Tutto ebbe inizio in seconda liceo: volevo fare il giornalista ma non sapevo da dove cominciare
- Postato il 14 settembre 2025
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- Di Blitz
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Tutto ebbe inizio in seconda liceo. Volevo fare il giornalista ma non sapevo da dove cominciare. Alla fine ci sono riuscito: sono occupato solo di giornali, tutta la vita, per mezzo secolo giorno e notte.E continua a farlo ancora oggi che ho compiuto ottant’anni.
La scelta di fare il giornalista risaliva alla fine della terza media e si era radicata negli anni anche con esperienze dirette.
Ebbi la fortuna di conoscere un giornalista importante, Guido Coppini, padre del mio compagno di banco in quarta ginnasio. Coppini mi aveva dato un sano consiglio: lascia perdere la letteratura e la poesia, pensa allo sport. E lo sport mi aprì la strada della professione.
Decisivo fu un mio compagno di scuola, Gianluigi Corti, più grande di me di qualche anno ma in ritardo con gli studi perché una malattia lo aveva tenuto fermo all’ospedale infantile Gaslini di Genova per un paio d’anni. Negli anni sarebbe diventato un personaggio importante dello sport genovese e nazionale e del giornalismo sportivo. Suo figlio Michele continua la tradizione, forse in meglio.
Nei primi anni 60, Gianluigi Corti aveva adottato la causa della pallavolo, all’epoca uno sport molto marginale, che nessuno conosceva: non era ancora il volley. Lui seguiva compassione i tornei e le squadre e aveva bisogno di un aiuto così iniziare la mia carriera, raccogliendo la domenica sera i risultati delle partite di pallavolo a Genova e dintorni. li mettevo in bella forma e facevo il giro dei giornali che sarebbero usciti il lunedì, il corriere del pomeriggio e la gazzetta del lunedì (fino a pochi anni fa, i due principali quotidiani genovesi, il Secolo XIX e il Lavoro, non avevano l’edizione del lunedì) per poi allargare la cerchia delle conoscenze, a tutto possibile. settimanali marginali, inclusi.
Giornalista del volley

Ricordo ancora con nostalgia e un po’ di vergogna come trattavo ossequiosamente direttori improbabili del sottobosco genovese. Ricordo con commozione Gaggero: era un vecchio giornalista sopravvissuto a tutti i regimi un po’ sdentato e zoppo. Passava le giornate in un bar della zona di San Nicola che imponeva di scendere una serie di scalini per accedervi. Coppini mi raccontò un episodio che dice tutta la durezza dei rapporti di una volta. Gaggero era stato, negli anni ‘30. un collaboratore di Renzo Bidone, grande boss del giornalismo genovese. Per lui aveva lavorato anche Renato Tosatti, padre di due formidabili giornalisti della mia generazione, Giorgio e Marco, tra i fondatori di Tuttosport, morto con altri giornalisti e tutta la squadra del Torino nel disastro aereo di Superga.
Tosatti era proprio bravo al punto che trent’anni dopo ancora i muri del corriere del pomeriggio, già Giornale di Genova parlava ancora di lui. Minor orgoglio quando le vecchie centraliniste dicevano di me: “O l’è come o Tosatti”. Io sono stato il penultimo di una lunga serie di “negri“, come si diceva, al servizio del commendator Bidone. In mezzo c’era stato. Gaggero. L’episodio raccontato da Coppini risale alla seconda metà degli anni 30. Bidone era stato in vacanza e viaggerò lo aveva sostituito. Al ritorno del capo Gaggero restituì le consegne, invocando con orgoglio un complimento. Bidone col suo umorismo, un po’ crudele, replicò: “Bravo Gagge, ma oua o l’è o momento de rientra in ti ranghi”, ora è il momento di rientrare nei ranghi, feroci gioco di parole perché in genovese rango vuol dire anche zoppo.
L’esperienza in ospedale aveva fatto maturare molto Gianluigi Corti. Fu colui che andai per la prima volta al ristorante, fu colui che uscì per la prima volta a Genova: una trasferta a Torino a seguire una partita di pallavolo della Beloit. In quell’occasione, uno della squadra locale mi offri un caffè. Quell’accento torinese mi rimase impresso per tutta la vita. Un po’ lo avrei assorbito nei miei 10 anni passati a Torino.
Per allargare il quadro delle squadre coperte, cominciai a chiedere aiuto ai miei compagni di scuola, in particolare uno molto bravo, Adriano Mancini. La nostra base erano gli uffici del CSI, centro sportivo Italiano, in Vico Falamonica, ovviamente chiusi la domenica.
Il fervore di quel gruppetto non passò inosservato. Da tempo i vecchi del centro sportivo coltivavano l’idea di riprendere le pubblicazioni di un settimanale dedicato allo sport minore, lo Sprint.
Capo redattore in terza liceo
Direttore designato era Riccardo Carovino, un uomo con un cuore così e un bravo giornalista rimasto però ancorato al suo lavoro iniziale di bancario. La sua “base” era stata per anni il bar di angolo di Piazza Manin e il suo giro di amici includeva Piombino e Gimelli, funzionario dell’Associazione Industriali e direttore amministrativo del corriere del pomeriggio.
Mi ritrovai in terza liceo a essere capo dottore di questo settimanale che aveva una sua diffusione, circa 5000 copie vendute, nella grande Genova. Corti erano l’amministratore. Carovino il direttore. Tra le firme, il futuro procuratore capo della Repubblica di Genova, allora pretore a Voltri, Francesco Lalla l’eterno grande Vittorio Sirianni, oggi novantenne ma mi dice Manzitti sempre uguale a se stesso.
L’esperimento andò avanti qualche anno poi i conti non tornavano e chiuse. Io nel frattempo avevo superato l’esame di maturità ed delle entrate nella grande vita dei giornali.
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