Velasca, come il calcio di Terza Categoria diventa arte libera: il folle esperimento creativo di una squadra milanese
- Postato il 11 maggio 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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C’è un tifoso con un cappello da marinaio seduto su una tribuna di metallo, tambureggia sul rullante per coordinare un veliero di carta. Davanti a sé, delle onde trasportate a mano schiumano a pochi passi da un campo da calcio. Non è un film di fantascienza o un’opera d’arte surrealista, ma è la coreografia dell’ASD Velasca, squadra milanese di Terza categoria. Se chiedete a chi ne fa parte cos’è il Velasca, nessuno vi risponderà solamente “una squadra di calcio”: ognuno dirà una cosa diversa. Per Lucio Pizzi, primo storico portiere della selezione, è “una droga che dà assuefazione senza fare male”, uno spazio dove può trasformarsi in radiocronista nonostante durante la settimana faccia il corriere. Per Nada Pivetta, artista e docente all’Accademia di Brera, è una realtà ancora diversa: “Un modo per esprimersi e scoprire che è bello tifare“. Pivetta, che espone le sue sculture tra l’Europa e l’Asia, ha realizzato per la squadra le maglie della stagione 2022–2023, dal tema Icaro, e da lì in poi è diventata presenza fissa in tribuna.
Dietro questo movimento variopinto, rumoroso e così vicino al calcio da non c’entrarci nulla, c’è Wolfgang Natlacen, artista italo-francese con un piede a Milano e un altro a Parigi. La squadra è nata per gioco dieci anni fa, poi è diventata quello che è adesso: un agglomerato indecifrabile che ha come unico obiettivo far esprimere tutti (calciatori, tifosi, artisti) nella maniera più autentica possibile.
Mario Adornato scende in campo con la maglia del Velasca da otto anni e ne ha viste così tante da non sapere cosa raccontare: “Siamo andati a fare un’amichevole in Sudafrica, a Soweto. Abbiamo giocato in uno stadio con cinquecento, seicento persone. Ci hanno trattato come delle star, una cosa incredibile per dei ragazzi come noi che giocano in Terza categoria. Mi sono sentito veramente speciale quando sono uscito dal campo e una signora mi ha messo in braccio suo figlio e mi ha chiesto una foto”. Domenico Virgilio gioca con la squadra solo da un anno e mezzo, ma ha fatto in tempo a prendere un volo per Guadalupa con la valigia piena di farina per insegnare agli abitanti del posto a fare la pasta, perché il calcio è anche uno “scambio”. Queste sono solo alcune delle innumerevoli esperienze che possono raccontare i “velaschisti”, ragazzi normali in una realtà straordinaria. Più ci parli, più capisci che alla fine la loro grande qualità è non definirsi mai, rendendo possibile tutto quello che gli sta intorno.
Il presidente Wolfgang Natlacen ha creato a Milano questa illusione collettiva, di cui tutti si sentono partecipi. Il calcio va in secondo piano e i risultati (quest’anno terzo posto nel girone B di Terza categoria) sono sullo sfondo, anche se desiderati un po’ da tutti, soprattutto dall’allenatore: Roberto Milani. I veri artefici di quello che sta al di là del campo sono però il presidente e i suoi collaboratori (sette in totale i soci tra Parigi e Milano), che rendono speciale una squadra che altrimenti sarebbe normale. Le iniziative che coinvolgono tifosi e giocatori sono tante: la realizzazione delle maglie, che ogni anno vantano collaborazioni con artisti contemporanei; l’ideazione dei biglietti, che tutte le domeniche sono una piccola opera d’arte e i tantissimi workshop dedicati a tutto il movimento, per imparare a fare cose diverse, come dipingere o realizzare cori.
Nella forma più diretta, il Velasca è quindi un grande esperimento artistico che utilizza il calcio solo come “medium”. Per Natlacen, infatti, la connessione tra l’arte e lo sport è lampante: “Il calcio usa gli stessi termini dell’arte: ha un suo mercato, i suoi agenti e i giocatori sono degli artisti. Del Piero lo chiamavano Pinturicchio e non è un caso”. Questo concetto però non tutti lo comprendono e non sono pochi gli avversari che, quando scendono in campo, storcono il naso a vedere questa strana tribù. Un approccio figlio dell’incomprensione, naturale quando davanti a te hai qualcosa d’indecifrabile. Lo stesso è successo anche ad alcuni calciatori, passati senza lasciare il segno tra le fila della squadra, perché per stessa ammissione dei loro ex compagni “non entravano nella mentalità Velasca“.
Come biasimarli, in fondo? Per un attimo a chiunque viene il dubbio che alla fine questo Velasca non sia (citando Fantozzi) “una cagata pazzesca”. Poi però cambi immediatamente idea, quando vedi il figlio del presidente: un bambino sui cinque anni, aizzare con in mano un megafono cinquanta persone al coro “Velaschi Velasca, pesce fritto e baccalà” e ti rendi conto che il Velasca è tantissime cose diverse tra loro, anche un modo straordinario per essere un buon padre.
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