Turchia, 39 arresti contro la “piovra della corruzione”, ma l’opposizione protesta: “Erdogan vuole il voto anticipato ed elimina gli avversari”
- Postato il 18 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il presidente Erdogan la definisce “una piovra le cui braccia si estendono in altre parti della Turchia e all’estero”. Il riferimento è a quella rete di corruzione che si intreccia con i germi del terrorismo: si tratta del nemico numero uno e deve essere debellato. Per l’opposizione, però, le continue operazioni di polizia mostrano un dato preoccupante: oltre ai “soliti gulenisti” – i sostenitori del leader islamico Fethullah Gulen, ormai scomparso a cui Erdogan attribuisce la responsabilità del fallito golpe del 2016 – in manette finiscono gli esponenti del Chp, il partito che preoccupa maggiormente il presidente e la sua formazione (Akp). Solo nell’ultimo fine settimana il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya ha dato notizia dell’arresto di 39 persone in 29 province.
Per le autorità si tratta di persone legate “all’Organizzazione del terrore gulenista (Feto)”. Questa attività arriva in un momento di incertezza per il futuro politico della Turchia. In teoria Erdogan, protagonista assoluto negli ultimi 20 anni, alle elezioni del 2028 non potrebbe ricandidarsi perché alla scadenza del suo terzo mandato. Tuttavia, uno spiraglio per lui ci sarebbe se il Parlamento dovesse indire elezioni anticipate nel 2027. L’opposizione si aspetta proprio questa mossa e in questo contesto inquadra le centinaia di arresti.
Cinque mesi fa è finito in galera l’ex sindaco di Istanbul e principale avversario di Erdogan, Ekrem Imamoglu con l’accusa di corruzione. Da quel momento la magistratura ha aumentato la pressione. Secondo i conti fatti dal New York Times, sono 390 le persone accusate di presunti casi di corruzione, per la Reuters sono stati 500 gli arresti in nove mesi, tra cui 14 sindaci. Lo stesso partito laico Chp, che cerca di sbarrare la strada ad Erdogan, non solo respinge le accuse mosse dai magistrati, ma lamenta che dall’estero le manovre del presidente turco suscitano scarse critiche.
La ragione è palese: Erdogan ha giocato a fare il paciere tra Russia e Ucraina, resta a capo di una forza Nato tra le più imponenti in un’area delicata, ha ricevuto il palese appoggio del presidente americano Trump e nel mondo arabo si è eretto a paladino dei palestinesi nel conflitto tra Hamas e Israele. Dunque, se il presidente gioca a modo suo la partita di casa il mondo fa spallucce e guarda avanti verso crisi visibilmente drammatiche. Eppure, è proprio al mondo esterno che Imamoglu si è rivolto poco prima di Ferragosto, inviando un messaggio dal carcere tramite i suoi sostenitori: “Ai leader di Washington, Berlino, Londra e altrove: se volete una Turchia stabile che faccia parte della famiglia democratica globale, non dovete distogliere lo sguardo quando la democrazia viene smantellata davanti ai vostri occhi”.
Imamoglu ha già fatto sapere di essere disposto a sostenere altri politici per battere Erdogan nel caso gli venisse impedito di correre alle prossime elezioni. Mehmet Pehlivan, avvocato dell’ex sindaco di Istanbul, anch’egli incarcerato il mese scorso con l’accusa di associazione a delinquere, ha ribadito che l’indagine a suo carico cerca per la prima volta di criminalizzare “il diritto di esercitare la professione forense” e che nei confronti di Imamoglu non esiste “alcuna prova concreta”.
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