Tra Inzaghi e Gasperini non potrà mai esserci la noia 

  • Postato il 15 marzo 2025
  • Di Il Foglio
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Tra Inzaghi e Gasperini non potrà mai esserci la noia 

Il 21 agosto del 2016, nel clima generalmente sereno che accompagna la prima giornata di campionato, Gian Piero Gasperini e Simone Inzaghi incrociarono per la prima volta lo sguardo da panchina a panchina. Già veterano e abituato ai campi di Serie A il primo, sostanzialmente un debuttante il secondo, catapultato alla guida della Lazio dopo il pasticciaccio Bielsa e una parentesi brevissima al termine della stagione precedente. Fu una deflagrazione: Lazio avanti di tre gol alla mezz’ora, furioso tentativo di rimonta dell’Atalanta nella ripresa, finale scoppiettante per un 3-4 che fece sorridere i biancocelesti. Nelle rose dei due tecnici, nello scontro scudetto che promette di accendere il finale di campionato ci saranno due superstiti di quella notte bergamasca: da una parte Rafael Toloi, ormai bandiera dell’Atalanta, e dall’altra Stefan de Vrij, che Inzaghi ha ritrovato all’Inter dopo averlo allenato alla Lazio.

 

                 

 

Quella tra Gasperini e Inzaghi è una delle rivalità più accese degli ultimi dieci anni di Serie A, contraddistinta da partite rocambolesche e gol spettacolari: un 3-3 a Bergamo nel dicembre 2017 con Ilicic e Milinkovic-Savic in evidenza, un altro 3-3 all’Olimpico con la Dea in vantaggio 0-3 all’intervallo prima della clamorosa rimonta, l’Atalanta che al ritorno dallo stop del campionato per il Covid ricambiò il favore ribaltando la Lazio, andata avanti 0-2 nella sfida che fu una doccia gelata sulle ambizioni tricolori della banda Inzaghi. In mezzo, soprattutto, la bufera generata dalla finale di Coppa Italia del 2019: un mani in area di Bastos non sanzionato che a distanza di anni torna perennemente nei discorsi di Gasperini, la vittoria laziale nel finale con una capocciata del solito Milinkovic-Savic e la firma in pieno recupero di un altro pretoriano di Inzaghi, el Tucu Correa.

Si sono inseguiti e sfidati a lungo, hanno fatto la corte l’uno ai giocatori dell’altro, senza mai rinunciare alla volontà di dare spettacolo. Hanno vinto in Italia e in Europa, hanno segnato il nostro calcio con principi di gioco diversi eppure entrambi votati allo spettacolo: la noia, in quelle sfide, non è mai stato un tema di dibattito. E non sono mancati gli episodi spinosi, come la festa laziale post Coppa Italia e Claudio Lotito che, ignaro di uno smartphone in agguato, si avvicinò al suo tecnico vantandosi di aver mandato a quel paese Gasperini, ricevendo come risposta un lapidario: “Hai fatto bene”. Lo strascico di quella coppa durò a lungo: due anni più tardi, dopo una sconfitta interna contro l’ormai storico nemico, Gasperini si lasciò andare alla stilettata: “Abbiamo perso ma non siamo mai stati in difficoltà. E di solito in classifica chiudono dietro di noi”. A rispondere fu il vice di Inzaghi, Farris: “Gasperini sarà nervoso, parla sempre di quella Coppa Italia, forse sono rimasti segnati da quella sconfitta: gli ricordo che la coppa è esposta bene in bacheca a Formello”. 

Da quando Inzaghi è all’Inter, però, quella che era stata una sfida tra pari è diventata, per Gasperini, una montagna da scalare. Nove scontri tra campionato, Coppa Italia e Supercoppa, due pareggi iniziali e poi sette vittorie degli attuali campioni d’Italia. La pazienza e la capacità di lettura delle situazioni della formazione interista hanno sempre avuto la meglio, esponendo la difesa aggressiva a uomo delle varie versioni dell’Atalanta a figuracce terribili al momento di attaccare lo spazio. Una croce per uno come Gasperini, che nell’Inter ha da sempre il suo punto debole: il ricordo di un fallimento che quasi non riuscì a toccare con mano, tanto fu breve la sua esperienza alla guida del club interista. Quasi per uno scherzo del destino, è stato un altro nerazzurro a dargli la gloria.

Inter 61, Atalanta 58: questo recita oggi la classifica, col Napoli pronto ad approfittarne a quota 60, e la sagoma di Antonio Conte sullo sfondo è proprio quello che un allenatore non vorrebbe vedere mai. È un responso numerico che lascia persino qualche rammarico alla Dea, frenata da due scellerati pareggi interni con Cagliari e Venezia. Ma Lookman e compagni hanno ritrovato uno slancio impressionante dopo la dimostrazione di forza dello Stadium, quattro gol che hanno spazzato via ogni residua ipotesi di rimonta juventina e hanno dato certezze a una squadra che nel 2025 non ha avuto praticamente nulla da Charles De Ketelaere, non a caso finito in panchina nel big match.

Gasperini punterà sul fattore campo e sulle gambe più fresche, Inzaghi dovrà far leva sulla voglia di confermarsi dei suoi campioni: con il Feyenoord avrebbe voluto dosare ancor di più le forze, ma lo stop imprevisto di de Vrij ha costretto Acerbi agli straordinari mentre Thuram ha stretto i denti per consentire un turno di riposo al compagno di reparto Lautaro Martínez, uno che con l’Atalanta va spesso a segno ma quest’anno nei big match è stato sinistramente avvezzo alla scena muta. Lo scudetto non passa soltanto da Bergamo, ma sarà senz’altro un passaggio cruciale del film del campionato, la scena madre che arriva quando la fine è ancora lontana e può dare un senso a tutti gli indizi lasciati per strada in precedenza. E viene difficile aggrapparsi ai precedenti stagionali: un 4-0 senza appello a San Siro con l’Atalanta ancora in fase di costruzione sul mercato, il 2-0 di Riad sul quale pesarono in maniera evidente le scelte di formazione di Gasperini, votate al turnover. Sarà l’episodio numero 22 di una rivalità d’altri tempi, da sport individuale più che di squadra. Certamente, rischia di essere quello più pesante.
 

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Autore
Il Foglio

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