Tre anni di guerra in Sudan, la denuncia di Medici Senza Frontiere: “Silenzio e negligenza internazionale per la crisi umanitaria più grande al mondo”

  • Postato il 15 aprile 2025
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Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi di Medici Senza Frontiere in Sudan

La guerra in Sudan entra nel suo terzo anno, ma a far rumore è ancora il silenzio e la negligenza internazionale di fronte alla crisi umanitaria più grande al mondo. Tredici milioni di persone, più dell’intera popolazione della Lombardia, sono state costrette a lasciare la propria casa. “La mattina dell’attacco ero a casa con mia madre malata. Siamo scappati con i miei figli, portandola su un carro trainato da un asino perché non poteva camminare. Quando eravamo vicini alla meta, ci siamo fermati per seppellirla” ci ha raccontato una nostra paziente.

Fosse su Marte, forse questo conflitto si seguirebbe con maggiore attenzione. Eppure, siamo di fronte a una guerra brutale, iniziata il 15 aprile 2023, combattuta da due eserciti, le Forze di Supporto Rapido (RSF) e le Forze Armate Sudanesi (SAF). Negli ultimi 2 anni, sia le RSF che le SAF, hanno bombardato ripetutamente e indiscriminatamente aree densamente popolate. Le RSF e i suoi alleati hanno portato avanti una campagna di violenze, fatta di stupri sistematici, rapimenti, uccisioni di massa, saccheggi di aiuti umanitari e occupazione di strutture mediche. Entrambe le parti hanno assediato città, distrutto infrastrutture civili essenziali e bloccato gli aiuti umanitari.

Secondo l’OMS, oltre il 70% delle strutture sanitarie nelle aree colpite dal conflitto sono a malapena funzionanti o sono completamente chiuse, lasciando milioni di persone senza accesso alle cure salvavita. Dall’inizio della guerra, Medici Senza Frontiere, che lavora in 10 dei 18 stati del paese e in oltre 33 strutture mediche, ha registrato oltre 80 episodi di violenza che hanno preso di mira il personale, le infrastrutture, i veicoli e le forniture mediche. Le cliniche sono state saccheggiate e distrutte, i medicinali rubati e gli operatori sanitari aggrediti, minacciati o uccisi.

Oltre alle bombe, ci sono focolai di morbillo, colera e difterite, che si stanno diffondendo a causa delle cattive condizioni di vita e delle campagne di vaccinazione interrotte. Anche la fame dilaga: la carestia si è diffusa in più di 10 aree, mentre in altre 17 regioni sono ora sull’orlo del baratro. Il Sudan è attualmente l’unico posto al mondo in cui la carestia è stata ufficialmente dichiarata in più luoghi del paese e, senza un intervento immediato, centinaia di migliaia di vite sono a rischio. Basta un dato per riassumere tutto questo: il 60% della popolazione (oltre 20 milioni di persone) ha bisogno di assistenza umanitaria.

Nei prossimi mesi, è probabile che la situazione, già catastrofica, peggiorerà. Prima del raccolto, l’insicurezza alimentare peggiora dato che le scorte di quello precedente finiscono. E con l’arrivo delle piogge, aumentano i contagi di malaria, mentre peggiorano le condizioni igienico-sanitarie col rischio che le alluvioni contaminano le fonti idriche, e come sempre i più vulnerabili ne pagheranno le conseguenze più dure. Oggi, più che mai, è necessario che si diano aiuti concreti alla popolazione, anche perché la risposta umanitaria è assolutamente inadeguata. Gli interventi di Medici Senza Frontiere dimostrano che rispondere ai bisogni umanitari in Sudan è possibile. Per fare questo, le parti in conflitto devono smettere di attaccare la propria popolazione, e con loro tutti i sudanesi che in questi due anni hanno sfidato i pericoli più grossi per prestare soccorso alla propria gente. Proprio in questi giorni i nuovi attacchi al campo per sfollati di Zamzam hanno tra le vittime anche medici e infermieri. Tutto questo deve finire. Basta anche con l’epoca degli annunci: il Sudan ha bisogno di rispose concrete. La popolazione ha sopportato questo orrore per 2 anni, e non può e non dovrebbe aspettare oltre.

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