Usa, i raid anti-immigrazione spaventano le multinazionali straniere. A rischio gli investimenti (e gli obiettivi economici dello stesso Trump)

  • Postato il 14 settembre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Faremo molte altre operazioni nelle fabbriche”. Le parole di Tom Homan, il border czar della Casa Bianca, illuminano la strategia dell’amministrazione Trump dopo il raid alla fabbrica Hyundai di Ellabell, Georgia, dove sono state arrestate circa 475 persone, di cui 316 cittadini sudcoreani che proprio venerdì sono stati rimpatriati a Seul. L’ondata di arresti, la più massiccia mai realizzata dagli agenti dell’Immigration and Custom Enforcement (ICE) in una singola struttura, non è destinata a restare isolata. Nuovi controlli, perquisizioni, arresti, sono probabili in altre strutture produttive USA. La cosa preoccupa le grandi multinazionali e potrebbe mettere a rischio importanti investimenti stranieri negli Stati Uniti.

Com’è noto, uno dei pilastri della strategia economica con cui Donald Trump ha vinto le elezioni ruota attorno a una promessa: attirare investimenti stranieri e riportare negli Stati Uniti la produzione delocalizzata all’estero dalle aziende americane. “I’ll take other countries’ jobs”, prenderò posti di lavoro dagli altri Paesi, è frase spesso ascoltata ai suoi comizi. La strategia, almeno sinora, non sembra aver funzionato. Gli Stati Uniti stanno progressivamente perdendo impiego nel settore manifatturiero: 12mila posti in meno nel solo mese di agosto, secondo un’analisi del Center for American Progress. Meno 42mila da aprile. Il blitz alla fabbrica in costruzione di Ellabell, di proprietà dell’azienda di auto Hyundai e di LG Energy Solution, una società energetica, rischia di complicare ulteriormente le cose. Per avviare e far funzionare impianti multimiliardari sono necessari centinaia di ingegneri e tecnici specializzati. È questa forza lavoro – fornita nella struttura di Ellabell principalmente da subappaltatori (Hyundai afferma infatti che nessuna irregolarità è stata riscontrata nei documenti di lavoro dei suoi dipendenti) – a essere stata presa di mira durante il blitz dell’ICE. Hyundai ora annuncia che, nonostante il raid, non modificherà i suoi piani di investimenti per 26 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro il 2028, impegnandosi altresì a “garantire che i suoi partner e appaltatori rispettino in futuro, pienamente, le leggi sull’immigrazione”.

Il blitz è comunque inevitabilmente destinato ad avere conseguenze. LG Energy Solution ad esempio, ha sospeso tutti i viaggi di lavoro negli Stati Uniti ad eccezione di riunioni con i clienti, conferenze e fiere, e ha consigliato a tutti i dipendenti in viaggio di “tornare immediatamente a casa o di rimanere nei propri alloggi, considerando la loro attuale situazione lavorativa”. Ha detto a CNBC Dean Baker, senior economist al “Center for Economic and Policy Research”: quello che Hyundai e gli altri investitori stranieri desumono per forza da tutta questa vicenda è che “i loro investimenti sono molto insicuri”. La cosa, ovviamente, non riguarda soltanto le aziende straniere che intendono allargare le proprie operazioni negli Stati Uniti. La cosa riguarda le stesse aziende USA. Un esempio particolarmente significativo viene dall’edilizia. Secondo una ricerca condotta dall’Associated General Contractors of America (AGC), il 5 per cento dei cantieri edili aperti in questo momento negli Stati Uniti ha ricevuto almeno una visita da parte degli agenti dell’immigrazione. Il 10 per cento degli imprenditori edili afferma che propri lavoratori hanno abbandonato il lavoro o non si sono presentati a causa di operazioni, reali o presunte, dell’immigrazione. Un altro 20 per cento dichiara di essere stato indirettamente colpito dalla perdita di personale che lavorava per i subappaltatori. Sono tensioni che incidono sul settore in un momento reso già difficile dai dazi che stanno facendo salire il costo di materie prime come acciaio, alluminio e rame. Timori legati all’immigrazione – arresti, lunghe detenzioni, espulsioni – si sommano dunque alla più recente politica tariffaria di Trump, rendendo difficile per molti imprenditori edili pianificare il lavoro.

I rischi per gli investitori, in particolare per quelli internazionali, diventano ancora più evidenti se dall’edilizia si passa alle auto e all’elettronica. L’Inflation Reduction Act, approvato tre anni fa, ha trasferito ingenti somme di denaro nel settore delle auto elettriche, con investimenti per 80 miliardi di dollari nella produzione di batterie negli Stati Uniti dalla metà del 2022 (erano stati 10 miliardi nei tre anni precedenti). Protagoniste di questo boom sono state in particolare aziende che hanno sede in Asia, ma che hanno portato ingegneri e tecnici dai loro Paesi di origine in America per allestire le nuove fabbriche, preparare le linee di assemblaggio, gestire la manutenzione. La strategia ha a che fare, secondo esperti del settore, anche con la questione della difesa della proprietà intellettuale che spinge le aziende a utilizzare lavoratori dei Paesi di origine soprattutto nelle fasi di progettazione e costruzione degli impianti. E si tratta di una strategia che ha sollevato le proteste dei sindacati americani. A Ellabell si pensava che mettere in piedi un complesso da 7,6 miliardi di dollari, ribattezzato “il più grande progetto di sviluppo economico nella storia della Georgia”, portasse opportunità di lavoro per gli abitanti della zona. Non è stato così. Come sostenuto da Local 188, sindacato che rappresenta idraulici, tubisti, saldatori e tecnici di manutenzione in 15 contee della Georgia, nella struttura di Ellabell erano impiegati lavoratori stranieri con mansioni, per esempio la posa di tubi, che avrebbero potuto essere svolte dai lavoratori americani.

È in questo intreccio di politica economica, relazioni sindacali, leggi sull’immigrazione, questioni di ordine pubblico che si colloca la vicenda della Georgia che rischia ora di allargarsi ad altre aree e realtà del Paese. Un caso per tutti, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, che nella sua struttura fuori Phoenix usa ampiamente manodopera di Taiwan e che potrebbe essere il prossimo obiettivo delle autorità USA. A parte le questioni delle singole fabbriche, il dato generale è comunque uno. Le politiche restrittive sull’immigrazione dell’amministrazione americana mettono a rischio gli obiettivi economici dell’amministrazione stessa. Il presidente “capisce che queste aziende vogliano utilizzare i loro lavoratori altamente qualificati e addestrati… ma chiede anche che esse assumano lavoratori americani per lavorare insieme a quelli stranieri”, ha affermato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt tentando una mediazione. Ma sono rassicurazioni che non sembrano rassicurare. Quanto successo a Hyundai “è un avvertimento significativo per tutte le aziende che vogliono investire negli Stati Uniti”, ha detto ancora Dean Baker del “Center for Economic and Policy Research”.

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