Turchia, Erdogan si sbraccia per difendere la Siria che massacra la minoranza drusa e attacca di nuovo Israele
- Postato il 18 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La reazione, da copione, dell’autocrate Recep Tayyip Erdogan ai bombardamenti di Israele su Damasco non si è fatta attendere. Del resto, come avrebbe potuto proprio il Sultano, ovvero il mandante del nuovo regime siriano guidato dallo scorso dicembre dall’ex qaedista Ahmed Sharaa – che solo grazie ad Ankara è riuscito a defenestrare il dittatore Bashar Assad – a evitare di correre in difesa del suo giovane protetto islamista che, de facto, gli funge da governatore o gran Visir, per usare il linguaggio ottomano tanto caro a Erdogan ?
Peccato che il massacro di Suwayda non possa essere derubricato a “conflitto settario”. Si è trattato in primis di un attacco ordinato dal nuovo governo a una delle città del paese che dice di voler guidare in modo democratico e pluralistico nonchè al capoluogo della omonima regione abitata dalla minoranza drusa (la religione drusa non ha nulla a che vedere nè con l’Islam nè con il Cristianesimo, ndr) che durante questi 13 anni di conflitto aveva mantenuto buoni rapporti con il precedente regime alawita.
C’è dunque ancora molto spazio per le vendette contro le minoranze da parte degli estremisti sunniti che ora siedono al governo della Siria facendo finta di essere diventati moderati e tolleranti. Erdogan, pertanto, non poteva esimersi dal tentare di distorcere lo scopo dell’intervento dell’aviazione militare israeliana contro il ministero della Difesa di Damasco e, di conseguenza, ha tuonato contro Gerusalemme accusandola di usare la minoranza drusa come pretesto per espandere la zona cuscinetto che ormai va oltre il versante siriano delle Alture del Golan, il cui rimanente versante è stato annesso unilateralmente da Israele nel 1980 dopo anni di occupazione.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani negli ultimi giorni nella regione meridionale sono state uccise 310 persone a causa dell’aggressione del governo nei confronti delle istituzioni locali e della popolazione. Questi fatti fanno tornare alla mente i due distinti massacri perpetrati dal governo siriano in una regione diversa, quella costiera abitata dalla minoranza alawita, a cui apparteneva il clan Assad, lo scorso Natale e quindi ai primi di marzo. I fatti di Suwayda sono tanto più gravi, se osservati da Occidente, poiché si inseriscono in un contesto di piena legittimazione statunitense ed europea al nuovo governo. Per non dire che “papà” Erdogan è membro importante della Nato a cui offre il secondo esercito piú potente dopo quello statunitense. “Israele, usando i drusi come scusa, ha esteso il suo banditismo nella vicina Siria negli ultimi due giorni”, ha dichiarato Erdoğan in un discorso televisivo dopo la riunione settimanale del governo. “Voglio ribadirlo ancora una volta, in modo chiaro e diretto: Israele è uno Stato terrorista senza legge, indisciplinato, senza principi, viziato e avido”, ha affermato. In questa fase, “il problema più grande nella nostra regione è l’aggressione di Israele… Se il mostro non verrà fermato immediatamente, non esiterà a gettare prima la nostra regione, poi il mondo intero, nel fuoco”.
Il Sultano si è poi profuso in lodi nei riguardi di una Siria sempre più stabile che genererà ulteriore stabilità per tutti i Paesi limitrofi; altrimenti, tutti ne sopporteranno il peso. Ma una Siria stabile per ora si puó osservare solo sulla mappa dei sogni o delle truffe gropolitiche, che è la sua preferita. “Coloro che cercano un futuro sicuro attraverso l’oppressione e i massacri non dovrebbero mai dimenticarlo: loro sono solo passanti; noi siamo gli albergatori. Siamo noi che apparteniamo veramente a questa terra”. Le parole di Erdogan trasudano disprezzo in realtà per quella che lui, a parole, loda: la democrazia. Se il sunnita Erdogan – co-leader della Fratellanza Musulmana assieme all’emiro del Qatar – amasse e perseguisse davvero la democrazia avrebbe condannato il massacro di Natale degli alawiti e quello attuale dei drusi. Invece ne approfitta per condannare con tutta la retorica di cui è capace e senza mezzi termini Israele “Stiamo monitorando attentamente tutti gli sviluppi in Siria, mantenendo la comunicazione con le nostre controparti e continueremo a farlo”, ha dichiarato il presidente turco.
La politica fondamentale della Turchia è preservare l’integrità territoriale, l’unità nazionale, la struttura unitaria e l’identità multiculturale della Siria, secondo Erdoğan. “Attraverso la nostra onorevole politica estera, gli sforzi di pace e gli impegni diplomatici, la Turchia si schiera dalla parte della pace”, ha affermato Erdoğan, aggiungendo: “Non nutriamo rancore verso nessuno, né invidia o ostilità. Non violiamo i diritti, le leggi o la sovranità di nessuno; vogliamo solo la pace”. Il 13 luglio sono scoppiati scontri su piccola scala tra tribù arabe beduine e gruppi armati drusi nella provincia meridionale siriana di Sweida. L’esercito di Damasco è subito intervenuto contro i drusi che sono invisi agli “ex tagliagole estremisti islamici sunniti” perchè oltre confine, cioè in Israele, sono alleati delle Istituzioni e molti membri della comunità prestano anche servizio nelle forze di difesa israeliane . Gli Stati Uniti, stretti alleati di Israele e della Turchia, che stanno cercando di rilanciare le relazioni con la Siria, hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo per ripristinare la calma nella zona. Ma non si capisce se reggerà. Erdoğan ha dichiarato di aver parlato telefonicamente con il presidente ad interim siriano Ahmed Sharaa il 17 luglio.
E a proposito di manipolazione e soppressione della democrazia, il sindaco -sospeso- di Istanbul e candidato presidenziale dell’opposizione, Ekrem İmamoğlu, in carcere dallo scorso marzo sulla base di numerose accuse prefabbricate per impedirgli di correre per le presidenziali del 2028, è stato intanto condannato a 1 anno e 2 mesi di carcere con l’accusa di minacce e insulti a pubblico ufficiale, in relazione alle sue dichiarazioni contro il Procuratore Capo di Istanbul, Akın Gürlek. È stato assolto dall’accusa più grave di “aver additato pubblicamente i funzionari coinvolti in attività antiterrorismo come bersaglio per gruppi terroristici”, il che ha portato a un esito meno severo rispetto all’atto di accusa iniziale. İmamoğlu è comparso per la terza volta davanti al 14° Tribunale Penale all’interno del complesso carcerario di Marmara, noto anche come carcere di Silivri, dove è detenuto. Con accuse che prevedevano fino a 7 anni e 9 mesi di carcere e un potenziale divieto politico, è entrato in aula sotto scorta della gendarmeria ed è stato accolto da un applauso. I sostenitori hanno urlato a piú riprese: “Presidente İmamoğlu”, “Nessuna liberazione da soli” e “Presidente Ekrem!”. In aula, si sono uniti a lui il leader del CHP , il maggior partito di opposizione di cui il sindaco è membro di spicco, Özgür Özel, funzionari del partito e sindaci, il presidente dell’Unione degli Ordini degli Avvocati Turchi (TBB) Erdinç Sağkan, il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul İbrahim Kaboğlu e numerose personalità politiche, avvocati, giornalisti, insieme con la moglie e il figlio.
Le accuse derivano da un discorso del 20 gennaio in cui İmamoğlu ha criticato la gestione da parte di Gürlek della detenzione del leader della sezione giovanile del CHP. “Convocate Cem Aydın per una testimonianza e fate irruzione in casa sua. Il vostro obiettivo è spaventare la gente. Procuratore, mi rivolgo a voi. Sradicheremo la mentalità che vi controlla dalla coscienza della gente, così che nemmeno i vostri figli subiscano questi maltrattamenti”, aveva dichiarato, innescando un’indagine penale. All’udienza, İmamoğlu ha risposto al parere scritto del pubblico ministero depositato il 13 giugno, tre giorni prima della seconda udienza. Il giudice che presiedeva il processo lo ha diffidato dal ripetere le sue precedenti dichiarazioni, affermando di essersi già difeso contro il parere del pubblico ministero. İmamoğlu ha replicato: “No, non ho risposto al parere. Ho spiegato la nostra situazione”, e poi ha presentato una difesa completa.
Ha sostenuto che il processo si estendeva oltre i commenti fatti durante una tavola rotonda e ha parlato del raggiungimento di un “punto di svolta” per la Turchia. Riflettendo sulle sue precedenti dichiarazioni in tribunale, ha affermato: “Con i rischi di guerra che si diffondono in tutta la regione, ho concluso dicendo, come ha detto il governo: ‘Non c’è altra via d’uscita che rafforzare il fronte interno’. Oggi, non c’è altra via per nessuno. Sono passati meno di 30 giorni, eppure sono rattristato dagli eventi in corso”, ha aggiunto, mettendo in guardia dal cambiamento delle alleanze globali e regionali in un contesto di inflazione incontrollata e povertà che grava sulla Turchia. “Ricevo decine di migliaia di lettere e ascolto ogni giorno tutte le preoccupazioni provenienti dall’esterno”.
İmamoğlu ha spostato la sua difesa concentrandosi sul disarmo del PKK, rivolgendosi al partito nazionalista turco MHP e al partito filo-curdo DEM, entrambi coinvolti nel processo di pace in corso: “Distanziatevi da qualsiasi mentalità che strumentalizzi questo processo per opportunismo. Assicuratevi che continui in modo trasparente, inclusivo e accogliente. Affinché questo porti alla pace, è essenziale abbandonare pratiche illegali e nomine di fiduciari. Dichiaro nuovamente di continuare come soldato nella lotta contro il male e l’ingiustizia. Che Dio ci protegga tutti da coloro che fanno del male e mi calunniano”. Uno degli avvocati del sindaco, Fikret İlkiz, ha poi sostenuto che le osservazioni di İmamoğlu erano state estrapolate dal contesto e basate su un solo servizio di un sito di notizie, ovvero OdaTV. Ha sostenuto che le critiche alla magistratura e al pubblico ministero erano una risposta democratica. Sottolineando un precedente, İlkiz ha citato il discorso del presidente Erdoğan del 1998, che aveva portato a un esito giudiziario diverso.
Quando l’avvocato del procuratore Akın Gürlek, Abdullah Adır, ha insistito per rispondere, il giudice ha rifiutato, affermando: “Questo non è un consiglio comunale”. Il giudice ha quindi invitato İmamoğlu a rilasciare la dichiarazione finale. Che è stata questa : “In questo Paese paradisiaco, sono una minaccia per una persona. E quella persona è minacciata non da me, ma dalla nazione. L’ho battuta quattro volte alle urne e sono una minaccia perché la batterò una quinta”.
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