Trump li spaventa? E i ricchi tornano in Svizzera

  • Postato il 13 aprile 2025
  • Di Panorama
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Il tornado-Trump sta spingendo i ricchi americani a riscoprire la Svizzera, storica cassaforte del mondo, nonostante la sua proverbiale segretezza bancaria sia ormai un ricordo del passato. Una recente inchiesta del Financial Times ha rivelato infatti un crescente interesse da parte di clienti statunitensi verso banchieri privati, family office e società di gestione patrimoniale con sede nella Confederazione. Ad avvicinare i facoltosi americani alla Svizzera sarebbero i timori di possibili stravolgimenti nella legislazione fiscale Usa e in generale le preoccupazioni per l’instabilità geopolitica alimentata dal nuovo presidente. Tuttavia, accedere al sistema bancario svizzero per un cittadino americano non è semplice. Normative stringenti, in primis il Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca) del 2010, impongono agli istituti di tutto il mondo di identificare e segnalare i conti detenuti da contribuenti statunitensi all’Internal revenue service, l’agenzia fiscale americana. L’implementazione del Fatca ha rappresentato un onere significativo per le banche svizzere, inducendo molti di esse, soprattutto quelli minori, a chiudere le porte ai clienti statunitensi.

A cambiare i rapporti tra Svizzera e Stati Uniti fu un evento storico: l’accordo raggiunto nel 2009 tra il colosso bancario Ubs e il Dipartimento di Giustizia americano. Per chiudere un’indagine su presunte attività di favoreggiamento all’evasione fiscale, il colosso elvetico del credito accettò di pagare una multa da 780 milioni di dollari e, fatto ancor più clamoroso, di fornire alle autorità Usa i dati relativi a migliaia di clienti americani. Questo caso infranse la percezione di un segreto bancario svizzero intoccabile, costringendo l’intero settore a una profonda riflessione e segnando un deciso aumento della cautela nell’accettare clientela statunitense. La vera rivoluzione è però arrivata con l’adozione da parte della Confederazione dello Scambio automatico di informazioni (Aeoi) su base globale, operativo dal 2017 con un numero crescente di Paesi partner. Questo standard internazionale prevede la trasmissione sistematica e regolare, tra le autorità fiscali degli Stati aderenti, di informazioni dettagliate sui conti finanziari detenuti da non residenti, includendo dati su saldi, interessi, dividendi e proventi dalla vendita di attivi finanziari. Di fatto, l’Aeoi ha decretato la fine dell’era della segretezza bancaria per la stragrande maggioranza dei clienti esteri.

A incrinare ulteriormente il mito del Paese come porto sicuro è stata la drammatica crisi del Credit Suisse, culminata nella sua acquisizione forzata da parte della rivale Ubs nel marzo 2023. Un tremendo shock: ha evitato un potenziale tracollo finanziario globale ma ha inevitabilmente scalfito l’immagine di infallibilità della piazza finanziaria, sollevando interrogativi sulla gestione del rischio nelle grandi banche sistemiche e sull’adeguatezza della vigilanza. Anche i rapporti con l’Italia sono stati profondamente ridisegnati. Già nel febbraio 2015, un protocollo bilaterale modificava la Convenzione contro le doppie imposizioni, introducendo lo scambio di informazioni su richiesta secondo gli standard Ocse e mettendo formalmente la parola «fine» al segreto bancario tra i due Paesi. Questo accordo fu anche cruciale per facilitare i programmi italiani di «voluntary disclosure», permettendo a molti contribuenti di regolarizzare capitali detenuti in Svizzera e non dichiarati al fisco italiano. Eppure, nonostante questi cambiamenti, la Confederazione si conferma saldamente al vertice mondiale nella gestione di patrimoni transfrontalieri, amministrando circa 2.400 miliardi di dollari nel 2024, pur dovendo fronteggiare la competizione sempre più agguerrita di centri finanziari asiatici come Hong Kong e Singapore. Le entrate verso la Confederazione arrivano dall’Europa, dall’Asia (Cina in testa), dai Paesi arabi. Per gli italiani il Canton Ticino è sempre stato il polo d’attrazione. 

Flussi significativi si registrarono in particolare durante la crisi del debito sovrano europeo (attorno al 2012, con un’accelerazione nel 2016), alimentati da timori sulla stabilità dell’Eurozona, dalla paura della patrimoniale e dalla volontà di diversificare i propri asset. Ma negli anni la piazza finanziaria ticinese ha perso il suo appeal: i dati mostrano che nelle 39 banche presenti nel Canton Ticino il totale dei depositi è in calo, dai quasi 21 miliardi di franchi del 2014 ai 14 miliardi di dieci anni dopo. Oggi possedere un conto corrente in Svizzera è perfettamente legale per un cittadino italiano. La condizione imprescindibile è che i fondi depositati provengano da fonti lecite, dichiarate e fiscalmente «pulite». Qualsiasi tentativo di utilizzare conti elvetici per occultare proventi illeciti o sottrarsi al fisco italiano rimane illegale e perseguibile, anche grazie agli accordi di scambio informativo in vigore. 

Gli obblighi fiscali italiani sono chiari: i conti esteri vanno dichiarati annualmente nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, indicando il saldo massimo raggiunto nel periodo d’imposta (l’omessa dichiarazione è punita con sanzioni che vanno dal 3 al 15 per cento degli importi non dichiarati). Inoltre, sulle attività finanziarie detenute all’estero si paga l’Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe). Per i conti correnti, si tratta di un’imposta fissa annua di 34,20 euro (generalmente dovuta se la giacenza media supera i cinquemila euro), mentre per altri strumenti finanziari si applica un’aliquota proporzionale. Se la segretezza non è più il driver principale, cosa continua a rendere la Svizzera attraente per i capitali italiani? I punti di forza risiedono nella sua leggendaria stabilità politica ed economica, nella neutralità che la rende un porto sicuro percepito al riparo dalle turbolenze geopolitiche (un valore apprezzato per la preservazione del patrimonio sul lungo periodo, anche attraverso le generazioni) e nella solidità del franco svizzero, considerato una valuta rifugio. 

Non solo. Anche la riservatezza è un asset importante: episodi come la diffusione della «lista Falciani» – che portò alla luce i dati di circa settemila correntisti italiani presso la filiale ginevrina di Hsbc – appartengono ormai a un’epoca passata di minore trasparenza e le persone famose, come per esempio Valentino Rossi e Ornella Vanoni, comparsi nella lista, preferiscono comunque che i loro conti finiscano sotto gli occhi di funzionari svizzeri piuttosto che di qualche impiegato italiano, magari un po’ pettegolo. 

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Panorama

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