Un sindaco di Genova 50 anni fa decise la mia vita: ora siamo vecchi ma i sono sempre quelli
- Postato il 10 agosto 2025
- Cronaca
- Di Blitz
- 2 Visualizzazioni

Mezzo secolo fa un giovane sindaco prendeva la guida di Genova. Giancarlo Piombino aveva 39 anni, al momento dell’insediamento 2 mesi in meno del sindaco attuale, Silvia Salis.
Piombino era democristiano, pupillo di Paolo Emilio Taviani, leader dei partigiani cattolici in Liguria, per anni ministro. A Genova non c’era foglia che si muovesse a sud insaputa e senza il suo consenso.
Uno dei miei primi maestri di professione, Luigi Vassallo, si alzava in piedi e abbassava la voce come in chiesa quando lo nominava.
Taviani dovrebbe essere nei libri di scuola, padre della patria e esemplare di politico onesto. A Genova viveva e teneva corte fuori città, a Bavari. Quando la sua carriera politica finì chiuse bottega e si trasferì a Roma in casa della figlia nel rione dei Prati Fiscali, non proprio il top del residenziale.
Genova, per la cui crescita post bellica Taviani fu decisivo, lo hanno ignorato: nemmeno un carrugetto intitolato alla sua memoria. Ci hanno pensato a Roma, dove gli hanno dedicato una piazza a Cinecittà Due.
Ma questi sono pensieri di oggi. Ai miei tempi Taviani era un semidio e Piombino camminava nella sua luce. Piombino veniva dalla media borghesia genovese, un suo zio (Coungin o procuou, il procuratore Piombino) viene menzionato nella versione in lingua genovese della Eneide fatta da Nicolò Bacigalupo nel 1895.
I suoi primi amici erano del giro del bar di piazza Manin, dove ha inizio la Circonvallazione a Monte, staccandosi dalla lunga salita rettilinea di via Assarotti: due simboli della Superba cantata da Petrarca e diventata propulsore della nuova Italia unita a fine ottocento.
Nutro una particolare devozione per Giancarlo Piombino non per la sua brillante carriera (finito il mandato di sindaco, fu per un periodo segretario per la programmazione in Liguria e poi, per molti anni, presidente e ad dell’acquedotto Nicolay) questo perché ha avuto un ruolo decisivo nell’inizio della mia vita di lavoro.
Una svolta nella mia vita

Il mio primo incontro con Piombino risale al luglio del 1964. Avevo 19 anni e stavo affrontando l’esame di maturità al liceo Colombo, quello dove aveva studiato Mazzini. Io, a dire il vero, nell’ultimo anno avevo studiato poco. Lavoravo già come giornalista, curavo la pubblicazione di un settimanale sportivo, lo Sprint, dedicato agli sport “minori” genovesi e avevo iniziato a frequentare la redazione del Corriere del Pomeriggio, un giornale come tutti nell’aspetto fisico ma che usciva solo al lunedì. Di ispirazione filo Genoa, di proprietà della Unione Industriali, di orientamento democristiano: la direzione era stata affidata a Piombino, all’epoca trentaduenne.
Quel che accadde in quei giorni ha del magico, a riprova che nella vita il Fato, il Destino o se credete la Volontà divina sono pur sempre decisivi.
Si avvicinavano gli esami orali e mi ero amaramente reso conto di avere una enorme lacuna nel greco: all’esame potevano interrogarti su una tragedia o su una orazione di Demostene. Alla vigilia mi accorsi che non avevo mai nemmeno aperto il libro della tragedia. Non c’era più tempo per rimediare, il cervello si rifiutava: mi preparai a una bocciatura.
Il sabato prima dell’esame, ad ogni buon conto, mi presentai in redazione al Corriere. Li dominava Renzo Bidone, segretario di redazione e capo dello sport. O scio Bidon assegnava i servizi e tutti lo riverivano. Era un “ragazzo del ‘99”, aveva dominato il giornalismo sportivo genovese fra le due guerre, era ancora corrispondente da Genova di Stampo, Corriere della Sera e Corriere dello Sport.
Ero seduto alla scrivania davanti alla sua in attesa di ricevere qualche incarico quando chiamò il direttore Piombino. Quella era l’epoca in cui a Genova Paolo Villaggio maturava le frustrazioni del ragionier Fantozzi. Bidone scattò sull’attenti. Il Direttore aveva letto sul Secolo XIX la notizia che in un negozio di abbigliamento avevano esposto un costume da bagno per donna “topless” e voleva un articolo. Negli anni ‘60 ancora non era ben chiaro se fosse lecito il bikini, a Santa Margherita due turiste francesi che si erano scoperte il busto in spiaggia furono arrestate e condannate. Pensate un po’.
Bidone posa il telefono, riferisce la telefonata ai presenti e poi mi dice: “Vacci tu”. E io eseguo.
La sera dopo la scena si sposta in tipografia. La tipografia era al piano terreno di un edificio a due piani che ancora esiste, anche se la tipografia non c’è più, che nei suoi tempi migliori aveva ospitato la redazione del Giornale di Genova, organo del Fascio locale. Del vecchio giornale era rimasto l’arredamento in stile anni ‘30, identico a quello che trovai nel 2005 nella redazione della coeva Komsomol’skaja Pravda a Mosca. Fu nelle stanze del Corriere, semideserte in settimana, che acquisii i primi segreti del mestiere di giornalista. Molto devo al contabile, unico impiegato della amministrazione, il ragionier Biagioni. Lui custodiva il contante e le ricevute (assegni e bonifici appartengono a una più recente era geologica) in una enorme cassaforte e i racconti del tempo che fu nella sua memoria.
Il 1964 era il picco della prima crisi di assestamento della economia italiana: chiudevano le aziende, chiudevano gli alberghi nella Riviera oggi afflitta dall’overturismo, chiudevano i giornali.
Un giorno gli chiesi: “Ragionier Biagioni, cosa succedeva ai suoi tempi?”. Lui alzò gli occhiali dal naso alla fronte e senza cambiare tono della voce rispose: “Quando le cose andavano male licenziavano un po’ di fattorini, poi arrivavano i soldi da Roma e tutto continuava come prima”. Più tardi mi resi conto che così andava anche dopo. Poi è arrivato internet e la pacchia è finita.
Torniamo alla tipografia del Corriere del Pomeriggio. Consisteva di due grandi aree, rotativa e spedizione da una parte, composizione e impaginazione dall’altra. A ciascuna corrispondevano diverse fisicità e umanità degli operai: robusti al punto di sollevare pesantissime lastre di piombo da una parte, istruiti e anche colti più di molti giornalisti dall’altra.
Il futuro sindaco di Genova in tipografia
Entro in tipografia, area composizione, probabilmente per assolvere un incarico che faceva parte del mansionario di un aspirante senza referenze: prendere le bottigliette di Coca Cola conservate in un grande cassone frigo rosso in tipografia. (Questa funzione extra giornalistica mi valse per un paio d’anni, un soprannome, bottiglietta- Nacque la prima sera che scesi a prendere le Coca. Un tipografo, vedendomi, chiede a un collega: “E chi o l’è quella lì. Chi è quello?”, Risposta: “O Asia o bottiggetta, Sarà Bottiglietta”. Piaceva chiamarmi così al capo cronista del Cittadino, che veniva da un paese sui monti dietro La Spezia),
Entro e vedo il direttore appoggiato al bancone dell’impaginazione intento a leggere una bozza. Improvvisamente alza la testa sorridendo: “Bellissimo! Chi lo ha scritto?”.
Il topolino alzò il dito: “Io”, riuscì a mormorare. E fu l’inizio di una amicizia durata una vita (anche se, confesso, non sono mai riuscito a dargli del tu; lo stesso blocco con Sergio Lepri, mio direttore all’Ansa).
Fu soprattutto l’inizio di una bella carriera: grazie a Piombino entrai al Cittadino da dove passai all’Ansa, superando l’esame da giornalista professionista nel 1967, a 22 anni.
La maturità, va precisato, andò bene: mi interrogarono sulla Filippica e l’esame di greco fu salvo. Ci mise del suo il membro interno, la professoressa di Scienze, la quale confidò, con la sua pronuncia siciliana, al presidente della commissione che io già facevo il giornalista. Quello incuriosito mi chiese: “Di cosa scrivi?”. Ho scritto un articolo sul topless, risposi e lui sgranò tanto d’occhi. Passai con la media dell’8, una delle più alte di tutto il Colombo.
E veniamo all’articolo che scrissi quando Piombino fu eletto sindaco di Genova.
All’epoca io ero anche corrispondente della Stampa da Genova e redassi una intervista che riporto più sotto.
Interessante e vedere come alcune delle opere incluse nel programma di Piombino siano state realizzate (ricordo che fra le sue speranze c’era la ricostruzione del teatro Carlo Felice danneggiato dalle bombe inglesi) altre siano ancora oggi tema divisivo (la metro in Val Bisagno). E costituisce un eterno problema che soffoca l’Italia il rapporto con la burocrazia romana. Ricordiamo che per ricostruire nel solo giro di un anno il ponte crollato a ferragosto furono aboliti quasi tutti i controlli e gli intralci che frenano l’Italia. Ricordo che fu un successo tale che un ministro del tempo dovette proclamare: modello Genova? Mai.
Ed ecco la mia cronaca presa dalla Stampa del 17 ottobre 1971.
Genova: il nuovo sindaco dc elenca i “problemi urgenti”. Giancarlo Piombino, 39 anni, già assessore al Bilancio, sostiene la necessità di investimenti nelle aziende genovesi dell’Iri. Per lo sviluppo industriale nuove aree oltre Appennino. I rapporti con la burocrazia romana.
Il democristiano Giancarlo Piombino è stato eletto sindaco di Genova, la notte scorsa, alle due. con 40 voti su 78 (assenti due consiglieri, un repubblicano e un socialista).
Questa mattina, alle 10,30. ha prestato giuramento in prefettura. Lunedi prossimo, alle 11,30, riceverà le consegne dall’ing. Augusto Pedullà, che guidava l’amministrazione civica di Genova dal ‘4fi.
Giancarlo Piombino, 39 anni, è stato presidente dell’Unuri (l’Unione nazionale dei « parlamentini » universitari), poi assessore comunale con i sindaci Pertusio e Pedullà. Con Pedullà, come assessore al Bilancio, ha contribuito al “risanarnento”delle finanze comunali.
Oggi ha festeggiato l’elezione con la moglie Cristina e i figli Emilio (9 anni) e Maria Ludovica (7 anni) nel suo confortevole appartamento di corso Solferino, nella zona di Circonvallazione a Monte.
Seduto nel salotto di casa, parla dei problemi della sua città («E’ una grande emozione diventare sindaco », confessa). Il porto — Il programma della giunta sarà presentato in Consiglio entro un mese e mezzo. Piombino (“Parlo a titolo personale, il sindaco non governa da solo, ma con la giunta”) crede nella funzione del porto che « condiziona la vita economica di Genova ». Per questo « è abbastanza ovvio » che lo si debba rendere «adeguato alle esigenze future». Punto, centrale è la costruzione dello « scalo satellite » di Voltri: « Bisogna trovare i finanziamenti, anche con mezzi nuovi».
Aziènde IRI — Anche le aziende a partecipazione statale (Italsider, Asgen, Italimpianti, Ansaldo, Italcantieri) svolgono a Genova un ruolo importante (incidono per 1*11 per cento sull’occupazione cittadina): «Non chiediamo, dice Piombino, una politica ài assistenza… che siano mantenute in vita aziende che non rendono.
Bisogna che l’IRI svolga a Genova una politica di massicci investimenti, perché le aziende genovesi a partecipazione statale abbiano un nuovo impulso produttivo. E occorre allargare il ventaglio della produzione, perché si possano affrontare più facilmente eventuali crisi settoriali». Piano Regolatore — Piombino è orientato verso una continuità d’azione « sulle linee della giunta precedente », le cui scelte sono tuttora valide. Fondamentale, dice il nuovo sindaco, è la revisione del piano regolatore generale, collegata con l’idea di Genova come «area metropolitana». La città non ha spazio nei suoi confini tradizionali: solo cercando nuove zone di sviluppo (una è oltre Appennino, nell’Ovadese) le si possono « dare i servizi dei quali ha bisogno (verde, impianti sportivi) e trovare zone di espansione industriale ».
Trasporti — La preferenza andrà al trasporto pubblico: « Non perché si voglia far guerra ai mezzi privati, non per pregiudizi ideologici, ma perché lo spazio è quello che tutti possono vedere. L’obiettivo è quindi uno solo: dare ai genovesi il mezzo migliore per muoversi rapidamente ».
Presto, la nuova giunta presenterà al Consiglio comunale un piano di ristrutturazione dei trasporti pubblici, già elaborato dalla amministrazione precedente. Saranno proposte alcune scelte: il Consiglio « dovrà individuare quella ritenuta più valida e su quella agire».
Essenziale sarà la metropolitana, per la quale, però, occorrono stanziamenti statali: “Non ci sono molte altre scelle. In una città moderna, se non ci si può muovere sopra, ci si deve muovere sotto terra”.
Burocrazia — Si ripropone j il tema dei rapporti con la jburocrazia romana, che hanno amareggiato non poco la vita del sindaco Pedullà.
Dice Piombino: “Spero che una parte di questi problemi si risolva con il decentramento di certe funzioni dello Stato alla Regione. Per il resto, da un lato si dovrà ovviare alle procedure farraginose con adeguati strumenti legislativi, dall’altro, per le difficoltà di comprensione con la burocrazia statale, bisognerà far capire che i problemi di Genova sono urgenti ».
L'articolo Un sindaco di Genova 50 anni fa decise la mia vita: ora siamo vecchi ma i sono sempre quelli proviene da Blitz quotidiano.