Urbanistica a Milano, Albertini: «Investimmo 6 miliardi senza indagati». E su Sala chiede «rispetto per chi governa»

  • Postato il 17 luglio 2025
  • Di Panorama
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Mentre l’inchiesta urbanistica della Procura di Milano scuote Palazzo Marino e accende il dibattito politico sulla tenuta della giunta, Gabriele Albertini – sindaco della città tra il 1997 e il 2006 – interviene con toni fermi ma misurati. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’ex primo cittadino rivendica i risultati raggiunti nei suoi due mandati e invita a distinguere la responsabilità penale da quella politica, chiedendo «equilibrio» a chi oggi chiede a gran voce le dimissioni del sindaco Giuseppe Sala.

Albertini parte da un dato: «Il Comune di Milano, durante la mia amministrazione, ha investito oltre 6 miliardi di euro in opere pubbliche. Una cifra mai vista prima nella storia della città». A questi si aggiungono, spiega, oltre 30 miliardi di investimenti urbanistici privati catalizzati da un’amministrazione che ha saputo rendere Milano «una città attrattiva» per capitali nazionali e internazionali. Tutto questo, sottolinea, «senza un solo avviso di garanzia».

La trasformazione urbana – da CityLife ai primi progetti di Porta Nuova – partiva da lontano, ricorda Albertini, e si accompagnava a interventi strutturali come le nuove linee metropolitane, il restauro del Teatro alla Scala, la rinascita di interi quartieri e la gestione diretta di dossier complessi, come quello del depuratore e del traffico. «Anche in quei casi, nonostante il mio doppio ruolo di sindaco e commissario, non abbiamo avuto problemi con la giustizia», ribadisce.

Alla domanda su cosa sia cambiato oggi, Albertini risponde senza retorica: «Vedo un’amministrazione che, con molti meno investimenti, si trova invece sotto assedio giudiziario. Abbiamo 1.600 famiglie che rischiano di perdere la casa, imprese che potrebbero fallire, e un blocco potenziale dello sviluppo urbano. Se i capitali vengono dirottati altrove, anche il reddito pro capite della città ne soffrirà». E cita Luigi Einaudi: «Gli investitori hanno una memoria di elefante, cuore di coniglio e gambe di lepre».

Albertini non entra nel merito delle accuse che stanno scuotendo l’attuale giunta, ma osserva con amarezza la sproporzione tra quanto si investiva allora e il numero di procedimenti penali oggi in corso. «Mi domando come mai noi siamo riusciti a spendere più di tutti, e non abbiamo avuto problemi, mentre il povero Sala – che ha gestito Expo con la metà dei capitali – è finito a processo».

La risposta, per Albertini, sta anche nelle regole interne adottate in quegli anni: «C’era la legge Severino, ma io applicavo la “legge Severissimo”: nessun incarico a chi avesse ricevuto anche solo un avviso di garanzia. Avevamo un rapporto costante con la Procura: quando presentavo dei nomi, il procuratore Borrelli mi avvisava se qualcuno fosse sotto indagine, anche in modo riservato e informale».

Albertini rivendica anche il modello di controllo interno introdotto con largo anticipo rispetto ai tempi: «Avevamo anticipato di vent’anni l’Anac di Cantone. Lo chiamavamo “Alì Babà”: tre pubblici ministeri in servizio e tre dirigenti comunali di alto livello presidiavano ogni atto per verificarne la vulnerabilità. Avevamo introdotto i “patti di integrità”: se un’impresa truccava le gare o si accordava sottobanco, veniva esclusa. In tutto, ne abbiamo espulse 600. E c’era un team interno, l’internal auditing, composto da una ventina di funzionari con accesso completo a tutti gli atti amministrativi, che analizzavano non solo la forma, ma anche la sostanza».

Sul caso che oggi coinvolge l’assessore Tancredi, l’architetto Boeri e diversi altri protagonisti della scena milanese, Albertini preferisce la prudenza. «Conosco personalmente sia Catella sia Tancredi, e non credo che siano persone prive di integrità. Boeri è un architetto stimato in tutto il mondo. Sono di centrodestra, ma proprio per questo voglio difendere le istituzioni. Sono contrario a scambiare un avviso di garanzia o la terribile privazione della libertà con una sentenza».

Albertini parla anche per esperienza diretta. «Ho vissuto sulla mia pelle un processo ingiusto da cui sono uscito totalmente innocente, con sentenza definitiva. Da senatore, ho raccolto 194 firme per una legge che consentisse il rimborso delle spese legali a chi è stato assolto con formula piena – perché il fatto non sussiste, non costituisce reato o non è stato commesso». E cita un dato: «Ogni anno, in Italia, ci sono 90 mila persone in questa situazione. È come se tutta La Spezia venisse messa sotto accusa ingiustamente. Lo dissi all’allora ministro Orlando. È un problema civile e morale».

Sulla magistratura, Albertini evita derive populiste, ma mette in guardia contro una cultura giustizialista. «Sono stato giacobino e giustizialista per necessità – confessa – quando abbiamo dovuto espandere l’investimento privato per cambiare la città. Il signor Hines, ad esempio, mi disse che investiva 2 miliardi e mezzo perché sapeva che nella nostra amministrazione non c’era un cartaro che dava le carte. Con noi sono arrivati architetti come Pelli, Libeskind, Isozaki, Zaha Hadid. Milano è diventata una città globale».

Il suo appello finale è un invito alla cautela: «La legalità è un pilastro irrinunciabile. Ma serve equilibrio. Non posso pensare che siano tutti delinquenti e che il magistrato, solo per il fatto di esercitare il controllo di legalità, sia un genio o un santo».

Autore
Panorama

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