Trump bombarda il nucleare iraniano. Ora il rischio è la reazione

  • Postato il 22 giugno 2025
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  • Di Formiche
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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato, nella notte italiana tra sabato e domenica, un massiccio attacco militare contro tre impianti nucleari in Iran, segnando l’ingresso formale degli Stati Uniti nello scontro tra Israele e Repubblica islamica. Scontro che da due settimane segna il corso delle dinamiche in Medio Oriente, e non solo. L’operazione, condotta con bombardieri strategici B-2 Spirt e missili Tomahawk lanciati da sottomarini, ha colpito i siti atomici di Fordow, Natanz e Isfahan, in quella che Trump ha definito una “straordinaria vittoria militare”, rivendicando che solo gli Usa potevano ottenere tale successo, e sostenendo che “adesso è il tempo della pace”. È una dimostrazione plastica, quasi didascalica, del “pace attraverso la forza”, un mantra spesso ripetuto dal presidente Usa.

L’attacco

Durante un discorso dalla Cross Hall della Casa Bianca, Trump ha dichiarato che l’obiettivo è stata “la distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell’Iran” e la neutralizzazione della “minaccia nucleare da parte del principale sponsor statale del terrorismo”. I bombardamenti, ha affermato, hanno “completamente e totalmente obliterato” le installazioni. I B-2, partiti dalla base di Whiteman nel Missouri, hanno volato per 37 ore in un’operazione non-stop fino al cuore del territorio iraniano. Le forze statunitensi hanno utilizzato per la prima volta in un’operazione reale le bombe GBU-57 da 13 tonnellate, note come “bunker buster”, capaci di penetrare strutture sotterranee fortificate.

I danni dovrebbero essere importanti, tuttavia non sono ancora definiti. Per esempio, a Isfahan, sito particolarmente fortificato e con una parte situata in un complesso di tunnel rocciosi più profondi, i missili Tomahawk lanciati da sottomarini americani potrebbero non essere riusciti a colpire gli obiettivi più sensibili. Qui, secondo l’Iaea, è immagazzinato  l’UF6, un materiale precursore chiave per la produzione di uranio arricchito, oltre ad attività legate alla produzione di centrifughe. Fordow è stato invece colpito con una decina di bunker buster, mentre Natanz con due (dopo che una salva di Tomahawk ha aperto la strada).

Il contesto

Il presidente ha lanciato un messaggio duro a Teheran: “L’Iran, il bullo del Medio Oriente, ora deve fare la pace. Altrimenti, i prossimi attacchi saranno ancora più devastanti e molto più semplici da condurre”. L’intervento statunitense avviene nel contesto di un’escalation regionale in rapido deterioramento. Israele ha intensificato le operazioni contro obiettivi iraniani, compreso l’assassinio di alti comandanti della Forza armate iraniane e dell’unità militare teocratica, il Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica.

Nella notte, mentre il  B-2 stealth viaggiavano nei cieli mediorientali verso l’Iran, in direzione opposta diversi droni iraniani cercavano di penetrare le difese israeliane. Gli scontri di questo genere sono iniziati venerdì 13 giugno e stanno portando la situazione sul punto di una guerra aperte, con potenziali riflessi regionali. Mentre questo articolo viene scritto, da Israele arrivano informazioni su  un attacco con missili balistici in corso.

Rischi di ritorsione

Le autorità iraniane hanno avvertito più volte che un attacco americano alle proprie infrastrutture nucleari avrebbe provocato una risposta diretta contro le basi statunitensi nella regione. Con dozzine di installazioni militari e diplomatiche americane in Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrain, Iraq, tutte nel raggio d’azione dei missili iraniani a corto raggio, la prospettiva di una ritorsione su larga scala è concreta.

Un ulteriore fronte di rischio è rappresentato dallo Stretto di Hormuz, nodo critico per il transito di petrolio e gas naturale dal Golfo Persico. Almeno tre dozzine di cargo petroliferi si trovano nell’area e hanno invertito la rotta immediatamente dopo le prime informazioni sul raid statunitense. Un eventuale blocco dello stretto da parte iraniana non solo intrappolerebbe quelle navi, ma influenzerebbe subito i prezzi dell’energia e l’intera economia globale. Colpirebbe il commercio marittimo e provocherebbe una crisi energetica su scala mondiale, di cui il prezzo maggiore sarebbe pagato dai paesi più vulnerabili del Global South, ma peserebbe anche sui grandi importati dall’oïl&gas del Golfo — per prima la Cina.

Davanti a uno sbilanciamento di tecnologia e capacità militare dimostrato prima da Israele e adesso dagli Stati Uniti, l’Iran potrebbe inoltre lavorare per una risposta asimmetrica. Il Corpo controlla (con legami ideologici, ma soprattutto influenza economica e politica) diverse milizie nella regione. Queste potrebbero rappresentare un’arma potentissima per Teheran, perché potrebbero favorire operazioni ibride, anche di carattere terroristico. Questo momento sarà dunque decisivo per comprendere se i cosiddetti “proxy” iraniani sono realmente un prolungamento della Repubblica islamica oppure ne sfruttano i collegamenti a proprio interesse diretto e si lasciano coinvolgere solo per convenienza — e in questo caso, attaccare gli Usa apertamente, inducendo una risposta automatica, non pare essere troppo conveniente.

Pressioni interne

La reazione è dunque ciò che ha prodotto (e produce) maggiore difficoltà nell’azione ordinata dal commander-in-chief, anche riflesso interno. La decisione di colpire direttamente l’Iran non è ancora totalmente assimilata dalla componente politica di Trump. Alcuni repubblicani di nuova generazione sono preoccupati per il rischio di trascinare gli Stati Uniti in una guerra lunga e imprevedibile. La mossa di bombardare l’Iran seguendo l’azione preventiva e non provocata di Israele, ridisegna il perimetro dell’America First e del concetto di “Make America Great Again”, col rischio di trascinare gli Stati Uniti in una nuova “endless war” mediorientale, per usare il termine con cui Trump ha pesantemente criticato per anni l’interventismo statunitense nella regione.

Il leader democratico al Senato, Chuck Schumer, ha intanto chiesto chiarimenti immediati: “Il presidente Trump deve fornire risposte chiare al popolo americano e al Congresso. Nessun presidente può portare il Paese verso la guerra con minacce erratiche e senza una strategia”.

E adesso?

La domanda cruciale ora è dunque quanto e come l’Iran risponderà militarmente, e se da lì si aprirà un nuovo conflitto regionale con possibili ripercussioni globali. Il secondo interrogativo riguarda la strategia americana: si tratta di un attacco isolato o dell’inizio di una campagna militare estesa?

Trump ha recentemente condotto una serie di attacchi contro gli Houthi, inducendo poi a un accordo bilaterale e limitato la milziia yemenita (collegata all’Iran). Ma la Repubblica islamica è molto altro. Israele si augura che l’ingresso americano possa aprire la via per modificare l’obiettivo della missione, dalla distruzione dei siti missilistici a un estremamente complesso regime change: Trump si farà trascinare ancora più a fondo nel conflitto?

Quello che emerge nell’immediato è una situazione di guerra in espansione all’interno del diretto bacino di proiezione geopolitica dell’Italia. La destabilizzazione conseguente avrà riflessi anche sulla Penisola. Ma l’Italia potrebbe anche essere coinvolta più direttamente, dovendo accettare il coinvolgimento delle basi americane ospitate, se dovessero servire alle operazioni contro l’Iran. Questo farebbe di Roma e dei suoi interessi obiettivi potenziali della ritorsione iraniana?

(Foto: Wikipedia)

Autore
Formiche

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