Trump a caccia di sottomarini

  • Postato il 13 aprile 2025
  • Di Panorama
  • 1 Visualizzazioni

Donald Trump non si limita a mettere in discussione la Nato. Da quando s’è insediato, lo scorso 20 gennaio, il presidente repubblicano ha iniziato a valutare il ritiro unilaterale anche dall’Aukus, l’accordo strategico avviato nel settembre 2021 dal suo predecessore Joe Biden, e siglato nel marzo 2023. Anche se poco conosciuto, quel trattato è cruciale perché impegna Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia (le cui tre sigle sono alla base del nome Aukus) a potenziare la cooperazione per contrastare lo strapotere della flotta militare cinese nel Pacifico orientale. 

Due anni fa, firmando l’Aukus, la Casa Bianca s’è posta un obiettivo fondamentale: trasformare in potenza nucleare la marina australiana, che è in prima linea contro la sempre più minacciosa macchina da guerra di Pechino. In gran parte top-secret, il trattato prevede che Washington fornisca al governo di Canberra una decina di sommergibili d’attacco a propulsione nucleare della classe «Virginia» – i più potenti mai prodotti negli Stati Uniti – e la creazione di nuove basi sottomarine super protette, mentre Londra in collaborazione con l’Australia dovrebbe avviare progettazione e varo di un altro centinaio di sottomarini nucleari, la nuova classe «Aukus». Nell’autunno 2023 il trattato, di durata ultradecennale e valutato 200-330 miliardi di dollari, era costato a Biden anche una crisi diplomatica con la Francia, costretta a ritirarsi da un suo accordo da 50 miliardi per la fornitura all’Australia di una decina di sommergibili. 

I Virginia, così chiamati perché costruiti nei cantieri di Newport News, in Virginia, sono colossali «sigari» d’acciaio, neri e lucidi, lunghi 115 metri per una stazza di 10 mila tonnellate. Dotati di 40 missili cruise e di 25 siluri, hanno 132 membri d’equipaggio e sono capaci di restare immersi per settimane, scivolando in perfetto silenzio a una velocità di 25 nodi, quasi 50 chilometri l’ora, a 800 metri di profondità. Per la loro fornitura, tra gennaio e febbraio, il governo australiano ha versato i primi 500 milioni di dollari. Poco dopo, però, è successo il patatrac. In marzo il viceministro americano della Difesa, Elbridge Colby, s’è detto «molto scettico» sul proseguimento dell’Aukus, perché la vendita dei Virginia all’Australia «potrebbe indebolire la marina statunitense» con «il rischio che i sommergibili non si trovino nel posto giusto al momento giusto». Il «posto» di cui parla il viceministro è a ridosso della Cina, a difesa di Taiwan; ed evidentemente il «momento», a suo avviso, non è molto lontano. In un’audizione alla commissione Difesa del Congresso, Colby ha parlato della «minaccia molto concreta di un conflitto nei prossimi anni», e ha aggiunto che «i nostri sommergibili d’attacco sono essenziali per rendere praticabile la difesa di Taiwan». Il Pentagono, insomma, ha scoperto di avere un disperato bisogno dei Virginia e non può più permettersi di venderli all’Australia. E Colby, attenzione, non è uno che parla a sproposito, visto che tra il 2016 e il 2019 era il consigliere militare personale di Trump.

Panorama ha scritto più volte che dal 2023 la flotta di Pechino supera la US Navy. È il divario continua a crescere: all’inizio del 2025 la marina cinese è di gran lunga la prima al mondo, con oltre 370 navi (tre delle quali portaerei, più una in costruzione e altre sei da qui al 2035), contro le 296 americane (11 le portaerei), che solo per la loro alta tecnologia garantiscono ancora una certa superiorità. Il problema è che le navi da guerra cinesi aumenteranno a 395 già alla fine del 2025, e saranno 435 nel 2030, mentre le navi americane, per via dei tagli di budget, continuano a diminuire e non vengono rimpiazzate. Già un anno fa la Heritage Foundation denunciava che la US Navy «non è in grado né di arrestare né d’invertire il suo declino (…) e anche il vantaggio tecnologico si sta riducendo rispetto a Cina e Russia». 

Un rapporto del Center for strategic and international studies (Csis) lo scorso dicembre ha descritto con toni più che preoccupanti l’incredibile corsa navale della Repubblica popolare. Sette navi da guerra cinesi su dieci sono state varate sotto la presidenza di Xi Jinping, quindi a partire dal 2012: sono nuove, insomma, mentre l’età media delle navi americane supera i 27 anni.  Il Csis aggiunge che Pechino ormai «ha surclassato gli Stati Uniti in tutta la cantieristica, sia civile sia militare», e stima che il rapporto tra le rispettive capacità produttive sia a un livello sconvolgente: 230 a 1. «Nel 2024», si legge nel rapporto, «la Cina ha raggiunto una capacità di varo pari a circa il 50 per cento della produzione globale, mentre la quota degli Stati Uniti è scesa allo 0,1».  La conclusione a cui giunge il Csis pare giustificare le peggiori inquietudini di Colby e di Trump: «L’enorme industria cantieristica della Cina già oggi fornirebbe un insuperabile vantaggio strategico in una guerra che andasse oltre le due-tre settimane, permettendole di riparare le navi danneggiate o di sostituirle molto più rapidamente rispetto agli Stati Uniti».  Per l’Aukus messo in forse, il governo australiano ha già iniziato a protestare. Ma pare che anche Elon Musk, a capo del Dipartimento per l’efficienza, sia scettico. 

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti