Trump e Netanyahu, nuovo asse su Gaza: ultimatum a Hamas e via libera a Israele
- Postato il 17 ottobre 2025
- Di Panorama
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avuto una conversazione telefonica con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a seguito di un vertice sulla sicurezza incentrato sulla questione della restituzione dei corpi degli ostaggi dalla Striscia di Gaza. Secondo fonti di Gerusalemme citate da Ynet, il contatto è stato «positivo e cordiale». I due leader avrebbero fatto il punto sui progressi nel localizzare i dispersi e sulle fasi iniziali del piano operativo concordato, con Trump che ha espresso sostegno alle decisioni di Netanyahu sul prosieguo delle operazioni e sulle eventuali misure di risposta qualora non fosse completato il recupero dei resti mancanti.
Giovedì il presidente statunitense ha rivolto un nuovo e netto monito ad Hamas, accusato di ritardare la restituzione delle salme. Alla Casa Bianca Trump ha spiegato ai giornalisti che «è una situazione difficile», ricordando l’impegno assunto dal gruppo e riferendo di segnalazioni su nuovi corpi consegnati. «Se rispetteranno gli impegni, bene; se non lo faranno, ce ne occuperemo noi», ha avvertito.
L’avvertimento si è aggiunto a un post pubblicato su Truth Social in cui Trump sosteneva che, se Hamas continuasse a uccidere persone a Gaza in violazione dell’accordo di cessate il fuoco, gli Stati Uniti «non avrebbero altra scelta che intervenire e neutralizzare i responsabili». In precedenti dichiarazioni alla CNN il presidente aveva inoltre lasciato intendere che Israele potrebbe riprendere le operazioni militari nella Striscia «non appena lo dirò io», sottolineando che la questione verrà chiarita in tempi rapidi.
Il nodo centrale resta l’inosservanza, da parte di Hamas, di una clausola chiave dell’intesa sul cessate il fuoco, che prevedeva la restituzione sia degli ostaggi vivi sia dei corpi di quelli deceduti. Tutti i 20 prigionieri ancora in vita sono stati rilasciati, ma sono appena nove le salme consegnate finora. Mercoledì sera, in una nota, Hamas ha dichiarato di aver adempiuto alla propria parte per quanto riguarda gli ostaggi vivi e di aver reso disponibili i resti in suo possesso, precisando che per recuperare gli altri sarebbero necessari «grandi sforzi e strumenti speciali».Sull’apertura del valico di Rafah, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sàar, intervenuto ai Med Dialogues a Napoli, ha indicato come probabile un riavvio dei passaggi domenica prossima, assicurando che sono in corso i preparativi e la coordinazione con la forza EUBAM dell’Unione europea e con le Autorità palestinesi. «Spero che si apra e che si faccia il possibile per renderlo operativo», ha detto.
Sul fronte interno israeliano, esponenti politici della maggioranza — tra cui il ministro della Giustizia Yariv Levin (Likud), il presidente della commissione costituzionale della Knesset Simcha Rothman (Sionisti religiosi) e la deputata Yulia Malinovsky (Yisrael Beytenu) — hanno annunciato l’intenzione di presentare con urgenza un progetto di legge per accelerare i processi contro i membri della Forza Nukhba ritenuti responsabili del massacro del 7 ottobre. Dopo l’attacco di quel giorno, la Procura di Stato, la Polizia e lo Shin Bet costituirono una task force che ha condotto indagini estese, raccogliendo prove documentali e testimonianze utili a costruire i capi d’accusa. Le nuove normative mirerebbero a snellire le procedure giudiziarie e a consentire un’azione penale più tempestiva.
Nello stesso contesto di tensioni regionali, gli Houthi hanno confermato la morte del loro capo di stato maggiore, Muhammad Abd Al-Karim al-Ghamari, per le ferite riportate in un attacco aereo attribuito a Israele. Le Forze di Difesa israeliane (IDF) hanno reso nota l’eliminazione, riferendo che l’operazione del 28 agosto 2025 ha colpito alti esponenti della dirigenza houthi. Al-Ghamari, nominato capo di stato maggiore nel 2016, era considerato un elemento centrale nello sviluppo delle capacità militari del movimento e — secondo le valutazioni delle IDF — aveva ricevuto formazione e sostegno da esponenti di Hezbollah e del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica in Siria, Libano e Iran.
Per Gerusalemme la morte di al-Ghamari rappresenterebbe un colpo significativo alla catena di comando houthi, responsabile, sempre secondo le stesse fonti israeliane, di centinaia di attacchi contro lo Stato di Israele durante il conflitto. Il ministro della Difesa Israel Katz ha commentato in termini duri, definendo l’organizzazione jihadista yemenita un attore terrorista e celebrando l’azione delle forze che hanno portato al risultato. Anche il premier Netanyahu ha rivendicato il successo dell’operazione, assicurando che il governo proseguirà nell’individuare e colpire i vertici che pianificano attacchi contro Israele. La concatenazione di sviluppi diplomatici, militari e legislativi mette in evidenza come la situazione rimanga fluida su più fronti: dalla partita negoziale per la restituzione dei corpi al possibile riavvio delle operazioni nella Striscia, fino alle ritorsioni e alle mosse sul terreno che coinvolgono attori regionali e alleate internazionali. L’esito delle trattative su Rafah e il rispetto degli impegni assunti da Hamas saranno elementi decisivi per comprendere se la tregua potrà reggere o se, come più volte minacciato da Washington e Gerusalemme, si apriranno nuove fasi di confronto.