Usa-Cina si scrutano. Ecco perché Trump parla di relazioni forti
- Postato il 15 settembre 2025
- Esteri
- Di Formiche
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“Il grande Incontro Commerciale in Europa tra gli Stati Uniti d’America e la Cina è andato MOLTO BENE! (in maiuscolo, ndr). Si concluderà a breve. È stato raggiunto anche un accordo su una ‘certa’ compagnia che i giovani del nostro Paese volevano davvero salvare. Saranno molto felici! Venerdì parlerò con il Presidente Xi [Jinping]. La relazione resta molto forte!!!”. Tre punti esclamativi chiudono il post con cui il presidente americano Donald Trump ha raccontato al suo elettorato in primis (o meglio dire “first”), e poi al resto del mondo, l’ultimo dei colloqui tra Usa e Cina. A Madrid si è conclusa la seconda giornata del quarto round di colloqui tra le due potenze, guidata dal segretario al Tesoro Scott Bessent e dal vicepremier He Lifeng (che ha in mano la gestione del settore economico per conto del sempre più leader Xi Jinping). Al centro delle discussioni, svoltesi al Palacio de Santa Cruz, sede del ministero degli Esteri spagnolo, c’è stata ancora una volta la questione TikTok, con la prospettiva di una cessione delle attività statunitensi da parte di ByteDance entro il 17 settembre per evitare il blocco imposto da Washington — è questa quella “certa società” di cui parla Trump. Ci sono progressi sul piano tecnico, con l’amministrazione che però non è disposta a cedere sulla sicurezza nazionale in nome di un compromesso sull’app di intrattenimento — che per gli Usa (e non solo) contribuisce a raccogliere dati su usi e costumi statunitensi (e alleati), che la Cina usa per diffondere la narrazione strategica del Partito/Stato attraverso il sofisticatissimo algoritmo con cui si alimenta TikTok.
La cornice dei colloqui è stata comunque più ampia: dazi, flussi di terre rare, controlli sulle esportazioni tecnologiche e soprattutto il nodo del fentanyl, sostanza al centro dell’epidemia di overdose e dipendenze che da anni flagella gli Stati Uniti e che Washington ha inziato anche a imputare alla catena di forniture provenienti dalla Cina. Secondo gli americani, i precursori cinesi forniti ai narcotrafficanti messicani sarebbero parte di una strategia per diffondere gli oppioidi — a cui comunque le prescrizioni mediche senza controllo hanno dato ampio sfogo in precedenza — per favorire una dipendenza pandemica all’interno del Paese e creare un problema sociale.
I risultati degli incontri di Bessent alimentano l’impressione che una decisione politica di vertice potrebbe anche facilitare una intesa ampia. Lo ha sintetizzato William Alan Reinsch, navigato analista del Center for Strategic and International Studies, secondo cui “non ci sarà nulla di sostanziale tra Stati Uniti e Cina finché non ci sarà un incontro diretto tra [Donald] Trump e Xi”. In questo senso, i negoziati di Madrid, così come i precedenti a Stoccolma e Londra, appaiono più come un processo di avvicinamento che come un terreno per veri compromessi. Sullo stesso piano rientra il recente duplice, contemporaneo colloquio tra i rispettivi capi della diplomazia e delle Forze armate di Cina e Usa.
In questo quadro si inserisce l’invito ufficiale rivolto da Pechino al presidente statunitense per un summit con il leader cinese. L’incontro, di cui ha parlato per primo Dimitri Sevastopulo del Financial Times, potrebbe svolgersi poco prima del vertice Apec in programma il 31 ottobre in Corea del Sud. Per ora le distanze tra le due parti rimangono profonde, ma la telefonata di venerdì potrebbe ridurle. La Cina ha segnalato disponibilità a muoversi sul fentanyl, ma soltanto in parallelo con la rimozione dei dazi imposti dall’amministrazione Trump: un collegamento che Washington rifiuta, chiedendo prove concrete prima di ogni riduzione tariffaria. Inoltre, la Casa Bianca ha recentemente varato nuove restrizioni sull’export di tecnologia sensibile verso la Cina, mentre Trump ha invocato sanzioni coordinate con gli alleati Nato per colpire Pechino sulle forniture di petrolio russo. Tutti elementi che spingono a ritenere più probabile un incontro laterale ad Apec: restando nel contesto del vertice sudcoreano, sarebbe privo del cerimoniale di un vertice bilaterale a Pechino e del suo simbolismo.
La dimensione simbolica resta tuttavia cruciale. Per Xi, ricevere Trump a Pechino significherebbe mostrare continuità e prestigio dopo le visite di Vladimir Putin e Kim Jong-un, ribadendo la centralità cinese nello scenario multipolare. Per Trump, al contrario, un viaggio privo di deliverables concreti rischierebbe di apparire come una concessione di immagine al rivale strategico. Analisti, come l’ex Cia Dennis Wilder, ritengono però che Trump possa preferire Pechino, proprio per bilanciare le recenti immagini di calore diplomatico riservate a Putin e Kim e per distinguersi dalle modalità di incontro con Xi avute da Joe Biden a margine dell’Apec di San Francisco nel 2023.
Il percorso resta quindi delicato per il presidente, diviso tra due pulsioni: da un lato l’interesse a una transazione limitata e visibile che possa essere presentata come successo facilmente digeribile dalla sua constituency, dall’altro la consapevolezza che la posta in gioco è parte della più ampia competizione strategica con la Cina. A questo proposito, da Washington è arrivato un segnale significativo. Ospite della Heritage Foundation, il capo del Mainland Affairs Council di Taiwan, Chiu Chui-cheng, ha accusato Pechino di “prepararsi attivamente alla guerra” per conquistare l’isola. Ha parlato di un potenziale “effetto domino” che destabilizzerebbe la regione e metterebbe a rischio la sicurezza americana. Un avvertimento diretto non soltanto alla comunità strategica statunitense, ma allo stesso Trump, chiamato a scegliere se interpretare la relazione con Pechino in chiave di intesa commerciale o di confronto sistemico.
Chiu ha inoltre sottolineato il ruolo centrale di Taiwan come hub globale dei semiconduttori, ricordando che un’eventuale caduta dell’isola sarebbe un colpo devastante per le catene di valore internazionali e in particolare per l’industria tecnologica statunitense. Parole pronunciate in una sede non casuale: la Heritage, centro di pensiero conservatore con un ascendente diretto sull’entourage di Trump. In questo modo, Taipei ha voluto inserire il proprio messaggio nel cuore del dibattito politico americano, mentre la Cina proietta la sua potenza navale con la portaerei Fujian inviata nello Stretto di Taiwan e denuncia le missioni di libertà di navigazione (Fonop) condotte da Stati Uniti e alleati.
Il risultato è un quadro in cui il negoziato commerciale si intreccia con le dinamiche di sicurezza e con la competizione tecnologica. Geopolitica ed economia sempre più concatenate. La partita su TikTok, sul fentanyl e sulle tariffe resta parte di una cornice più ampia, che va oltre la dimensione economica. Per Trump, decidere se recarsi a Pechino o rinviare l’incontro a un contesto multilaterale come l’Apec sarà un passaggio cruciale: non solo nella definizione del rapporto con la Cina, ma anche nella narrazione interna ed esterna della sua presidenza.