Trump: «Gaza diventi una zona di libertà»

  • Postato il 15 maggio 2025
  • Di Panorama
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La crisi di Gaza è uno dei dossier al centro del tour mediorientale di Donald Trump. Non a caso, poche ore fa, l’inquilino della Casa Bianca, mentre era in Qatar, è tornato a parlare della questione inerente alla Striscia.

“Se fosse necessario, penso che sarei orgoglioso che gli Stati Uniti la avessero, la prendessero e la trasformassero in una zona di libertà”, ha detto, per poi aggiungere: “Stiamo lavorando duramente su Gaza, e Gaza è stata un territorio di morte e distruzione per molti anni. E, sapete, ho delle idee per Gaza che ritengo molto valide: renderla una zona di libertà, lasciare che gli Stati Uniti intervengano e renderla semplicemente una zona di libertà, una vera zona di libertà.”

Già a febbraio, il presidente americano aveva ventilato l’ipotesi che la Striscia potesse provvisoriamente finire sotto il controllo statunitense in vista della ricostruzione. Inoltre, prendendo la parola mercoledì al summit del Consiglio di cooperazione del Golfo, Trump aveva ringraziato i leader arabi per il loro “ruolo costruttivo” nel tentativo di porre fine alla crisi di Gaza.

Adesso è quindi lecito porsi alcune domande. Innanzitutto, che cosa intende esattamente il leader americano quando sostiene di voler rendere la Striscia una “zona di libertà”? In secondo luogo, ha concordato preventivamente le sue dichiarazioni con Mohammad bin Salman e Tamim bin Hamad Al Thani, durante gli incontri che ha avuto con loro negli scorsi giorni? In terzo luogo, il governo israeliano è stato coinvolto? Al momento, non è dato saperlo.

È tuttavia utile ricordare che, nonostante le prese di distanza a livello ufficiale, il piano per Gaza proposto mesi fa dalla Casa Bianca non era stato poi così malvisto dai sauditi.

Sì, perché, nelle intenzioni di Trump, il controllo statunitense della Striscia sarebbe stato provvisorio: essa sarebbe man mano passata sotto l’influenza, più o meno indiretta, di Riad. Il che avrebbe garantito ai sauditi un accesso de facto al Mediterraneo e avrebbe, al contempo, rassicurato maggiormente Israele.

Tutto questo va adesso inserito in quadro piuttosto complesso. Negli scorsi giorni, Trump ha firmato accordi multimiliardari con Riad e Doha in vari settori (non ultimo quello della difesa). Inoltre, su richiesta di sauditi e turchi, ha annunciato la revoca delle sanzioni alla Siria. Infine, ma non ultimo, Trump ha affermato che sono in corso “seri negoziati” con l’Iran per una pace duratura.

Si tratta di una serie di elementi che irritano il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale, oltre a non volere l’abrogazione delle sanzioni a Damasco, guarda con preoccupazione alle trattative tra Washington e Teheran sul nucleare.

Dall’altra parte, va anche detto che Trump ha aperto, sì, agli ayatollah ma sub condicione, minacciandoli di azzerare il loro export di petrolio nel caso non accettassero un accordo. Non solo. Martedì, parlando a Riad, ha anche auspicato un ingresso dell’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo. Era invece mercoledì quando ha definito i suoi stretti rapporti con i Paesi del Golfo come “un bene per Israele”.

Vedremo nei prossimi giorni come Trump inserirà il dossier di Gaza nel complicato puzzle che sta cercando di comporre in Medio Oriente.

Autore
Panorama

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