Trump salva Boeing, troppo grande per fallire: niente processo nonostante le oltre 300 vittime dei disastri aerei

  • Postato il 31 luglio 2025
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Un accordo al ribasso, nessun processo penale e controlli affidati ad un consulente interno, nominato dall’azienda. Nonostante le negligenze, le omissioni, due disastri aerei in meno di cinque mesi. E 346 vite spezzate. Perché Boeing sarebbe “too big too fail”: vale a dire troppo grande, importante e strategica per fallire. Anche se ha commesso il “crimine aziendale più mortale della storia Usa” (come l’ha definito Reed O’Connor, il giudice che ha seguito il caso). Il conglomerato, infatti, si spartisce il mercato mondiale degli aerei commerciali con l’europea Airbus: in poche parole, ci sono troppi soldi e posti di lavoro in ballo. L’atteggiamento del governo Usa verso la corporazione, che batte bandiera a stelle e strisce, ne ha sempre risentito. Ma da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca il Dipartimento di Giustizia è ancora più accondiscendente: del resto, sibilano i più “maligni”, la multinazionale ha donato due milioni al comitato inaugurale del presidente. E il suo CEO, a maggio 2025, è volato in Qatar con il tycoon per discutere di investimenti colossali: precisamente, 96 miliardi per 160 Boeing da inquadrare nella flotta di Qatar Airways.

Il 29 ottobre 2018 un Boeing 737 MAX precipita nel Mar di Giava, ad un pugno di miglia dall’aeroporto di Giacarta (Indonesia): tutti e 189 i passeggeri perdono la vita. Neanche cinque mesi dopo, il 10 marzo 2019, un altro Boeing 737 MAX si schianta rovinosamente ad una manciata di chilometri da Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia (157 vittime). La diagnosi dei tecnici non lascia scampo alla corporazione. Il sistema MCAS installato nel modello 737 MAX è stato progettato per “abbassare” forzosamente il muso dell’aereo: però deve entrare in funzione, automaticamente, solo quando specifiche condizioni critiche lo richiedono (per riassestare l’equilibrio del velivolo). Il meccanismo si è attivato al momento sbagliato, provocando gli incidenti. Le indagini stralciano l’immagine di azienda seria e responsabile che Boeing si è cucita addosso in oltre cento anni di attività: gravi omissioni con le autorità federali, lacune nel materiale informativo condiviso con le compagnie aeree (con ricadute negative sulla formazione dei piloti).

Nel 2019 le principali autorità aeronautiche del pianeta, muovendosi in maniera coordinata, mettono a terra l’intera flotta 737 MAX (un evento eccezionale, per portata e unicità). E a gennaio del 2021 il Dipartimento di Giustizia Usa accusa formalmente Boeing di “cospirazione per frodare il governo”. Ma invece di intentare un processo penale l’esecutivo – che negli Usa orienta la pubblica accusa – propone alla multinazionale un accordo: Boeing deve impegnarsi a versare 2,5 miliardi di dollari (divisi tra una multa penale, risarcimenti alle compagnie aeree e un fondo per le famiglie) e ad attuare un vasto programma di riforme interne sul fronte della sicurezza e della trasparenza. Sullo sfondo, nel frattempo, infuriano le proteste delle famiglie delle vittime, che premono per un processo. Tuttavia, i 737 max prodotti dalla compagnia riprendono a volare.

A gennaio del 2024 il portellone di un Boeing 737 MAX 9 si stacca dalla fusoliera mentre l’aereo è ancora in volo: i video registrati dai passeggeri – comprensibilmente, in preda al terrore – fanno il giro del mondo. A maggio del 2024 il Dipartimento stabilisce che Boeing ha violato l’accordo siglato nel 2021. Ma invece di andare a processo, come chiedono le famiglie delle vittime, il governo propone un altro patteggiamento. Che però fissa condizionalità più dure: il conglomerato – al centro di una crisi reputazionale senza precedenti – dovrà rilasciare una dichiarazione di colpevolezza e sottoporsi alla sorveglianza di un monitor federale (una figura nominata dall’esecutivo e incaricata di verificare che l’azienda rispetti determinate condizioni legali e di conformità). Tuttavia, a dicembre dello stesso anno il giudice federale Reed O’Connor boccia il patteggiamento: l’intesa siglata tra i due contraenti non prevede, motiva il tribunale, garanzie sufficienti affinché non si verifichino altri incidenti.

È lo snodo più importante di quest’infinita saga industriale, giudiziaria e politica: dopo aver esaurito tutte le altre opzioni sul tavolo, infatti, non restava che il processo. O almeno è ciò che pensavano le famiglie delle vittime. Poi Trump è tornato alla Casa Bianca. E ha impresso un’inversione radicale alla gestione del dossier, promuovendo un atteggiamento più morbido verso la corporazione. Il cambio di marcia va ascritto ad un orientamento più generale, definito dal capo della divisione penale del Dipartimento di Giustizia Matthew Galeotti in un memorandum che riepiloga le nuove linee guida (più lasche) dell’amministrazione sui crimini aziendali. A maggio del 2025 il governo offre a Boeing un “Non-Prosecution Agreement” (NPA): il documento, stavolta, non prevede nessuna dichiarazione di colpa né l’intervento di un monitor indipendente (sostituito da un consulente interno).

Però il 3 settembre 2025 la mozione d’archiviazione proposta dal Dipartimento dovrà passare al vaglio del giudice Reed O’Connor. Se il tribunale dovesse accoglierla l’ipotesi di andare a processo verrebbe derubricata a tempo indeterminato. Le famiglie hanno già annunciato che si opporranno con forza a quest’opzione. Nemmeno Boeing può trincerarsi dietro la formula “too big too fail”, sostengono i legali che le rappresentano: deve pagare per i suoi errori. Forse, annotano alcuni esperti, è proprio la “grandezza” della corporazione – cioè la sua posizione dominante sul mercato – ad aver determinato omissioni e negligenze (che poi, da ultimo, avrebbero concorso a provocare gli incidenti). Come ha spiegato Lina Khan, ex capo dell’antitrust Usa, “il peggioramento della qualità è uno dei danni che la maggior parte degli economisti si aspetta dalla monopolizzazione, perché le imprese che affrontano poca concorrenza hanno scarso incentivo a migliorare i loro prodotti.” E Boeing non teme più nulla. A quanto pare, né i competitor né la giustizia americana.

(nella foto Donald Trump insieme a Kelly Ortberg, presidente e CEO di Boeing)

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