Una Montagna di bugie su Thomas Mann
- Postato il 21 giugno 2025
- Di Panorama
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La piccineria di un’epoca si può agevolmente misurare osservando la facilità con cui essa appiattisce e banalizza i grandi artisti. A 150 anni della nascita (nel 1875, a Lubecca) e a 70 dalla morte (a Zurigo, nel 1955) Thomas Mann viene giustamente celebrato con la nuova edizione Garzanti di uno dei suoi capolavori, La montagna incantata, che da poco ha compiuto 100 anni. Gli inserti culturali giustamente dedicano all’evento lo spazio che merita lo scrittore fra i più strabilianti di ogni epoca, colleghi contemporanei di minor caratura gli dedicano biografie, il mercato coglie l’occasione per scuotersi un po’, dato che Mann non è certo fra gli autori più commerciali esistenti. Ma ecco che affiora la riduzione giornalistica, la caricatura al passo con i tempi. La biografia prende il sopravvento sull’opera, e Mann diviene notevole soprattutto in virtù delle represse tendenze omosessuali, che del resto aveva ampiamente riversato nei diari e perfino in quel minuto gioiello che è La morte a Venezia, portato sullo schermo negli anni Settanta da Luchino Visconti e non a caso.
Anche Wikipedia dedica una intera sezione all’omoerotismo di Mann, il quale del resto è stato indagato in profondità da illustri studi accademici. Ed ecco che in un lampo l’austero narratore germanico diviene più attuale, spendibile in quanto rappresentante (benché riluttante e soprattutto sposato e munito di sei figli) di una minoranza. Aspetto su cui insiste abbastanza anche Il mago, romanzo-biografia firmato da Colm Toibin. Non è tutto ovviamente. A completare il ritrattino accattivante c’è ovviamente la patina di antifascismo militante. La Lettura del Corriere della Sera, ad esempio, si è premurata di spiegare, qualche settimana fa, che Mann, in quanto antinazista, «parla ancora a un Paese turbato dall’ascesa della Afd e dalla guerra vicina».
Posto che la Germania non sembra affatto turbata dalla ascesa del partito di destra, dato che questo fa incetta di voti, si potrebbe obiettare che l’attualità di Mann risieda in ben altro che l’antinazismo o l’omoerotismo, per quanto questi siano stati elementi rilevanti (con sfumature diverse) nella sua parabola terrena.
C’è poi da considerare un fatto. E cioè che Mann fu certo un intransigente nemico dei nazisti, tanto che divenne persona non grata in Germania e dovette rassegnarsi a un esilio da cui non smise di disperarsi per le sorti della sua nazione e di rimarcarne le colpe. Ma è altrettanto vero che lo scrittore fu anche e soprattutto un deciso critico della democrazia, un conservatore aristocratico (dello spirito) e un feroce nemico del progressismo modaiolo e del progressismo in generale.
Questi suoi aspetti sono notevolmente meno digeribili e commerciabili ai giorni nostri, e infatti si tende per lo più a sorvolare sul suo libro maledetto, ovvero Considerazioni di un impolitico, pubblicato per la prima volta nel 1918 (in Italia è uscito per Adelphi, non a caso) e mai rinnegato. È proprio un risvolto di copertina del volume adelphiano a ricordare ciò che Mann scrisse ancora nel 1952: «Non me la sono mai sentita di rompere davvero con le Considerazioni: esse sono un’opera di travaglio e di scandaglio faticoso e schietto di me stesso a cui devo essere grato già perché solo quella tribolazione ha reso possibile La montagna incantata».
In effetti, il romanzo gigantesco che oggi viene riproposto si può considerare una sorta di approdo narrativo di quel saggio politico e non politico assieme. La montagna incantata si presta infatti a più di una interpretazione. È senza dubbio un grande romanzo della decadenza europea, i cui tratti sono descritti nelle Considerazioni.
La trama è notissima: Hans Castorp, giovane e vagamente inetto ingegnere di Amburgo, sale a Davos per trascorrere tre settimane in sanatorio su quella montagna che finirà per avvilupparlo. Tanto che egli non riuscirà a rientrare nella vita civile, nel mondo reale, quello «di giù» dove l’esistenza procede incerta e tumultuosa. Castorp resta nell’universo della malattia, fugge da un mondo che in fondo lo sconcerta e per cui non si sente pronto. Le tre settimane previste diventano anni, lui che era salito sano si scopre malato, e paziente, come tutti nel grande sanatorio europeo. È il cantico di una civiltà che muore, che si spegne tossicchiante in una clinica privata popolata da aristocratici un po’ tristi e un po’ ridicoli e da borghesi dal futuro incerto.
La civiltà europea si guarda allo specchio, e nota gli stigmi della cancrena. Mann maledice la democrazia, se la prende con i suoi prodotti intellettuali, in particolare quello che definisce «letterato della civilizzazione».
Questo letterato è paragonabile all’intellettuale sradicato di oggi, allo scrittore di successo che fa professione di internazionalismo e progressismo, e che rifiuta la sua patria e la sua tradizione in nome di valori apparentemente più alti. La Rivoluzione francese ha in effetti prodotto questo tipo di intellettuale, lo stesso che ai nostri giorni pretende di educare le masse per renderle più civili e presentabili.
Mann detesta tutto ciò, difende ciò che è verticale rispetto all’abbassamento forzoso. «Democrazia», scrive, «significa eguaglianza, e dunque odio, odio repubblicano, inestinguibile e geloso di ogni superiorità…»
L’aristocrazia che egli vagheggia non è certo quella nazista, ma di certo non è lo Stato democratico e progressista che egli approva, anzi. Egli cerca altre vette, ed ecco l’altra faccia de La montagna incantata: è una storia iniziatica, una versione moderna dei racconti cavallereschi come il Parsifal che già aveva stregato Wagner (amatissimo da Mann). Illustrando agli studenti di Princeton il romanzo, nel 1939, Mann spiegò che il suo Castorp era appunto una sorta di puro folle alla Parsifal, un profano che salendo sulla montagna eleva lo spirito, e per riuscirci deve appunto confrontarsi con la morte, attraversarla, per poi rinascere pienamente uomo.
Un romanzo cavalleresco e spirituale, dunque, figlio di una tradizione antica e santa di cui nell’Europa decadente rimangono poche tracce. È la tradizione in cui si muove Thomas Mann, cavaliere teutonico indomito nell’era del tramonto. L’unica minoranza a cui è davvero appartenuto è quella degli eletti dell’anima che sanno maneggiare gli eterni misteri.