UNICAL VOICE – Bluegrass: la storia di un suono, dall’America fino al cuore dell’Italia
- Postato il 10 settembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
UNICAL VOICE – Bluegrass: la storia di un suono, dall’America fino al cuore dell’Italia
La storia del genere musicale bluegrass che viaggia oltre oceano e attraverso cuori, note ed emozioni di tempi e terre lontane.
Il bluegrass è un genere che non si limita a evocare le verdi colline degli Appalachi, ma ne racconta l’anima, unendo le antiche ballate dei coloni britannici e irlandesi con i ritmi e l’energia del blues afroamericano.
Nato negli anni quaranta, il suo “suono ad alta solitudine” (high lonesome sound) si basa su un quintetto di strumenti a corda non amplificati, dove il dialogo tra musicisti avviene attraverso rapidi assoli chiamati breaks. Il vero cuore del bluegrass batte al ritmo del banjo a cinque corde, rivoluzionato dalla tecnica del three-finger picking di Earl Scruggs.
Questo stile, oggi universalmente noto, utilizza plettri su pollice, indice e medio per pizzicare le corde in sequenze veloci e ripetitive chiamate rolls. Il risultato è una cascata di note vivaci e incalzanti, perfette sia per l’accompagnamento che per gli assoli. Un altro strumento fondamentale è il dobro, una chitarra acustica con risuonatore metallico, che viene suonata in grembo con una barra di metallo che scivola sulle corde.
Il padre del bluegrass, Bill Monroe, ha plasmato questo stile, dimostrando di essere un attento osservatore delle tradizioni musicali. Fu infatti influenzato dal chitarrista blues afroamericano Arnold Schultz, noto per aver contribuito allo sviluppo del thumb-style. La sua mentalità pragmatica emerse anche quando un giornalista gli chiese se lo infastidisse che Elvis Presley avesse trasformato la sua “Blue Moon of Kentucky” in un successo mondiale. La sua risposta divenne un aneddoto celebre: “Nossignore. Erano degli assegni molto consistenti”.
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Negli anni sessanta, mentre il Nashville sound cedeva all’elettronica, Monroe difese il suo codice acustico con fermezza, elevando banjo e violino a pilastri del genere. Questa scelta di autenticità è raccontata da una famosa barzelletta: “Quanti suonatori di bluegrass servono per cambiare una lampadina? Quattro: uno per cambiarla, mentre gli altri tre si lamentano del fatto che è elettrica”.
Con il folk revival degli anni sessanta e settanta il bluegrass si aprì a un nuovo pubblico. Nacque il Newgrass, un sottogenere progressista che non temeva di sfidare le convenzioni. Band come i New Grass Revival osarono incorporare nel loro repertorio brani dei Beatles. Un approccio che, pur facendo storcere il naso ai puristi, aprì il genere a nuove sonorità.
Oggi, l’innovazione è incarnata da Billy Strings, che con il suo picking fulmineo e una voce profonda, mescola influenze che spaziano dal rock al metal. La sua storia di successi, segnata da un Grammy e collaborazioni internazionali, dimostra come il bluegrass possa evolvere senza tradire la sua anima.
Anche l’Italia ha una storia curiosa con questo genere. La sua introduzione non è stata il frutto di una strategia di marketing, ma è partita da un singolo brano iconico: Dueling Banjos dal film “Un tranquillo Weekend di paura” (conosciuto anche come Deliverance in inglese). Pochi pionieri, come i Bluegrass Stuff e i Red Wine, si fecero custodi di questo genere quasi sconosciuto. Proprio il nome dei Red Wine, una delle prime band professioniste in Europa, deriva da un aneddoto divertente: fu suggerito da un amico dopo aver visto quante bottiglie di vino erano state svuotate durante una sessione di brainstorming.
Oggi, la scena italiana dimostra una continuità eccezionale, con festival che attirano musicisti e pubblico da tutta Europa, a riprova che il bluegrass è ormai una melodia universale, capace di trovare nuovi interpreti e nuovi pubblici in ogni angolo del mondo.
Il Quotidiano del Sud.
UNICAL VOICE – Bluegrass: la storia di un suono, dall’America fino al cuore dell’Italia