Usa, lo shutdown è il più lungo della storia. Ecco cosa sta succedendo
- Postato il 5 novembre 2025
- Di Panorama
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Lo shutdown attualmente in corso negli Stati Uniti ha ormai raggiunto il triste primato di “più lungo della storia”. È un problema, perché la sospensione di tutte le attività governative non essenziali (questo il significato del termine che letteralmente significa “chiusura”) per 36 giorni e oltre comincia a farsi sentire su tutto il Paese.
Tutti ne sono coinvolti, amministrazione, cittadini più deboli e milioni di dipendenti federali. Partiamo dal principio. Lo shutdown del governo federale è iniziato il 1º ottobre 2025, a causa del fallimento del Congresso nell’approvare la legge di finanziamento per l’anno fiscale 2026.
Perché continua
Dopo 36 giorni l’impasse non è stata ancora superata. Al cuore dello stallo c’è un meccanismo costituzionale fondamentale del Senato americano: la regola del filibuster. Per approvare quasi tutte le leggi ordinarie al Senato, non basta la maggioranza semplice.
Sono bensì necessari 60 voti su 100 senatori, una supermaggioranza che garantisce il sostegno sia della maggioranza che di una parte della minoranza. Nel Senato attuale, i Repubblicani controllano 53 seggi e i Democratici 47.
Questo significa che per approvare la legge di finanziamento, che pone fine allo shutdown, i Repubblicani hanno assoluto bisogno del sostegno di almeno sette senatori democratici. I Democratici, consapevoli di questa posizione di forza, hanno deciso di non fornire questi voti cruciali fino a quando non ottengono concessioni significative.
Le loro richieste si concentrano principalmente sui sussidi sanitari federali, in particolare sull’estensione dei sussidi dell’Affordable Care Act (Obamacare) e l’annullamento dei tagli al Medicaid. Ad oggi nessuno dei due schieramenti sembra voler cedere.
I costi dello shutdown
Lo shutdown più lungo della storia americana sta però avendo conseguenze concrete per l’economia statunitense e per il benessere dei cittadini.
Dal punto di vista economico, le stime ufficiali sono allarmanti. Ogni settimana di shutdown costa all’economia americana circa 15 miliardi di dollari in perdita di Pil. Che ad oggi significherebbe quasi 80 miliardi di dollari in danni all’economia.
Ma l’aspetto ancora più preoccupante è l’effetto sul debito federale: le stime parlano di un aumento di 600 miliardi di dollari del debito pubblico americano dall’inizio dello shutdown.
C’è poi il danno personale per milioni di cittadini. Circa 1,4 milioni di dipendenti federali, ufficialmente “non essenziali”, sono stati messi in congedo forzato senza stipendio. Molti di loro lavorano in agenzie come la Environmental Protection Agency (EPA), la Food and Drug Administration (FDA), e innumerevoli altre strutture federali.
Mentre centinaia di migliaia di cittadini tra i più vulnerabili hanno visto tagliati i sussidi federali per il cibo, amministrati attraverso il programma SNAP (Supplemental Nutrition Assistance Program).
Più in generale, lo shutdown ha causato ritardi e interruzioni in servizi essenziali che colpiscono l’intera economia, come quella dei voli aerei, con continui ritardi e cancellazioni sui voli.
Trump all’attacco per porre fine allo shutdown
In questa situazione di stallo quasi totale, il presidente Donald Trump ha proposto una soluzione, eliminare la maggioranza qualificata richiesta. Ha iniziato a esortare pubblicamente i senatori Repubblicani ad adottare quella che è universalmente nota come “l’opzione nucleare”.
L’opzione nucleare rappresenta una modifica al sistema procedurale del Senato americano. Consentirebbe ai Senatori di eliminare la regola del filibuster, portando la soglia di votazione necessaria per l’approvazione delle leggi da 60 voti a una semplice maggioranza di 51 voti.
Il che è teoricamente possibile. Questo potrebbe realizzarsi attraverso un voto procedurale a maggioranza semplice presieduto dal vicepresidente JD Vance, il quale potrebbe dichiarare nulla l’applicazione della regola del filibuster alle leggi ordinarie.
Trump ha presentato questa mossa come necessaria e urgente. Affermando che i Democratici abolirebbero il filibuster «al primo giorno di governo» se tornassero al potere, come era effettivamente accaduto nel 2013 sotto Barack Obama, quando i dem lo abolirono limitatamente alle nomine presidenziali per evitare il blocco sistematico da parte dei Repubblicani.
Trump ha promesso che l’abolizione del filibuster non solo porrebbe fine allo shutdown, ma aprirebbe la strada all’approvazione di tutta l’agenda legislativa repubblicana: elezioni «libere e sicure», «niente voto per posta», restrizioni sulla partecipazione di atleti transgender negli sport femminili e ulteriori tagli alle tasse.
Tuttavia, nonostante gli appelli pressanti del presidente, molti senatori Repubblicani esitano. Il leader della maggioranza repubblicana al Senato, John Thune, e altri senatori di lungo corso hanno difeso strenuamente il filibuster nel corso della loro carriera politica, argomentando che rappresenta una salvaguardia cruciale delle minoranze parlamentari. Intanto però, lo shutdown continua.