Trump-MbS. La normalizzazione con Israele guida la visita del saudita a DC

  • Postato il 14 novembre 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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Una telefonata finora riservata tra Donald Trump e Mohammed bin Salman (anche MbS) fa da antipasto alla visita del principe ereditario saudita a Washington di martedì prossimo. Elemento decisivo, rivelato dall’informatissimo Barak Ravid di Axios, che scuote l’intera relazione tra Arabia Saudita e Stati Uniti. Nella conversazione il presidente avrebbe detto al leader saudita che — con la guerra a Gaza dichiarata conclusa, sebbene la tregua prodotta dal “Trump Plan” sia ancora instabile — si aspetta passi concreti verso la normalizzazione con Israele. Lo hanno riferito due funzionari statunitensi, sottolineando che la Casa Bianca ambisce a registrare progressi già nel corso dell’incontro della prossima settimana.

Il quadro che propone Trump è quello degli Accordi di Abramo, sebbene riservatamente fonti diplomatiche spiegano che il formato non è applicabile tout court al regno saudita. Chiaro che il ruolo che Riad occupa nel mondo arabo-musulmano non è lo stesso del Kazakistan, l’ultimo ad aderire agli Accordi, o di altri Paesi minori presenti nell’intesa. Tuttavia, il marchio abramitico è uno dei grandi successi oggettivi della politica internazionale trumpiana (tanto che è stato proseguito anche dal democratico Joe Biden), e per questo l’amministrazione spinge. Nella lettera inviata da Trump al presidente israeliano Isaac Herzog, in cui si chiede la grazia per i reati di Benjamin Netanyahu — accusato di frode e corruzione in tre processi, ben prima dell’attentato del 7 Ottobre 2023 e della conseguente guerra israeliana contro Hamas — si fa per esempio riferimento al lavoro che il primo ministro israeliano sta facendo con gli Usa per aggiungere molti altri Paesi agli Accordi di Abramo, definiti “world changing” dall’americano (che dunque li usa anche come elemento per graziare il difficile alleato israeliano).

La logica della richiesta

Trump dice a Riad di aver “posto fine alla guerra” e sulla base di questo spinge bin Salman a procedere verso un accordo storico. Il principe, secondo le fonti di Ravid, ha risposto di essere “disposto a lavorare” sul dossier. La ricercatrice Elizabeth Turkov, nota alle cronache per essere stata rapito dalla Kata’ib Hezbolla (una milizia irachena collegata ai Pasdaran), riflette su un elemento essenziale: “MbS ha bisogno di impegni molto più forti direttamente da Israele, con passi tangibili sul campo, al fine di vendere la normalizzazione al pubblico saudita, che è diventato molto più anti-israeliano durante la guerra di Gaza”.

La conversazione svelata su Axios, non resa pubblica finora, è oggi la chiave per leggere il senso politico della visita: un incontro che segnerà il prossimo capitolo della relazione USA–Arabia Saudita, ma anche il tentativo del presidente americano di sbloccare il dossier israelo-saudita prima della fine del suo mandato. Un punto è chiaro e lo solleva Gregg Carlstrom, che copre il Medio Oriente per l’Economist: “La domanda è se [Trump] sarebbe effettivamente disposto a rompere le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita se il regno si dovesse attenere alla sua chiara posizione pubblica su ciò che Israele deve fare per sbloccare un accordo di normalizzazione”, ossia una serie di richieste specifiche che però portano tutte alla creazione di uno Stato palestinese. “Sospetto che la risposta sia quasi certamente: no”, chiosa Carlstrom. La Casa Bianca ritiene che le clausole finali del piano di pace di Trump offrano un percorso iniziale verso l’autodeterminazione palestinese. Tuttavia è chiaro che il linguaggio del Trump Plan non è sufficiente, ed è qui che si snodano parte degli equilibri.

Un’accoglienza imponente, un’agenda complessa

MbS sarà ricevuto alla Casa Bianca con il mix di onore, aggettivi altisonanti e confidenza che caratterizza il protocollo trumpiano. Dopo settimane di discussioni difficili — anche tra funzionari americani e sauditi di livello inferiore, spiegano fonti diplomatiche, che raccontano persino di un’ipotesi sul rinvio della visita — Trump metterà sul tavolo il un rapporto personale molto stretto con il principe, che considera “uno dei partner più forti” degli Stati Uniti.

Il viaggio è il primo di MBS a Washington dal 2018, anno dell’omicidio di Jamal Khashoggi, che aveva aperto una frattura profonda con gli Stati Uniti. Da allora il rapporto si è lentamente stabilizzato, fino alla nuova fase inaugurata dal viaggio di Trump a Riyadh in primavera e dai mega-accordi annunciati (prima da 1.000 miliardi di dollari, poi ridimensionati a 600 miliardi).

Ora, oltre ai numeri del business (che saranno affrontati in un forum laterale, a cui potrebbero anche partecipare i due leader) Riad chiede garanzie di sicurezza. Il regno dovrebbe ottenere da Trump un executive order simile a quello concesso al Qatar, un impegno che fungerà da piattaforma per un futuro trattato. La sicurezza saudita è un elemento che Riad considera cruciale per Vision 2030, e su questo MbS potrebbe far muovere il fulcro della bilancia, soprattutto per gestire criticità interne.

Il tema securitario è diventato più urgente anche alla luce del deterioramento della sicurezza regionale: la guerra a Gaza è soltanto il titolo di una storia che vede un capitolo molto preoccupante per Riad dedicato allo scambio di missili tra Israele e Iran, ma poi c’è stato l’attacco israeliano contro Hamas a Doha e la continua minaccia degli Houthi sul confine saudita — che come ricordava Eleonora Ardemagni (Ispi/Aseri) non sono mai da prendere letteralmente quando dichiarano una tregua.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha confermato che “sono stati fatti molti progressi”. Non è ancora ben chiaro quali, e forse verrano fuori nei prossimi giorni. Riad vuole inoltre acquistare i caccia F-35. Finora Washington aveva mantenuto l’esclusiva israeliana, ma segnali recenti indicano una possibile apertura da parte di Trump — un’altra delle concessioni che il presidente potrebbe fare a Riad, e di cui poi chiedere conto.

Tra AI, aspettative geopolitiche e prezzi del petrolio

La visita arriva dopo l’aumento della produzione Opec+, che ha danneggiato parte degli interessi sauditi: il Brent ha perso il 15% da inizio anno, intorno a 63 dollari al barile, e per Riad è al limite dall’essere eccessivamente basso. Ma per Trump, che rivendica la discesa dei prezzi della benzina come successo da offrire agli americani, l’effetto politico è rilevante. Il prezzo alla pompa è storicamente un pallino dello Studio Ovale, perché molto considerato dai cittadini statunitensi (tra l’altro è i pochi argomenti che portano interesse dell’opinione pubblica americana sulla politica internazionale).

Tra i dossier più sensibili c’è anche l’accesso ai chip avanzati di Nvidia e AMD. Durante la visita di Trump a Riad, le due parti avevano annunciato grandi partnership sull’AI e la costruzione di data center in Arabia Saudita. Ma sei mesi dopo, Washington non ha ancora concesso le licenze necessarie per esportare i processori più avanzati, a causa delle preoccupazioni sui rapporti sauditi con la Cina — che è il grande fornitore di tecnologie cutting hedge, software o hardware, in Arabia Saudita e nel Golfo. Le due parti negoziano un pacchetto che includerebbe garanzie di sicurezza e investimenti sauditi negli Stati Uniti. Intanto gli Emirati – gli unici big player negli Accordi di Abramo – hanno già ottenuto alcune licenze, aumentando la pressione su Riad.

Capitolo a parte, il nucleare. L’Arabia Saudita cerca da anni una cooperazione sull’energia atomica civile con Washington, inclusa la possibilità di arricchire uranio sul proprio territorio. Ma un accordo di questo tipo richiederebbe l’approvazione del Congresso (non rapido come quelli ratificati con Cina e Russia), rendendo improbabile un annuncio immediato. E di annunci immediati si nutre lo storytelling trumpiano.

Una visita che definisce le priorità della regione

In definitiva, la telefonata rivelata da Axios e il quadro delle discussioni mostrano che Trump vuole un risultato politico dalla visita, mentre MbS cerca garanzie e concessioni americane di lungo periodo. Il divario è di carattere temporale: Trump ha a disposizione altri tre anni per lasciare un’impronta storica sul Medio Oriente e sul ruolo degli Usa nella regione; per Bin Salman c’è da gestire un Paese che sta cambiando sotto suo impulso, e su cui regnerà a vita. L’incastro dei due piani sarà il punto di contatto per tutelare le rispettive visioni — ineluttabili, sebbene teoricamente complementari.

Per la Casa Bianca, la relazione con l’Arabia Saudita è la leva decisiva per ridisegnare il nuovo Medio Oriente. Per Riad, gli Stati Uniti restano il partner strategico centrale, nonostante la crescente cooperazione con la Cina. Trump ha detto a Riad: “Mi piace molto, anche troppo. Ecco perché diamo così tanto”. Ora vuole che MbS ricambi, ma fino a quanto potrà il saudita?

Autore
Formiche

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