Trump attacca anche Bogotà sulla lotta al narcotraffico. Il presidente Petro reagisce: “No alle minacce. Qui la aspetto, se vuole”
- Postato il 20 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ricatti e minacce, a suon di dazi, con tanto di umiliazione. Accuse al governo in carica per la violenza politica nel Paese. Navi da guerra nei Caraibi, ma anche nel Pacifico, con l’eliminazione diretta dei target. E infine la rimozione di Bogotà dalla white list nella lotta contro il narcotraffico, insieme a Caracas e La Paz. I colombiani la chiamano descertificación, cioè squalifica, ed è l’ennesima misura di pressione dell’amministrazione Trump nell’ambito della massiccia operazione anti-droga dispiegata poco più di un mese fa nel sud dei Caraibi. L’ultima volta che la Colombia venne tolta da quella white list risale a ventotto anni fa, quando l’allora presidente, Ernesto Samper, finì sotto processo per aver finanziato la campagna elettorale con fondi del narcotraffico. Ma questa volta l’incompatibilità è anche ideologica, e non risparmia critiche alla strategia della Paz total, che ha portato all’accordo di pace sottoscritto nel 2016 con i militanti delle ex-Farc. “La coltivazione di coca e la produzione di cocaina hanno raggiunto record storici sotto la presidenza di Gustavo Petro e i suoi falliti tentativi di raggiungere accordi con i gruppi narco-terroristici hanno solo peggiorato la crisi”, si legge nella nota diffusa dal Dipartimento di Stato.
Fuori discussione, al momento, i fondi Usa al Paese sudamericano, che al 2024 ammontavano a 400 milioni di dollari, ma arriva lo stop a futuri progetti di reinserimento sociale di gruppi in fase di trattativa tra cui l’Ejército de Liberación Nacional e il Clan del Golfo. L’indicazione è chiara: meno dialogo, più misure aggressive per “sradicare la coca e ridurre la produzione e il traffico di cocaina”, si legge nella nota. Fonti rivelano a Ilfattoquotidiano.it che persino i gruppi di soldati smobilitati, aderenti all’accordo di pace, restano all’erta: “Non sono tempi tranquilli. Con questo giro di vite, anche gli smobilitati si preparano già a nuovi conflitti. Ieri facevano scorta di beni primari, come quando si va allo scontro”.
Però questa volta Petro non ci sta: rompe lo schema servo-padrone, parla di “aggressione travestita da cooperazione internazionale” e rivendica che la Colombia non ha fallito nella lotta contro il narcotraffico.
“Non stia a minacciarmi. Qui la aspetto, se vuole”, prosegue Petro, rivolgendosi al leader della Casa Bianca mentre critica apertamente l’escalation voluta da Washington nell’emisfero sud: “Non accetto invasioni, non accetto missili, non accetto assassinati, bensì intelligenza”. Il capo di Stato colombiano, accusa inoltre Washington di colludere con le destre associate ai paramilitari e, alla minaccia di ulteriori ritorsioni, e si dice capace di vivere sia “nella comodità del potere”, sia “in trincea”, scampando “attentati” e tenendo testa alle “minacce dei gruppi armati“.
Petro ha anche subito l’attacco del segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che definisce “erratica” la sua strategia, e aggiunge: “Non è un buon alleato nel far fronte ai cartelli della droga“. Gli Usa, volenti o nolenti, infiammano così il clima politico interno in vista delle elezioni presidenziali 2026 e forniscono un assist alle opposizioni, che dalla voce del presidente della Camera, Miguel Abraham Polo, accusano il capo di Stato di aver sperperato i fondi per la lotta al narcotraffico. “Cos’è successo con tutto quel denaro da quando Petro è arrivato al potere? – ha detto Polo -. Oggi esistono più di 300mila ettari di coca nel Paese ed è cresciuto il terrorismo”. Poi il sostegno agli Usa e l’accusa: “Vi siete rubati quei soldi?”. Al coro si aggiungono anche l’ex-presidente conservatore, Ivan Duque, e la leader del Centro democratico Maria Fernanda Cabal, che chiedono la fine della “Paz total” e mano dura contro i cartelli. Ergo: più risorse all’apparato repressivo e meno fondi per i programmi sociali. Tuttavia Palazzo di Nariño non cede alle pressioni ed esorta gli Stati Uniti e l’Unione europea ad “correggere la fallimentare politica in materia antidroga”, portando “prosperità alle famiglie contadine di Colombia, Perù e altri Paesi”. L’appello di Bogotà è quello di “portare più crescita e coesione sociale, anziché più morti”. Bogotà calcola che dal 1985 le vittime del conflitto armato siano state oltre 450mila mentre gli sfollati sono più di 8 milioni.
L’Intelligence colombiana sostiene che Washington stia mancando il vero bersaglio, attraverso un dossier che conferma l’esistenza della “Junta” del narcotraffico, organizzazione non piramidale, più snella di un cartello, la quale riunisce boss di differenti nazionalità. Le indagini sulla “Junta” hanno permesso la cattura dei boss della ‘ndrangheta di Emanuele “Dollarino” Gregorini, Giuseppe “Peppe” e più recentemente Federico “Fedi” Starnone, la cui influenza non si limitava al narcotraffico, ma era riuscita a infiltrare persino l’esportazione del caffè, uno dei pilastri dell’economia del Paese. “L’organizzazione, che è rimasta silente a lungo, non c’entra niente con le dissidenze Farc, né con l’Eln, né i con classici cartelli“, rivela il dossier e lo stesso governo colombiano rivendica di aver messo al corrente le autorità europee e statunitensi, le quali hanno finora sottovalutato l’entità.
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