Trentini, il vicino di cella: “Torture anche agli occidentali. Ci davano medicinali per calmarci, ma Alberto è forte psicologicamente”

  • Postato il 23 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“È troppo dura da raccontare. Non lo capirete mai. Preferisco non parlarne”. Poche parole, scandite con dolore, quelle di Camilo Castro, il 41enne francese rilasciato lo scorso 15 novembre, anniversario di prigionia di Alberto Trentini, dal maxi-carcere El Rodeo I, dove si trova anche l’operatore umanitario di Lido Venezia. Ora è libero, ma una parte di sé è rimasta dietro le sbarre, con gli altri detenuti, compreso Trentini, che è stato il suo vicino di cella.

Lo si può notare al rientro all’aeroporto di Orly, visibilmente commosso, mentre evocava i valori dell’Illuminismo e della Repubblica francese – libertà, fraternità, uguaglianza –, evitando accuratamente di rispondere ai media presenti. “Non vuole dire niente che metta a repentaglio la vita di coloro che sono rimasti lì. Desidera invece lottare, anche nel silenzio, affinché tutti possano ottenere la liberazione”, dice Yves Gilbert, patrigno di Camilo, a Ilfattoquotidiano.it.

A parlarci è lui, Yves, compagno di Hélène Boursier, mamma di Camilo, professore di yoga, detenuto nella località di Paraguachón, al confine tra il Venezuela e la Colombia, lo scorso 26 giugno. “Per lui raccontare i mesi di prigionia significherebbe girare il coltello nella piaga”. La settimana post-rilascio è stata accompagnata da numerose richieste di contatto: dalla stampa ai familiari di altri prigionieri, ansiosi di ricevere informazioni utili sui congiunti ancora in cella. Yves spiega a Ilfatto.it che Camilo è rimasto “inquieto e scioccato” dopo la reclusione: “Era una persona stabile, aveva costruito la propria vita, ma la prigione gli ha tolto tutto. E ora deve ripartire da capo”.

Castro ha condiviso la dura esperienza della prigionia con Trentini, che era suo vicino di cella. Lo ha descritto come una persona “psicologicamente forte” e “capace di reggere anche sotto condizioni difficili”, grazie anche agli “anni dedicati al lavoro umanitario” nei Paesi del Sud del mondo. Il cooperante di Lido Venezia appare quindi come “una persona consapevole, capace di leggere il contesto in cui si trova”. Castro invece si è reso conto del pericolo che lo circondava una volta dietro le sbarre, precisa Yves, sottolineando che “i contatti fra i due erano quindi regolari, nonostante la differenza di carattere”.

Ai detenuti vengono inoltre distribuiti dei farmaci e la maggior parte tende ad abusarne. Il fine: mantenere la calma, nonostante tutto. Parlando a Ilfatto.it i familiari di Camilo smentiscono eventuali trattamenti di favore rivolti ai detenuti stranieri, sottoposti a condizioni detentive fatiscenti e a trattamenti inumani e degradanti. “L’essere europeo non mette a riparo da torture e botte”, spiega Hélène, attivista per i diritti umani.

Durante la prigionia di Camilo, Yves ed Hélène seguivano le notizie su Trentini: gli appelli a suo favore, le dichiarazioni della mamma, Armanda Colusso, e altre iniziative. Entrambi trattenuti dalle autorità venezuelane per motivi simili: “Loro sono innocenti. A Camilo dicevano che era stato arrestato in quanto ‘agente della Cia‘, ma sappiamo tutti che è stato arrestato per costringere il governo francese a trattare. Idem Alberto, arrestato perché italiano”. L’obiettivo: costringere Parigi e Roma a trattare pur di riaverli.

In seguito i familiari sono stati interpellati da Ilfatto.it sui movimenti diplomatici che hanno condotto al rilascio di Camilo. La svolta si è verificata dopo la presa di posizione del ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, intervenuto al G7 per condannare l’escalation Usa nei Caraibi e chiedere “il rispetto del diritto internazionale” nell’attuale controversia Usa-Venezuela. Queste dichiarazioni hanno sbloccato la mediazione di Colombia, Brasile e Messico che hanno ottenuto il rilascio di Camilo da parte di Palazzo di Miraflores. “Pur non conoscendo tutti i livelli della trattativa, in parte riservata, sappiamo che quel momento è stato decisivo per la scarcerazione di Camilo”, hanno sostenuto i familiari.

Caracas attende dichiarazioni simili, in ottica distensiva, da parte di Palazzo Chigi, chiariscono a Ilfattoquotidiano.it fonti vicine al dossier. Ma il governo Meloni mantiene la linea della fermezza, dettata in parte dalla subordinazione nei confronti di Washington. Lo percepiscono anche i familiari di Castro: “Meloni è fautrice di una posizione politica estrema che le impedisce di avvicinarsi a Maduro, come ha invece fatto la Francia in questi mesi, avvalendosi anche del Parlamento europeo”. In questi casi – chiosa Yves – la libertà di un cittadino “dipende esclusivamente dal suo governo”, il quale può beneficiare della fitta rete di collaborazione che “unisce le rappresentanze diplomatiche presenti a Caracas“.

Il rilascio di Camilo ha comportato anche la ‘liberazione’ di Yves ed Hélène, reduci da mesi di mobilitazione riconosciuti anche dalle autorità francesi. “Camilo non era un prigioniero politico. E nemmeno Alberto lo è. Entrambi sono stati presi perché estranei alla vita politica del Venezuela”, ha concluso Yves, commentando: “Anche María Corina Machado ci ha cercato in questi giorni, ma non abbiamo risposto. Sappiamo che è pro-Trump e non sta a noi schierarci fra un bando chavista o quello filostatunitense”.

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Il Fatto Quotidiano

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