Una scuola che pensi al lavoro

  • Postato il 19 febbraio 2025
  • Lavoro
  • Di Panorama
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Una scuola che pensi al lavoro



Non mi scandalizzo affatto nel sentire che il ministro Valditara intende reintrodurre l’insegnamento del latino nei primi anni delle scuole medie. Non penso che imparare quella che chiamano una «lingua morta» confligga con la richiesta delle aziende di avere una manodopera specializzata.


«Caro Direttore, confesso di essere un nostalgico delle «3 I» berlusconiane, ma sentire Valditara che vuol riesumare il latino nelle scuole medie, mi ha fatto un po’ rabbrividire. Le nostre aziende continuano a chiedere a gran voce manodopera specializzata e noi italiani siamo rinomati all’estero per una profonda ignoranza linguistica. È vero che anche nell’inglese c’è quasi un 30 per cento di vocaboli di origine neolatina, ma sono vocaboli affini anche all’italiano e non è necessario retrocedere al latino per comprenderli. Quanto al presunto sviluppo delle capacità logiche, esistono moltissime discipline, a partire dalla matematica o dalla fisica, ma non solo, in grado di esercitarle e svilupparle. Infine, a fronte di ripetute esortazioni, invero relativamente poco ascoltate, a orientarsi nelle medie superiori verso studi tecnico-scientifici, chi cerca di incentivare studi umanistici, mi sembra un po’ fuori tempo.»

Gian Paolo Franzoni

Caro Franzoni, a differenza sua io non mi considero un nostalgico, né delle «3 I» di Berlusconi (inglese, impresa, informatica) né di altro. Tuttavia, non mi scandalizzo affatto nel sentire che il ministro Valditara intende reintrodurre l’insegnamento del latino nei primi anni delle scuole medie. Non penso che imparare quella che chiamano una «lingua morta», ma che in realtà si dimostra essere assai viva quando si tratta di comprendere le origini di molte delle lingue che si parlano in Europa, confligga con la richiesta delle aziende di avere una manodopera specializzata. Le poche ore settimanali dedicate al latino non ruberebbero certo spazio a una preparazione per l’ingresso nel mondo del lavoro, anche perché Valditara parla di scuola media inferiore e non delle superiori. Gli studenti, che in base all’ordinamento italiano devono frequentare le lezioni fino al compimento di 16 anni, avrebbero dunque tempo per ricevere la necessaria preparazione a futuri impegni professionali.

Peccato che questo non avvenga perché, una volta ottenuta la licenza di scuola media inferiore, i ragazzi spesso non trovano alcun corso di studi che li aiuti a prepararsi al giorno in cui dovranno iniziare a lavorare. Mi ha molto colpito una notizia uscita sulle cronache locali del Corriere della Sera. In essa erano riportate le iscrizioni alle scuole secondarie lombarde. Secondo l’articolo, i dati ministeriali segnalavano una forte crescita degli alunni dei licei delle Scienze umane. È vero che lo scientifico resta saldamente in testa, con quasi un quarto del totale degli studenti, ma chi ha scelto l’indirizzo umanistico rappresenta il quadruplo di chi ha optato per il classico e quasi il doppio di chi ha preferito il linguistico.

Che cosa voglio dire? Che la questione del latino alle scuole medie inferiori ha poco a che fare con il tema della preparazione dei giovani a un mestiere. Semmai ci si dovrebbe interrogare se, in un mercato che richiede forti esperienze in discipline scientifiche, come matematica, fisica e informatica, ma anche la capacità di parlare più lingue, abbia senso indirizzare gli studenti verso scuole in cui si insegnano filosofia, psicologia, pedagogia, antropologia ma una sola lingua straniera. È vero che moltissimi ragazzi scelgono gli istituti tecnici, orientamento che in genere prelude a un più rapido accesso nel mondo del lavoro, e tanti si orientano verso le scuole professionali, ma forse dovremmo aiutarli a scegliere meglio.

A 14 anni si fa fatica a immaginare quale sarà il percorso lavorativo e pochi hanno le idee chiare sul futuro desiderato. A volte si sceglie un indirizzo senza consapevolezza, più per sentito dire che per una seria valutazione delle opportunità dopo gli studi, e le strutture pubbliche di orientamento di certo non risolvono la questione. Di recente mi è capitato di parlare con un imprenditore che lavora nel settore scolastico e che vorrebbe creare istituti professionali in accordo con le aziende, per consentire agli studenti di trovare rapidamente occupazione. La sua idea è semplice: molte imprese non riescono a reperire il personale di cui hanno bisogno perché la scuola non lo forma.

Dunque, in accordo con società in forte crescita si potrebbero costruire istituti scolastici su misura, già orientati verso il mondo del lavoro. Peccato che la legge italiana non lo consenta, perché l’istruzione è quella dettata dallo Stato e dunque i programmi li decide il ministero e non la scuola. Risultato: l’imprenditore in questione il suo istituto del futuro, quello che ti assicura il lavoro, è andato a farlo a Malta, che pur facendo parte dell’Europa ha una legislazione diversa dalla nostra. Vi sembra normale?

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Autore
Panorama

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