano un sistema di lettura del tempo e delle sue vicissitudini. Il dialogo sulle città con la fotografia mira anche a questo, attraverso volumi che si stagliano lungo le facciate, appiattiti o in una sequenza lineare che diventa un unico segno, interrotto da campiture cromatiche forti, dirette, o da ombre che descrivono una superficie.
Quelle urbane muovono in queste direzioni, ma anche quelle astratte costruite da fantasia e immaginazione, dalla volontà di creazione.
E tutto questo si spinge ancora a guardare nell’ottica di creare idee fotografiche in grado di immortalare le città, in quanto possibile movimento dove i protagonisti – la figura umana – sono comunque dietro le righe – su strade, canali, palazzi, ovvero nelle nostre città.
Si, la fotografia urbana o post urbana mira anche a questo, alla rappresentazione di una realtà in grado di investire i significati della quotidianità, i caratteri e le forme di una dimensione umana, socializzante, la metafora e la metonimia, lo specchio e il rinvio di quell’oggetto, e magari noi stessi.
In questo senso la loro ricerca risulta essere una pratica fotografica non solo identitaria, ma anche identificante in quanto consente al soggetto e agli individui (residenti, turisti, viaggiatori, ecc.) di identificarsi con il luogo e con lo spazio o, meglio ancora, con quei territori la cui riconoscibilità non è poi così immediata.
Forma, colore – anche “neutro” – e movimento sono i loro stilemi fotografici. I segni persuasivi di come sia possibile affrontare le città, di scandagliarla e analizzarla, e di intravvedere il luogo su cui ricostruire il tutto, come in un film di 007.
E uno spazio giova ricordare, non è ciò che contiene la cosa ma ciò che emerge in relazione della
cosa. E Giovanni Bertin da forme e da configurazioni costruisce un “nuovo paesaggio veneziano” fondato su sottili rapporti dello spazio, di sistemi segnici e cromie, che sembrano essere l’esemplificazione fotografica, efficace e pertinente, delle ricerche sul rapporto figura-sfondo dello
studioso danese Edgar Rubin: ovvero la vallata verde con un suggestivo cielo sullo sfondo, o il palazzo veneziano, che sembra essere nelle diverse tonalità di verde la rappresentazione di due profili o di un vaso rovesciato.
Potenza visiva di uno sguardo e acutezza di una percezione che si spinge ben oltre la ripresa di una città e guarda al mondo come un’intesa, o la complicità dello sguardo sui profili delle città: Venezia/Berlino. Così vicine, per nulla lontane!

(Venezia, 24 settembre 2025)

…..



L'articolo Venezia/Berlino. Profili urbani: Indagine Fotografica di Giovanni e Francesco Bertin proviene da Paese Italia Press.

Autore
Paese Italia Press

Potrebbero anche piacerti