Tristezza, per favore vai via. Gesta di un cane intelligente

  • Postato il 14 giugno 2024
  • Di Il Foglio
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Tristezza, per favore vai via. Gesta di un cane intelligente

Ieri sera ero molto stanca, triste, arrabbiata, me la sono presa senza soddisfazione con i settantacinque minuti di ritardo del treno e alla stazione Termini ho sperato che qualcuno mi proponesse bisbigliando un taxi abusivo solo per litigarci, o almeno che qualcun altro provasse a sfilarmi il portafoglio, il telefono, o che mi dicesse qualcosa di offensivo. Purtroppo, niente: erano tutti gentilissimi, indifferenti, rispettosi della legalità, dei semafori e delle strisce pedonali anche alle undici di sera. Del resto la volta in cui mi hanno sfilato il telefono dalla tasca del cappotto avevo una faccia molto rilassata, era domenica, stavo pensando se provarmi o no un vestito, non cercavo una ragione per fare una rissa. Qualunque rapinatore anche occasionale deve avere un po’ di esperienza del genere umano, e l’esperienza gli sarà servita a dire: stiamo alla larga da questa pazza.
 

Una mia carissima amica aveva appena litigato con il fidanzato (chiaramente aveva ragione lei) e stava andando da sola a prendere il treno, furibonda, mi aveva scritto: ti chiamo dopo perché sono troppo arrabbiata. E aveva messo il telefono in tasca. A un certo punto, nella folla della stazione, ha sentito una specie di alleggerimento della tasca e qualcuno che le si appoggiava brevemente addosso. Una mano velocissima si era già infilata dentro la tasca e le aveva preso il telefono. La mia amica, da allora anche il mio idolo, ha afferrato il braccio attaccato a quella mano e l’ha storto gridando: non è giornata. Gli ha ficcato la mano in tasca e si è ripresa il telefono. Il tizio, vestito di tutto punto, occhiali da vista e trolley, è scappato terrorizzato. La polizia ha fatto i complimenti alla mia amica, il fidanzato le ha chiesto perdono (senza meritarlo, senza saperlo chiedere bene, e infatti non è stato perdonato) e insomma questa storia ha avuto un lieto fine per l’umore oltre che per il telefono, che ormai è come un essere vivente e provoca lancinanti sensi di colpa e di vuoto ogni volta che si rompe o si perde.

 

Invece io sono arrivata a casa ieri sera senza atti eroici (quelli proprio mai) e furti sventati, e pressoché certa che nessuno mi avrebbe chiesto: tu come stai. Infatti nessuno mi ha chiesto: tu come stai. Nessuno ha messo la canzone di Claudio Baglioni, nessuno in casa mia ascolta Claudio Baglioni tranne me. C’era una serie spagnola da guardare in spagnolo per l’esame di maturità, c’era il raffreddore da curare per un bagno a Ostia in mutande del giorno prima, c’era un documento perso nel delirio dei documenti, c’erano varie cose molto più urgenti e interessanti della mia faccia triste e attaccabrighe, e figuriamoci se non lo capisco.
 

Mi sono avvicinata al divano dicendo cose qualunque, il ritardo del treno, le raccomandazioni della nonna, troppe cicche nel posacenere, dov’è il libro che avevo messo proprio qui, cos’avete mangiato, quando due zampate sulle gambe mi hanno interrotto. Ho guardato in basso, verso il mio cane  basso che mi stava fissando con una faccia inequivocabile: tu come stai? Non l’aveva mai fatto: lui si è sempre limitato a guardarmi, non ha mai osato toccarmi prima che lo toccassi io. Ed essendo così basso, non sempre mi accorgo che mi sta guardando. Invece ieri sera era proprio:  me ne sono accorto. E io allora l’ho abbracciato, ringraziato, gli ho chiesto scusa, gli ho pianto un po’ sopra e poi gli ho detto: sto molto meglio, grazie Fix.

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Autore
Il Foglio

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