Tutte le storie mondiali di Gianfranco Rosi: “Negli Usa ho conosciuto Trump. Da giovane ha fatto boxe, poi ha smesso perché prendeva troppi pugni”
- Postato il 14 giugno 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nei dieci anni che vanno dal 1987 al 1997 un pugile italiano è riuscito a combattere per diciotto volte in incontri validi per un titolo mondiale. Gianfranco Rosi è il recordman di questa speciale classifica, nessuno in carriera è riuscito ad arrivare a tanto in Italia. Un campione, che dopo essere stato tanto tempo in Federazione pugilistica, oggi non fa più parte dello staff di tecnici azzurri: “Da qualche mese sono stati rinnovati i vari settori e c’è stato un ricambio generazionale, che mi trova d’accordo, anche perché lo sport è molto più stressante rispetto a prima”.
Rosi, chi è stato il più grande pugile italiano della storia?
“Nino Benvenuti è stato il più grande ed era anche una bella persona. Io mi metto al terzo posto, perché Carnera non va escluso da questo podio. Benvenuti è il numero uno, anche per quello che è stato fuori dal ring. Le parole contano, ma solo se ci sono risultati. Io ho affrontato 18 sfide mondiali, più di tutti, per la statistica dovrei essere io, ma dico di no: Benvenuti e Carnera mi sono stati superiori”.
Quale è stato il momento più importante della sua carriera?
“Quando nel 1989 sono riuscito a diventare campione del mondo negli Stati Uniti, il terzo italiano della storia a riuscirci. Van Horn era buon pugile e un idolo su cui negli Usa si puntava molto. A me arriva un’offerta dall’America, quando ero reduce da una sconfitta con Curry e così non posso che dire di sì. Loro pensavano fossi una vittima predestinata, ma evidentemente non avevano fatto i conti con Gianfranco Rosi. Molto difficile vincere in America, me lo diceva sempre anche Nino che c’era riuscito pure lui. Prima ancora l’impresa l’aveva fatta Carnera”.
Ci racconti la sua America.
“Là tutto è spettacolo e business, devi essere preparato sennò ti distruggono, io arrivai pronto anche psicologicamente. Alla cerimonia del peso consegnai una t- shirt a Van Horn con la mia foto davanti e con scritto in inglese: A te ci penserò domani. Così facendo è come se il primo round lo avessi già portato a casa. Serve molta personalità in America”.
Ma poi si sale sul ring.
“L’ho disintegrato, io ero preciso, veloce, tecnico pur senza avere il pugno del ko”.
In quell’occasione ad Atlantic City ha conosciuto anche Donald Trump.
“Il Trump Castle, che tuttora esiste, era di proprietà di Trump. Era un grande tifoso di pugilato, alla cerimonia del peso presenta Van Horn e poi presenta me, all’epoca non parlavo inglese e gli dico: I am sorry, I no speak english. In qualche modo capii che in gioventù aveva provato a fare boxe, ma che poi aveva smesso perché prendeva troppi cazzotti, era un appassionato vero”.
Lei faceva la boxe da professionista al 100 per cento?
“Mi dedicavo tutto il giorno alla boxe per 365 giorni all’anno”.
Le manca un oro olimpico da dilettante?
“No. Avrei dovuto fare l’Olimpiade 1976, ma nella mia categoria vinse Ray Sugar Leonard. Non credo, insomma che avrei vinto con un fuoriclasse del genere”.
Nel 1997 dopo la sconfitta con Verno Philipps in Inghilterra, incontro valido per il mondiale WBU, conclude la sua carriera. Salvo ritornare nel 2003 e combattere altri cinque match fino al 2006. Chiude definitivamente all’età di 49 anni. Lo rifarebbe quel rientro?
“No, non lo rifarei. Un atleta deve pensare sì di vincere il mondiale, ma bisogna anche volersi bene. Diciamo che non è che il dottore ti dica di prendere due pugni dopo pranzo ogni giorno, eh… Gli anni di inattività non fanno bene anche se sei stato un campione, perché il tuo fisico non è più abituato, anche psicologicamente”.
I suoi esordi invece li ricorda?
“Si indossavano i guanti di crine senza le protezioni che ci sono oggi, la tecnologia giustamente deve andare avanti”.
Ha vinto anche II Ristorante, il primo reality di Rai Uno, condotto dalla Clerici. In quel caso la borsa fu buona?
“Neanche tanto. Ogni partecipante doveva gestire l’attività: io non ero finto, un puro in mezzo a tanti sotterfugi. Ero a mio agio. Da piccolo avevo fatto il cameriere a Perugia, poi anche il barista. Spesso da professionista mi ero abituato a farmi da mangiare da solo, mi piace ancora oggi cucinare. Sono stato uno dei primi pugili nei reality, ho cercato di cambiare l’idea del pugile suonato, che in realtà è una personale normale”.
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