UNICAL VOICE – Una fiaba spezzata
- Postato il 7 agosto 2025
- Unical Voice
- Di Quotidiano del Sud
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Il Quotidiano del Sud
UNICAL VOICE – Una fiaba spezzata
In un regno dove le fiabe finivano in silenzio e sangue, una nuova legge segna l’inizio. Contro la bestia del femminicidio, le parole diventano giustizia, e le voci riscrivono il finale.
C’era una volta un regno vasto e splendente, fatto di città rumorose e villaggi quieti, di strade illuminate e vicoli bui. Un regno abitato da uomini e donne, bambini e bambine, sogni e ombre. In quel regno, ogni nascita era accolta con la stessa festa, ogni bimbo con la stessa speranza. Ma col tempo, qualcosa si incrinò. Nel cuore del regno, silenziosa e invisibile, si nascose una bestia. Nessuno sapeva bene quando fosse nata: alcuni dicevano che fosse sempre esistita, altri che si fosse nutrita delle parole sbagliate, delle tradizioni mai messe in discussione, dei silenzi complici. La chiamavano con molti nomi: onore, gelosia, possesso o rabbia. Ma chi sapeva guardarla dritto negli occhi, la chiamava con il suo vero nome: femminicidio. La bestia non ruggiva, sussurrava. Diceva a certi uomini che l’amore è controllo, che una donna che dice “no” è una ribelle da domare, che chi ama può anche distruggere, purché lo faccia “per amore”.
E così, nelle case del regno, una dopo l’altra, le fiabe iniziarono a spezzarsi. Non servivano streghe né draghi: bastava un marito, un fidanzato, un ex, un collega, uno sconosciuto. Bastava il veleno di un amore malato. Le principesse del regno, quelle vere, non dormivano in torri altissime: dormivano con un occhio aperto, aspettando che la voce si alzasse, che la mano si stringesse, che l’urlo si spegnesse nel nulla.
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Ma nel regno stava cambiando qualcosa. Le principesse divennero guerriere, e trovarono altre sorelle pronte a sostenerle. Amiche, madri, giudici, poliziotte, giornaliste, vicine di casa. Alcune avevano visto la bestia in faccia. Altre l’avevano sentita camminare alle loro spalle. Altre ancora avevano raccolto le lacrime delle sopravvissute. E avevano detto: “basta, questa fiaba la riscriviamo noi.”
Portavano con sé armi nuove: la parola, l’ascolto, la legge, il coraggio. Scrivevano nomi su muri e lenzuola. Gridavano nelle piazze e nei tribunali. Bussavano alle scuole, alle famiglie. Chiedevano che il rispetto diventasse lingua madre. Che l’amore smettesse di far rima con paura.
Ma la battaglia era lunga.
Perché la bestia era astuta, si nascondeva nei proverbi, nelle battute da bar, nei “ma lei lo provocava”, nei “era un bravo ragazzo”. Si mascherava da normalità, da abitudine, da destino. Ogni volta che cadeva una donna, il regno piangeva. Ma piangere non bastava più.
Così le sorelle non si arresero. Accanto a loro si unirono i fratelli: uomini che avevano capito che essere forti non significa dominare, ma proteggere. Che amare vuol dire lasciare liberi. Che essere uomini davvero, vuol dire non permettere che la bestia viva ancora.
E allora, nel regno, si cominciò a vedere un accenno di cambiamento. Non immediato, non magico. Ma lento e vero. Si cominciò a insegnare ai bambini che le principesse non devono essere salvate, quello sanno farlo da sole, ma ascoltate. Che l’amore non è possesso, ma scelta. Che nessuno appartiene a nessuno. Il regno oggi è ancora in battaglia. Ogni giorno si contano nuove vittime, e la bestia non ha smesso di sussurrare. Ma ora c’è chi ha imparato a riconoscerla, a chiamarla col suo nome, a combatterla senza paura. E finché anche solo una voce dirà “no”, finché anche solo una donna si salverà, la fiaba non sarà più spezzata. Sarà riscritta, con forza, con giustizia, con amore vero.
E, questa volta, non finirà con “vissero felici e contenti”, ma con “non morirono mai più per mano di chi diceva di amarle”. E non ci sarà la parola “fine”, ma sarà “inizio”.