UNICAL VOICE – Dall’oversharing allo sharenting: il fenomeno che nega la privacy ai bambini

  • Postato il 22 agosto 2025
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UNICAL VOICE – Dall’oversharing allo sharenting: il fenomeno che nega la privacy ai bambini

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Quando oversharing diventa sharenting. Quanto potere nelle nostre mani: un click può trasformare la vita in una vetrina di contenuti.


Oggi “l’internet” è un universo cosparso da innumerevoli contenuti. I social straripano di utenti. Centinaia di migliaia di nickname che nel circuito digitale perdono la propria identità di persone e diventano icone. Futili, omologate, prive di valore reale perché sostenute da uno fittizio, quello che tiene il conto dei followers: più ne hai, più vali.

Entità dalle apparenti sembianze umane, dai feed organizzati e spietatamente “aesthetic”, postano un range selezionato di video ed immagini, che variano in base alle stagioni.

Post apparentemente innocui.

Pose da copertina in spiaggia e reels recap della vacanza in estate. Stories guardando film sotto la coperta di flanella, del pupazzo di neve a Courmayeur, e della cioccolata calda al bar del centro in inverno. Selfie con l’hashtag #stanchezza in autunno, per le lunghe lezioni in Università. Pic-nic nei prati e reels delle corsette pomeridiane con il cane in primavera.

Tutto è spiattellato in maniera strategica sui propri account, il principale e lo “spam”, per dare una vibe alla propria immagine. Questo per far fronte a quelle dinamiche umane proprie della socialità che prima si vivevano fuori dagli schermi. Possibili gelosie attraverso foto con misteriosi pretendenti; generare preoccupazioni e sensi di colpa condividendo frasi, aforismi e testi di canzoni; dar vita a discussioni con i “dissing”, frecciatine verso terzi e su Tik Tok, video sfogo o story time che diano spiegazioni di un accaduto.

Ogni affare, sebbene privato, su internet diventa di dominio pubblico.

La domanda è: perché lo si fa?

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OVERSHARING: LA FEBBRE DELL’ORO NELL’ERA DIGITALE

Pochi sono quelli che sfruttano questo sistema in maniera superficiale e inconsapevole. Una delle possibili risposte è la necessità di dopamina, quella generata dal bip delle notifiche, dall’alzarsi del numero di likes e seguaci, ma anche dall’euforia della “viralità”, dall’essere temporaneamente conosciuti. Ma ciò che più alimenta la domanda di queste piattaforme, sono le aspettative di chi considera i social una possibile opportunità di lavoro. Il sogno sarebbe quello di monetizzare con un click.

È la febbre dell’oro dell’era digitale, dove tutto è troppo facile per non approfittarne.

Ma pian piano, la febbre se non curata sale, e porta alla pazzia.

Sponsorships, collaborazioni con brands e adv promettono alla neo generazione di influencers di costruirsi la strada verso il successo.

Non mancano, per la felicità delle aziende, personaggi presentati come veri e propri fenomeni mediatici: economici, ingenui e facili da accalappiare, e (soprattutto) da sfruttare, che alzano alle stelle la visibilità dei marchi.

Ma è opinione di molti, che dopo l’hype ottenuto, di questi non ne rimanga che una scadente nomea.

Ciò che non si considera è la pericolosità che può derivare dalla condivisione di gran parte della propria vita. Si sceglie cosa condividere, ma una volta postati, non possiamo scegliere in quali mani andranno i nostri contenuti. La verità è che ogni cosa è comodamente alla portata di chiunque.

DALL’OVERSHARING ALLO SHARENTING: QUANDO SI CONDIVIDONO LE VITE DEI MINORI

Un fenomeno preoccupante diffusosi recentemente, e che sembra essere il picco di questa assurda corsa alle views, è quello dello “sharenting“. Dalla fusione dei termini “share“, “condividere”, e “parenting“, “essere genitori”, consiste nella condivisione da parte di genitori o tutori di contenuti che lo riguardano, senza il suo consenso.

Una violazione della privacy del bambino ancora non attribuibile a reato, che lederebbe alla sua crescita psicofisica ed al suo sviluppo del senso di rispetto ed intimità.

Account interamente dedicati a questi bambini. Alcuni vengono ripresi h24 e ad altri viene messo in mano il cellulare e permesso di divulgare qualsiasi tipo di contenuto, da quello più normale e “bambinesco” a quello più anomalo.

I neonati vengono catturati mentre gattonano in movenze fisiologiche che i genitori/parenti interpretano come  “a doppio senso”. Altri bambini vengono coinvolti nei video virali ASMR, mentre mangiano dolciumi o cibi ambigui. Bambine colte nell’intento di truccarsi e replicare trends, beauty routines, balletti e vestiario delle Tik Tokers più grandi, spesso ai limiti dell’eticità infantile.

Quello che viene fatto passare per un gioco è in realtà la scelta consapevole di adultizzare e sessualizzare i propri figli di fronte ad un pubblico di sconosciuti per un proprio interesse.

Difatti la cosa più grave di tutta questa situazione, è sicuramente il target di followers che li segue.

CHI SEGUE I BABY INFLUENCER?

Molti personaggi pubblici si sono esposti per far fronte a questa piaga che sta rimbecillendo la società (lo youtuber Danny Lazzarin) e sono addirittura nate pagine volte a denunciare le dinamiche pericolose in cui i genitori mettono i figli. Bastano pochi click per vedere come una grossa percentuale che segue i “baby profili”, sia composta da uomini adulti, e ciò che inquieta ancora di più, è scoprire che nei loro seguiti, ci sono altre centinaia di profili di bambini e bambine.

Sarà che forse stiamo spianando la strada alla pedofilia per intrattenimento, o che semplicemente, l’infanzia è diventata una forma di spettacolo, che tra gag e pronunce sbagliate, risulti particolarmente comica (a sostegno di ciò, molti sono rimasti male del fatto che i Ferragnez abbiano deciso di togliere i loro figli dai social!).

La realtà? Ad oggi non possiamo di certo dire che bambini ed adolescenti siano al sicuro, e che anzi, a causare loro paure ed insicurezze siano proprio i loro genitori.

Una febbre collettiva quella dell’internet, che nessuna mascherina tipo Covid19 potrà bypassare.

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