USA-Cina: un nuovo equilibrio commerciale amaro per l’Europa
- Postato il 16 giugno 2025
- Di Panorama
- 2 Visualizzazioni


Gli Stati Uniti e la Cina hanno annunciato di aver compiuto un ulteriore passo avanti nella ricerca di un nuovo reciproco equilibrio in tema di commercio internazionale.
Se quanto dichiarato sarà confermato, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti saranno soggette a un dazio del 55%, mentre quelle americane verso la Cina rimarranno al 10%.
La Cina rimuoverà i vincoli all’esportazione di materiali e terre rare, fondamentali per le applicazioni elettroniche. Gli Stati Uniti, dal canto loro, abbandoneranno la minaccia di non ammettere più studenti cinesi nelle proprie università.
Sembrerebbe una vittoria per Donald Trump: l’introduzione di significativi dazi asimmetrici, uno degli obiettivi inizialmente dichiarati con forza, sembra ora essere stata accettata.
A dispetto del caos apparente che sembra caratterizzare le negoziazioni commerciali americane, con tutti il corredo di dichiarazioni roboanti, repentini cambiamenti di rotta, bruschi arresti ed improvvise accelerazioni, il risultato che inizia a emergere sembra invece essere solidamente e concretamente radicato su chiari e razionali interessi che magari non condividiamo (e che sicuramente possono danneggiare l’Europa) ma che le due parti, reciprocamente, cercano di promuovere e difendere.
È infatti estremamente interessante che si sia tenuto particolarmente a precisare gli aspetti relativi alle terre rare e dell’accesso degli studenti cinesi alle università americane, due elementi esemplificativi e al cuore della reciproca dipendenza tra i due Paesi.
Gli Stati Uniti dipendono dall’Asia e dalla Cina per i propri fabbisogni nel settore dell’elettronica, non solo per avere telefoni a costi sostenibili, ma anche per reperire le materie prime necessarie a produrli eventualmente in proprio.
La Cina, dal canto suo, nonostante gli impressionanti cambiamenti degli ultimi anni – che l’hanno portata a raggiungere, e in alcuni casi a superare, il livello tecnologico occidentale – ha ancora bisogno del know-how europeo e americano se vuole raggiungere il proprio obiettivo storico di tornare a essere pienamente alla pari, se non superiore, rispetto al mondo occidentale, come è sempre stato nella sua storia con eccezione degli ultimi duecento anni. Ha inoltre ancora bisogno del commercio internazionale come mercato di sbocco per i propri prodotti.
Gli Stati Uniti e la Cina sono ormai come una coppia in cui i coniugi si sopportano a fatica, ma che, per ragioni economiche, hanno ancora bisogno l’uno dell’altro.
L’accordo sembra dunque rappresentare, per entrambe le parti, una presa d’atto che una separazione graduale e consensuale sia comunque da preferire a un divorzio conflittuale.
L’obiettivo di rendersi pienamente indipendenti l’uno dall’altro non è stato abbandonato, ma i tempi e le modalità saranno calibrati.
Cosa ci aspetta quindi nel futuro e cosa significa per noi europei?
Continueremo a vedere sicuramente screzi periodici, la cui intensità dipenderà da quanto velocemente i due Paesi sapranno effettivamente rendersi indipendenti l’uno dall’altro.
Ci vorrà comunque molto tempo. Per gli Stati Uniti non sarà né facile né breve ricostruire una propria industria domestica in numerosi e svariati settori produttivi, da tempo abbandonati. La Cina ha ancora bisogno di tempo per colmare il gap tecnologico con noi.
In tutto questo, l’Europa sembra rimanere alla finestra nella speranza che possa ritornare un mondo, quello del commercio globalizzato e della centralità europea, che difficilmente tornerà.
Se davvero la Cina ha accettato dazi asimmetrici, la posizione europea verso gli Stati Uniti di dazi “zero contro zero” sarà difficilmente percorribile, se non forse eventualmente a costi molto alti su qualche altra contropartita, anche semplicemente perché per impedire le triangolazioni commerciali richiederebbe un livello di dazi da parte nostra verso la Cina analogo a quello americano.
La globalizzazione e l’interdipendenza economica hanno prodotto ricchezza ma anche disuguaglianza e fragilità. Soprattutto, hanno bisogno della fiducia che le catene commerciali necessarie a sostenerla rimangano stabili e aperte nel medio e lungo termine. In caso contrario, producono paura.
Con gli eventi degli ultimi anni la fiducia si è incrinata, se non già persa. Per ricostruirla ci vorrà comunque tempo.
Sarebbe meglio che l’Europa si mettesse quindi il cuore in pace e ricominciasse a ragionare in termini pratici di indipendenza strategica. Questo vuol dire creare le condizioni perché tutta una serie di produzioni di base e strategiche, come siderurgia, chimica, elettronica, siano possibili e competitive anche da noi.
Il tempo è ora.