Trump si gioca l’ultima carta diplomatica con l’Iran. E mette in stop Israele

  • Postato il 17 aprile 2025
  • Di Panorama
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Si svolgerà a Roma il secondo round di colloqui sul dossier nucleare iraniano, dopo il primo incontro tenutosi il 12 aprile scorso in Oman. A riferirlo sono diversi media arabi. All’appuntamento, che si inserisce nel quadro dei negoziati indiretti tra Stati Uniti e Iran, è attesa la partecipazione dell’inviato del presidente Donald Trump, Steve Witkoff, del ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e del capo della diplomazia omanita Badr Albusaidi, incaricato del ruolo di mediatore. Il colloquio nella capitale italiana arriva in un momento cruciale per i rapporti tra Washington e Teheran, con gli Stati Uniti che, da un lato, mantengono alta la pressione attraverso nuove sanzioni e, dall’altro, rilanciano il canale del dialogo con il sostegno della diplomazia omanita. Sebbene la Farnesina non avrà un ruolo diretto nel negoziato tra Stati Uniti e Iran, l’Italia potrebbe comunque svolgere una funzione di raccordo politico e diplomatico. I colloqui, secondo quanto trapelato, si terranno presso l’ambasciata dell’Oman in via della Camilluccia, a Roma Nord. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato in queste ore in un’intensa attività diplomatica con Riad e Abu Dhabi, è atteso sabato a una serie di incontri con i protagonisti del dialogo: l’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff, il ministro degli Esteri omanita Badr Albusaidi e il capo della diplomazia iraniana Abbas Araghchi. Nel corso della giornata, Tajani vedrà anche Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che ieri ha lanciato un nuovo inquietante allarme: l’Iran, ha dichiarato, «non è lontano» dal disporre di una bomba atomica.

Per il momento stop all’attacco contro l’Iran

Israele aveva messo a punto un piano dettagliato per colpire le infrastrutture nucleari iraniane già a maggio, ma l’operazione è stata sospesa. La ragione? Un cambio di rotta deciso dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha scelto di dare priorità alla diplomazia con Teheran. Lo ha rivelato mercoledì il New York Times, citando fonti di alto livello dell’amministrazione americana. La svolta è maturata dopo mesi di acceso dibattito interno alla Casa Bianca, durante i quali sono stati valutati attentamente i pro e i contro di un’azione militare rispetto a un approccio negoziale. Alla fine, Trump ha deciso di non appoggiare l’iniziativa militare israeliana e ha incaricato i suoi collaboratori di riprendere i colloqui con Teheran, nella speranza di contenere le ambizioni nucleari iraniane. La decisione è stata comunicata personalmente al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante la sua visita a Washington all’inizio del mese. Nel corso di un incontro a porte chiuse alla Casa Bianca, Trump ha informato Netanyahu che gli Stati Uniti non avrebbero fornito il supporto logistico e militare necessario per un attacco a maggio. Poco dopo, il presidente ha annunciato pubblicamente la riapertura del dialogo con l’Iran. Netanyahu, secondo quanto riportato, ha reagito con fermezza, sottolineando che qualsiasi intesa futura avrebbe senso solo se accompagnata da una rigorosa applicazione. Fonti informate sulle discussioni militari hanno spiegato che il piano israeliano puntava a rallentare di almeno un anno il programma nucleare iraniano. Tuttavia, il successo dell’operazione avrebbe richiesto un coinvolgimento diretto e significativo degli Stati Uniti, non solo per l’attacco stesso ma anche per gestire eventuali ritorsioni da parte di Teheran. Il New York Times rivela inoltre che i preparativi per un conflitto con l’Iran erano già in corso. Il Comando Centrale degli Stati Uniti, guidato dal generale Michael Kurilla, aveva dispiegato notevoli risorse militari nella regione: portaerei, sistemi antimissile e bombardieri stealth capaci di colpire bunker sotterranei. Sebbene ufficialmente destinati anche a contrastare le minacce degli Houthi in Yemen, i funzionari americani hanno ammesso che tali forze potevano essere impiegate in un conflitto più ampio con l’Iran. Malgrado l’accumulo di forze militari, all’interno dell’amministrazione Trump è cresciuto lo scetticismo sull’opportunità di sostenere un attacco israeliano. Tulsi Gabbard, direttore dell’Intelligence Nazionale, avrebbe avvertito che un’azione simile rischiava di innescare un conflitto regionale su larga scala, scenario che la Casa Bianca intende assolutamente evitare.

Anche figure chiave come il segretario alla Difesa Pete Hegseth e il vicepresidente J.D. Vance si sarebbero espresse contro l’opzione militare. Persino Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza Nazionale e da sempre tra le voci più dure nei confronti di Teheran, avrebbe sollevato dubbi sulla capacità di Israele di raggiungere i suoi obiettivi senza un intervento diretto degli Stati Uniti. La linea della Casa Bianca, per il momento, resta quella del dialogo: si prosegue con la diplomazia, lasciando l’azione militare come estrema ratio, nel caso in cui i colloqui dovessero fallire. Il Direttorato dell’Intelligence ha rimandato ogni domanda al Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Anche il Dipartimento della Difesa, l’ufficio del primo ministro Netanyahu e le Forze di Difesa israeliane hanno rifiutato di commentare. Il reportage arriva pochi giorni dopo che si sono svolti a Oman dei colloqui indiretti tra Stati Uniti e Iran. Un nuovo incontro è previsto per sabato prossimo, sempre a Muscat. Lunedì scorso, Trump ha parlato pubblicamente della questione iraniana: «Abbiamo un problema con l’Iran, ma lo risolverò. È quasi facile», ha detto. Poi ha rincarato la dose: «L’Iran vuole trattare con noi, ma non sa come. Ci siamo visti sabato e abbiamo un altro incontro sabato prossimo. Ho detto loro che tra i due appuntamenti sarebbe passato un po’ di tempo. Credo ci stiano sfruttando, perché sono abituati a trattare con persone stupide in questo Paese». Steve Witkoff, emissario scelto da Trump per guidare i colloqui, ha dichiarato martedì che ogni eventuale accordo con Teheran dovrà prevedere lo smantellamento completo del programma nucleare iraniano. «Un’intesa potrà esistere solo se sarà l’accordo di Trump», ha affermato Witkoff. Poi ha aggiunto: «Deve rappresentare un quadro credibile per la pace, la stabilità e la prosperità del Medio Oriente. Questo significa che l’Iran deve smettere e rinunciare al suo programma di arricchimento e armamento nucleare. Il Presidente Trump mi ha dato un mandato chiaro: raggiungere un’intesa giusta e duratura».

Nuove sanzioni contro l’Iran

Intanto gli Stati Uniti hanno annunciato mercoledì una nuova serie di sanzioni mirate a colpire le esportazioni di petrolio dell’Iran, in un ulteriore sforzo dell’amministrazione Trump per rafforzare la strategia di «massima pressione» contro Teheran. La notizia è stata riportata da Reuters, che cita fonti ufficiali del governo americano. Nel mirino delle nuove misure c’è anche una piccola raffineria indipendente cinese, conosciuta nel settore energetico come «raffineria a teiera». Secondo il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, l’obiettivo delle sanzioni è scoraggiare le aziende cinesi dal continuare ad acquistare petrolio iraniano, nonostante i divieti imposti da Washington. «Qualsiasi raffineria, azienda o intermediario che decida di acquistare petrolio iraniano o di facilitare il commercio di greggio proveniente dall’Iran si espone a gravi rischi», ha dichiarato il Segretario del Tesoro Scott Bessent, lanciando un chiaro avvertimento agli operatori internazionali. La raffineria sanzionata è accusata di aver acquistato petrolio iraniano per un valore superiore al miliardo di dollari. Non si tratta di un caso isolato: è la seconda volta che l’amministrazione Trump prende di mira una piccola raffineria indipendente cinese, segnalando una crescente attenzione verso questo tipo di operatori, spesso considerati più flessibili e meno esposti ai controlli rispetto alle grandi compagnie statali.


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Panorama

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