Trump rinnega l’accordo Ocse sulla tassazione delle multinazionali. E minaccia ritorsioni contro i Paesi che hanno web tax: anche l’Italia

  • Postato il 21 gennaio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Non solo l‘uscita dall’Oms e dagli accordi di Parigi sul clima e la spada di Damocle dei dazi. Tra le prime mosse di Donald Trump da presidente c’è anche la decisione di ritirare gli Usa dall’intesa sulla tassazione globale delle multinazionali faticosamente raggiunta nel 2021 in sede Ocse. Con tanto di minaccia di ritorsioni nei confronti dei Paesi che abbiano adottato norme da cui derivano svantaggi per le compagnie statunitensi. All’identikit corrispondono l’intera Unione europea e la Gran Bretagna, dove dallo scorso anno è in vigore la global minimum tax del 15%, ma nel mirino finiranno innanzitutto Italia, Austria, Francia e Spagna, Paesi che applicano unilateralmente delle imposte sui servizi digitali.

Il nuovo corso è stato annunciato con un memorandum presidenziale pubblicato sul sito della Casa Bianca poche ore dopo l’insediamento. Trump, che nel nuovo mandato ha promesso di varare nuovi tagli di tasse per imprese e famiglie benestanti, nel documento destinato al Segretario al Tesoro e al rappresentante permanente degli Usa presso l’Ocse lamenta che a” causa del Global Tax Deal” negoziato durante la presidenza Biden “e di altre pratiche fiscali estere discriminatorie le aziende americane potrebbero trovarsi ad affrontare regimi fiscali internazionali ritorsivi”. E dunque dispone che quell’accordo “non abbia effetto negli Stati Uniti”. Il Tesoro viene poi incaricato di stilare – e consegnare entro 60 giorni al presidente – una lista di possibili misure protettive da mettere in campo nei confronti dei Paesi che non rispettino i trattati fiscali in vigore con gli Usa o che applichino regole dannose per le corporation americane.

La tassa minima del 15% applicata dalla Ue – Cosa cambierà per la Ue? Per provare a capirlo serve un riassunto delle puntate precedenti. Da gennaio 2024 tutto il Vecchio Continente applica la direttiva che disciplina il cosiddetto “secondo pilastro” della riforma della tassazione delle multinazionali: quello che prevede la redistribuzione del “diritto a tassare” una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. Una misura fin dall’inizio molto depotenziata rispetto agli auspici iniziali e che riguarda solo i gruppi con oltre 750 milioni di fatturato nel mondo. Ma in ogni caso si traduce nella possibilità di battere cassa dalle grandi aziende Usa. L’Italia conta di ricavarne poco meno di 400 milioni l’anno, che dovrebbero arrivare da una imposta minima nazionale pari alla differenza tra il 15% (livello minimo concordato dai Paesi Ocse) e l’imposizione effettiva a cui è soggetta l’impresa.
Gli Usa, nonostante l’intenzione dell’amministrazione Biden di adeguarsi all’accordo per prevenire l’elusione fiscale dei grandi gruppi, non hanno mai adottato la regola e impongono solo una tassa minima (Gilti) del 10,5% sul reddito delle controllate estere di società statunitensi: un regime nazionale non conforme alle regole Ocse. Sulla carta, se non ci saranno cambiamenti i 27 potrebbero imporre alle controllate che operano nei loro Paesi una tassazione suppletiva per portarle a pagare il 15%. Trump la leggerebbe come una violazione della sovranità fiscale e reagirebbe.

Nel mirino chi impone una digital tax – Nell’immediato, però, il tasto più dolente è quello che riguarda il cosiddetto “primo pilastro” dell’accordo, che prevede la redistribuzione del “diritto a tassare” una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. Avrebbe dovuto entrare in vigore, stando ai piani iniziali, più di un anno fa, ma al Senato Usa non c’è mai stata la maggioranza necessaria per far passare il necessario trattato fiscale internazionale. Trump non ne vuol sentire parlare e ora – come aveva già fatto in via preventiva nel 2019 – minaccia ritorsioni nei confronti dei Paesi che, in attesa di passi avanti su quel fronte, hanno mantenuto in vigore le loro digital tax nazionali in forza di un accordo di compromesso con Washington (nel frattempo scaduto).
In Italia aliquota del 3% sui ricavi – Nel gruppo c’è anche l’Italia, dove la web tax è tornata al centro del dibattito a fine 2024 quando il governo Meloni, nel ddl di Bilancio, ha proposto di estenderla anche alle piccole imprese. Forza Italia si è opposta e il blitz è sfumato, ma l’imposta resta in vigore nella forma precedente, che risale al 2020: un’aliquota del 3% sui ricavi – non gli utili – da pubblicità digitale, accesso alle piattaforme web e trasmissione di dati raccolti dagli utenti per le aziende con ricavi globali sopra i 750 milioni. Il gettito è di circa 390 milioni l’anno, in valore assoluto cifra trascurabile per i grandi gruppi tech. Sufficiente, però, per far scattare la risposta della nuova amministrazione statunitense in nome dell'”interesse delle imprese e dei lavoratori americani”.

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