Vaticano-Israele, dove nasce l’incidente diplomatico: il cortocircuito Prevost-Parolin e i dubbi sulla vera politica estera della Santa Sede
- Postato il 9 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Cinque mesi di pontificato e tanto da apprendere sulla diplomazia vaticana. L’ammissione è arrivata dallo stesso Leone XIV che ha assicurato di avere “davanti ancora una lunga strada per imparare”. Se, infatti, la parte “pastorale” è stata finora quella più facile, il Papa si è detto “sorpreso” dal fatto di essere stato “scaraventato al livello di leader mondiale”. Tutto è pubblico: “La gente sa delle conversazioni telefoniche o degli incontri che ho avuto con i capi di Stato di una serie di diversi governi e Paesi del mondo”. Per quanto riguarda il ruolo diplomatico della Santa Sede, Prevost ha spiegato: “Sono tutte cose nuove per me… Mi sento molto stimolato, ma non sopraffatto”. È forse anche questa una chiave di lettura dell’incidente diplomatico, non certo di poco conto, che ha visto recentemente protagonisti Israele e il Vaticano.
Incidente provocato da un’intervista del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, a L’Osservatore Romano in occasione del secondo anniversario del massacro del 7 ottobre di Hamas contro Israele. Nei sacri palazzi circola imbarazzo per quanto avvenuto, benché Leone XIV abbia saggiamente cercato di stoppare le polemiche sul nascere: “Preferisco non commentare adesso, il cardinale ha espresso molto bene l’opinione della Santa Sede”. Ma i toni del Papa su Gaza, nel secondo anniversario del 7 ottobre, sono stati decisamente molto diversi da quelli di Parolin: “Sono stati due anni molto dolorosi. Due anni fa, in questo atto terroristico, sono morte 1.200 persone. Bisogna pensare a quanto odio esiste nel mondo e cominciare a porci noi stessi la domanda su cosa possiamo fare. In due anni circa 67mila palestinesi sono stati uccisi. Bisogna ridurre l’odio, bisogna tornare alla capacità di dialogare, di cercare soluzioni di pace”. E ha aggiunto: “È certo che non possiamo accettare gruppi che causano terrorismo, bisogna sempre rifiutare questo stile di odio nel mondo. Allo stesso tempo l’esistenza dell’antisemitismo, che sia in aumento o no, è preoccupante. Bisogna sempre annunciare la pace, il rispetto per la dignità di tutte le persone. Questo è il messaggio della Chiesa”. E ancora: “La Chiesa ha chiesto a tutti di pregare per la pace, specialmente durante questo mese. Cercheremo anche, nella forma che è a disposizione della Chiesa, di promuovere il dialogo sempre”.
Un pontificato a doppia velocità? Oppure una sincronizzazione, tra il Papa e il suo primo collaboratore, ancora tutta da effettuare? Gli interrogativi e le ricostruzioni sono tanti per un pontificato ancora all’inizio, con un Pontefice a digiuno di diplomazia vaticana e, soprattutto in questa prima fase, dedicato ad ascoltare, in particolare i suoi più stretti collaboratori all’interno della Curia romana, piuttosto che a governare. Un problema nella gestione dei rapporti con i capi di Stato e di governo c’è e l’incidente con Israele lo ha fatto emergere chiaramente. L’attrito tra i due Paesi, però, si è manifestato da tempo. Nel primo faccia a faccia tra Leone XIV e il presidente israeliano Isaac Herzog, il 4 settembre 2025, la tensione diplomatica era emersa con estrema chiarezza dall’insolitamente lungo comunicato sull’udienza pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede. Un testo redatto dalla Segreteria di Stato, come prassi del resto, che sottolineava maggiormente la distanza del Vaticano da Israele, piuttosto che le affinità dei due Paesi. Dopo il Papa, come prevede il protocollo della Santa Sede, Herzog era stato ricevuto da Parolin e dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali. “Nel corso dei cordiali colloqui con il Santo Padre e in Segreteria di Stato, – si legge nel comunicato – è stata affrontata la situazione politica e sociale del Medio Oriente, dove persistono numerosi conflitti, con particolare attenzione alla tragica situazione a Gaza.
“Si è auspicata una pronta ripresa dei negoziati affinché, con disponibilità e decisioni coraggiose, nonché con il sostegno della comunità internazionale, si possa ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi, raggiungere con urgenza un cessate il fuoco permanente, facilitare l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e garantire il pieno rispetto del diritto umanitario, come pure le legittime aspirazioni dei due popoli. Si è parlato di come garantire un futuro al popolo palestinese e della pace e stabilità della Regione, ribadendo da parte della Santa Sede la soluzione dei due Stati, come unica via d’uscita dalla guerra in corso. Non è mancato un riferimento a quanto accade in Cisgiordania e all’importante questione della città di Gerusalemme. Nel prosieguo dei colloqui, si è convenuto sul valore storico dei rapporti tra la Santa Sede e Israele e sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra le autorità statali e la Chiesa locale, con particolare attenzione all’importanza delle comunità cristiane e al loro impegno in loco e in tutto il Medio Oriente, a favore dello sviluppo umano e sociale, specialmente nei settori dell’istruzione, della promozione della coesione sociale e della stabilità della regione”.
Un comunicato che non poteva non irritare Israele e segnare già un punto di rottura con il Vaticano. Ora la protesta dell’Ambasciata israeliana presso la Santa Sede per l’intervista di Parolin su Gaza rischia di compromettere seriamente le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. La domanda, però, riguarda chi sarà l’artefice, nel prossimo futuro, della politica estera vaticana: Leone XIV, che sarà sempre più esposto, soprattutto con i viaggi apostolici, nei colloqui bilaterali con i capi di Stato e di governo di tutto il mondo, o Parolin, che è al vertice della diplomazia dello Stato più piccolo del mondo? Se con Francesco, e il suo accentramento papale, non ci sarebbero stati dubbi, adesso l’interrogativo rimane, con il rischio di nuovi e gravi incidenti diplomatici difficili da minimizzare, ma soprattutto rischiosi per il ruolo della Santa Sede a livello internazionale.
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