Un fiorentino a Genova: nella Strada dei re l’ultima perla del re delle aste e del suo castello
- Postato il 26 ottobre 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Alla fine il viaggio indietro e avanti per questa Genova sprofondata nella sua bellezza e nelle sue difficoltà Marcello Cambi lo finisce mostrando in mezzo alla Strada dei Re, via Garibaldi, la “Strada Nuova”, la sua ultima conquista.
Un piccolo appartamento in uno dei palazzi cinquecenteschi diventati patrimonio dell’Unesco, uno in fila all’altro, dove sta ampliando i locali del suo ristorante-gemma, diventato il luogo più trendy di Genova, incastonato a cento metri da Palazzo Tursi, il Comune e tra gli altri palazzi cinquecenteschi.
Attraversi il selciato nobile di questa strada e entri in un portone austero che nasconde un appartamento di gran classe, già arredato: mobili antichi, affreschi sul soffitto, grandi quadri della scuderia Campi, l’uomo delle grandi aste, che passo dopo passo ha conquistato Genova con l’arte, la cultura e la bellezza. E che vive come un artigiano esperto, riservato come un genovese che non è.
“ A restaurare queste sale – ti racconta lui con il suo accento toscano, anzi fiorentino puro – ho speso 90 euro…..” . Tutto fatto con i suoi materiali e le sue mani di grande uomo d’arte, ma anche di artigiano, appunto.
Da 60 anni innamorato di Genova

Chi è Marcello Cambi questo signore, prossimo agli 83 anni che non dimostra, fiorentino di nascita, da una famiglia di lignaggio alto e parentele forti, orfano giovanissimo di un padre oppositore politico del nazifascismo, arrestato nel 1944, scomparso da un campo di concentramento all’altro, Dacau, Buchenvald e alla fine fucilato in un bosco insieme ad altri 40 vittime, i più deboli usciti da quella detenzione a crescere da un inferno all’altro.
“Solo nel 1956 abbiamo avuto la certezza che mio padre era effettivamente morto – racconta, riaprendo una ferita che deve essere stata profonda se quest’uomo ancora ricorda ogni minimo particolare di una lunga tragedia senza notizie mai certe.
Quel libro di Robert Antelme, che per primo svela al mondo gli orrori dei campi di concentramento, con il suo “L’Espece humaine”, tradotto in ogni lingua e diventato la bibbia degli orrori, Cambi lo ricorda a memoria.
Cambi è quindi un toscano fiorentino che dopo un percorso in Inghilterra, a Londra da giovanissimo esperto di arte, acquisita dai suoi geni, da sponde familiari (sua nonna era Pofferi) e da frequentazioni giuste ( ha fatto gavetta all’Hotel Savoy di Firenze grande scuola di modi e stili) fa il corniciaio per grandi committenti e guarnisce le tele di enormi artisti e soggetti come Francis Bacon.
Tra ristoranti e antichità
Ma alla fine come ci azzecca Genova con questo estroverso e versatile toscano con la vocazione dell’antiquariato, ma non solo e perché andarlo a cercare in questa città così in mutazione oggi, che lo attrasse come una calamita? Cambi approda in quella Genova di fine anni Sessanta, pronta al Sessantotto e anche ai fermenti sovversivi, ma pure culturali e avanzati di allora, per caso e un po’ per amore, perché si innamora di Anna Bozano, nome che più genovese non si può.
Hanno condiviso casa a Londra a South Kensinghton e poi dopo, in una villa fantastica prestata da amici munifici in riva al Tamigi, hanno frequentato per lavoro, amore e ricerca di bellezza tra Knightsbridge e una rinomata pelletteria di Kings Road, che allora voleva dire il top.
E a Genova sbarcano in una strada allora un po’ segreta, con antiche leggende di case chiuse molto riservate, via Palestro e la lanciano con un locale che di chiama “A’ Begudda”, al numero 44 Rosso, che diventa di colpo il locale più di tendenza che ci sia in una città che raccoglie le spinte di un Teatro Stabile in grande spolvero, diretto da Ivo Chiesa, con regie di Luigi Squarzina e pièces che squassano l’opinione pubblica, come “Tre giorni al porto” e mettono sul palco grandi artisti come Lina Volonghi che interpreta “Madre Coraggio” di Brecht.
E più in basso. in piazza Marsala, c’è quel teatrino nascosto che da fa palestra a gente come Paolo Villaggio e poi Tullio Solenghi e altri ancora di una nidiata, che cresceva all’ombra di attori come Oreste Lionello, Omero Antonutti, Eros Pagni, Camillo Milli……
“A’ Begudda” offre accoglienza e cene da favola fino alle prime luci dell’alba ai teatranti e ai giornalisti che vivono la loro stagione migliore con l’arrivo a Il Secolo XIX di Piero Ottone, che scuote la città con la sua rivoluzione e va a cenare da “A’ Begudda” e si raccomanda che gli riservino sempre il tavolo vicino a quella finestra più grande delle altre.
“A- Begudda” e “Europa” in Galleria Mazzini, sono le luci di una città che di notte si spegne un po’, anche se forse è nel suo periodo più vivo.
E il suo stile riservato e di understatement conquista Marcello Cambi, allora ventenne, e per sempre, trasformandolo, passo per passo, in quel che è oggi il “re delle aste di antiquariato” in Italia, il maggior “trafficante di bellezza”, che ci sia con depositi ovunque, Londra compresa e con base nel castello MacKenzie, sul crinale che sale da Circonvallazione a Monte verso le alture del Righi.
L’”operazione del Castello”, un gioiello Coppedè, uno dei tanti disseminati a Genova, ma costruito su quella costa magica, che si affaccia sulla Val Bisagno e dall’altra nelle tortuosità di Circonvallazione a Monte, inizia nel 2000 quando Cambi e Myke Wolkson, altra figura di magnate americano innamorato di Zena, concludono l’affare che fa passare di mano i merli e le torri.
Non è certo l’ultima operazione di questo personaggio, che a Genova potremmo definire oramai “un signore rinascimentale”, ma senza corte e protezioni di re e principi, capace incessantemente di creare bellezza o di recuperarla e lanciare sfide che hanno sempre un senso di intervento e salvaguardia di “pezzi” della città, altrimenti destinati o alla rovina o all’abbandono.
“Come si è innamorato di Genova? “, alla domanda la risposta è un po’ in controtendenza. Non il mare, non i luoghi “sacri” dell’iconografia zeneise classica, Boccadasse, lo sprofondo dei caruggi, Sotto Ripa con i suoi portici, oppure quelle creuze magiche che scalano le alture, facendoti sbucare su improvvisi panorami mozzafiato…..
No, Cambi è stato affascinato dai viali , li chiama proprio così, di Circonvallazione a Monte, la strada a mezza costa, nel cuore alto un po’ borghese, un po’ popolare di Genova, inventata da un sindaco leggendario, il barone Andrea Podestà in pieno Ottocento.
“Quei viali pieni di alberi in salita e in discesa, dai quali magari improvvisamente sbuca la vista sul mare, sul porto, in scorci impagabili, come quella Corso Firenze, una delle strade più belle d’Italia, mi ha affascinato”, spiega.
L’altro colpo di fulmine, non in senso sentimentale, ma in quello estetico sono state le signore eleganti di Genova di quegli anni, con quello stile sobrio ma perfetto, una specie di marchio unico. E poi il verde, i parchi tenuti bene da quella famiglia di giardinieri che abitavano nella Villetta Di Negro e non c’era eguali nella cura di giardini e giardinetti e aiuole.
Insomma Cambi racconta una Genova anni Sessanta, con i vigili urbani nella loro divisa classica dal casco bianco, l’uniforme grigia verde, i guanti bianchi,
Poi il terzo colpo di fulmine in certi angoli del centro storico, dove dopo “A’ Begudda “ il signore fiorentino, oramai diventato genovese, cerca di comprare i locali di una storica vedova genovese, la vedova Romanengo, nome altisonante e simbolo di una dissidenza commerciale di alto livello e finisce per concludere l’acquisto di un grande appartamento in un vicolo semisegreto, di quelli meno frequentati, che scende dal cuore di piazza De Ferrari, vico Falamonica e ci allestisce un grande locale delizioso, frutto del suo estro e del suo lavoro di artigiano sopraffino, grandi affreschi restaurati in un salone di rappresentanza, arredato con il gusto, appunto, del signore rinascimentale. E ovviamente una cucina impeccabile servita appunto con lo stile rinascimentale di vettovaglie e addobbi. Con spesso lui in carne che ti porge il piatto.
Diventa una tendenza andarci e sedersi a tavola sotto quei dipinti in poltrone Luigi XVI.
È un po’ il secondo tempo, dopo “A Begudda”, anche perché è un altro tempo , un’altra storia quella che vivono i caruggi sotto attacco dell’immigrazione clandestina e Cambi così sfida anche questo, in una fase nella quale ancora non c’è il turismo scatenato che arriverà a diventare overturism e invaderà il centro storico, risalendolo in branchi compatti, dietro le guide che sventolano la bandierina bianca o i loro ombrelli, come succede ora che le maxinavi di Costa e Msc scaricano migliaia e migliaia di ospiti di tutte le razze.
Quando apre nei caruggi “Cambi Café”, così si chiama, è una attrazione per i genovesi con il naso fino al gusto, ma anche per gli stranieri che cercano più che il menù sofisticato, il bello delle stanze, dei quadri, degli affreschi. Sono i russi delle prime ondate che comprerebbero tutto e si accontentano di prendere le misure da Cambi.
Ma oramai quel signore toscano Genova l’’ha conosciuta bene e sembra che il suo istinto lo guidi nel dedalo di una città immobile, ma non come sembra. Così scopre nella salita della Tosse, altro angolo strategico, una casa dove un po’ vivere e un po’ organizzare il suo laboratorio.
È il passo che lo porterà a quel castello costruito dallo scozzese MacKenzie e gli permetterà con l’aiuto di grandi architetti, come Franchini, di lanciare quella che diventa la prima casa d’aste genovese, quella che oramai è una forza, un marchio genovese che si espande con i depositi nelle vallate interne di Genova, cataste di quadri, di immobili, di arredi, con le succursali a Milano e perfino a Londra.
Quel Castello che si riempie di cose belle in una superficie di 7 mila metri quadrati sfoga quella che Cambi definisce “l’ansia di mettere sempre tutto a posto bene” e che nasce proprio dalle sue mani.
In questa rincorsa alla bellezza e alla qualità ci sta anche l’invenzione di un piccolo hotel di charme, quando ancora questa forma di ospitalità non esisteva e che Marcello Cambi lancia a Castelvecchio di Rocca Barbena, entroterra aspro di Albenga. Sono poche stanze raffinatissime, in cima a un altro castello, in cima a una altura che galleggia tra il mare e la montagna. In un’epoca nella quale ancora non esistono sul web segnalazioni, giudizi, stile trip advispor e mappe per viaggiatori, affamati di scoperte le più nascoste e impervie, quel luogo diventa una gemma. Lui dice, merito di una cuoca rumena che ammaliava gli ospiti con la sua cucina.
In realtà il merito è sempre il suo e di questa sensibilità costruita nel tempo dalle origini fiorentine, alla scuola londinese e poi l’impatto con quella Genova che non si riesce a paragonare a quella di oggi. Ma lui non demorde, forte di una squadra prima di tutto famigliare, la moglie, un monumento di gusto e i tre figli maschi Matteo, Sebastiano e Giulio, supercoinvolti e attraversa con il suo passo instancabile “la strada dei Re” per aprire un’altra porta al gusto e alla bellezza. I genovesi del Terzo Millennio apprezzano, ma forse non ringraziano neppure…..
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