Torna il Festival dell’Economia Critica. Per scongiurare il trumpismo, tassare i super ricchi e dare la sveglia ai progressisti

  • Postato il 8 ottobre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il 10 e 11 ottobre a Milano la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ospiterà la seconda edizione del Festival dell’Economia Critica. Due giorni, 20 incontri e 70 ospiti internazionali “per interrogarsi – scrivono gli organizzatori – sullo stato del capitalismo e ripensare il ruolo dello Stato a favore di un’economia che sia realmente nell’interesse di tutte e tutti” (qui il programma). A curare l’evento è l’economista Emanuele Felice, docente di Storia economica all’Università IULM di Milano, già responsabile Economia del Partito democratico e autore del libro ‘Manifesto per un’altra economia e un’altra politica‘ (Feltrinelli, 2025) in cui, tra l’altro, ragiona di come “restituire alla politica democratica il suo primato per governare lo sviluppo economico e tecnologico” spiega al Fatto Quotidiano. La sfida? Quella al centro del Festival: costruire un’economia equa, sostenibile e orientata al benessere collettivo.

Emanuele Felice, non è questo il migliore dei mondi possibili?
Non so se il nostro obiettivo sia cercare il migliore dei modi possibili. Quello che noi dovremmo cercare di fare è migliorare il mondo e penso che l’ideologia di un sistema capitalista lasciato a sé stesso, che governa la politica e l’etica, non faccia migliorare il mondo, ma lo faccia peggiorare. Dall’aumento delle disuguaglianze alla riduzione dei diritti sociali. Dalla crisi climatica ambientale al crollo dell’ordine internazionale fondato sullo stato di diritto. Infine, la crisi del dibattito pubblico, ridotto a un approccio superficiale, fazioso e di corto respiro.

Lei ha spesso l’occasione di parlarne in pubblico: quanto sono comprese queste tematiche?
Sono comprese, ma si tratta di spiegare le cose. Spiego appunto che c’è una classe di multimiliardari che oggi paga in media meno tasse degli altri, la cui fetta di ricchezza cresce sempre di più e che non crea ricchezza perché punta sulla rendita e sulla speculazione. Quanto alle soluzioni, anche nel mio libro distinguo, diciamo così, tra un programma massimo e un programma più immediato.

Nel suo Manifesto si parla anche di una tassa del 10% sui grandi patrimoni per istituire un’eredità universale fino a 80mila euro per ogni persona che compie 25 anni, e aliquote fino al 90% sui redditi mille volte più alti della media.
È ciò che intendo per programma massimo, nel quale aver presente l’obiettivo di una società più giusta come spinta ideale e orizzonte culturale, e dunque la necessità di un dialogo globale con la Cina, con le potenze del mondo emergente, per ricostruire un ordine internazionale. Quelle citate non sono imposte che un singolo Stato può adottare, né l’Unione europea. Sono cose da fare a livello internazionale dopo che si saranno ricostruite le condizioni per siglare un accordo globale volto alla riduzione delle disuguaglianze e alla salvezza dell’ambiente.

Nel frattempo?
Nel frattempo si può puntare a una patrimoniale dell’1% a livello nazionale.

Potendo approvare una delle riforme che propone, quale sceglierebbe per urgenza?
Introdurrei la tassazione progressiva delle rendite da capitale e da immobili, oggi tassati in maniera piatta, uniformandola alla tassazione sul reddito. Qualcosa da mettere in finanziaria, da utilizzare per investire nel welfare, in beni pubblici.

Quale contributo intendete offrire a queste tematiche con la seconda edizione del Festival?
A livello internazionale c’è già un ampio dibattito per orientare l’economia alla riduzione delle disuguaglianze, alla salvaguardia dell’ambiente e alla tutela dei diritti delle persone, dei diritti civili e politici che sono legati allo sviluppo tecnologico. Vogliamo spiegare che è possibile governare lo sviluppo economico con una serie di proposte, che esiste un’alternativa alla competizione muscolare di Trump fondata solo su interessi nazionali contrapposti, e che sarebbe a vantaggio di tutti.

Vede un pericolo Trump anche per l’Europa?
L’idea mi frullava in testa già da anni, ma l’impulso a scrivere il Manifesto è venuto proprio dal desiderio di contribuire, con una battaglia culturale, a evitare che l’Europa facesse la fine degli Stati Uniti e che la sinistra europea facesse la fine dei democratici americani. Perché in parte quel pericolo si sta già realizzando. Meno in Spagna e forse anche in Italia, ma sicuramente in Germania e in Inghilterra, che aprono la via all’estrema destra.

Le più grandi aziende al mondo hanno abbracciato il trumpismo, come si fa?
Il punto è proprio la debolezza della classe politica rispetto al capitalismo tecno-finanziario. Da un lato serve una battaglia culturale nella società, che faccia capire che i temi come disuguaglianza e ambiente, per esempio, sono connessi, e costruisca un orizzonte di cambiamento in grado di mobilitare, al di là degli interessi immediati, un’appartenenza ideale al campo progressista.

Dall’altro?
Alcune regole come il sistema proporzionale e il finanziamento pubblico ai partiti in cambio di trasparenza e democraticità interna, per favorire l’adesione in virtù degli ideali e restituire alla politica forza e indipendenza dai poteri economici. Al contrario, abbiamo impoverito lo spazio pubblico sia sul piano economico che culturale e il risultato è che la democrazia si è svuotata e oggi tante persone non vanno a votare o votano spesso per forze che non hanno a cuore la cosiddetta democrazia liberale, quella che garantisce i diritti umani.

Le opposizioni in Italia le sembrano sufficientemente coscienti, preparate, reattive?
Mi pare che la direzione sia quella giusta, ma per dire perché è meglio votare per le opposizioni serve delineare un chiaro programma, spiegando agli italiani che l’Italia è uno dei paesi più colpiti dalla crisi climatica e che la destra non fa quasi nulla per contrastarlo. Bisogna spiegare agli italiani come le disuguaglianze profonde siano anche un freno alla crescita e che l’Italia cresce poco perché investe poco nei beni pubblici. Insomma, condividere qualche battaglia spot è un passo avanti rispetto al 2022, ma serve uno sforzo di sintesi e di orizzonte comune per delineare a una visione di paese.

A proposito di orizzonte comune, cosa pensa delle piazze per Gaza dei giorni scorsi?
Dimostrano appunto che la voglia di mobilitazione è forte e non si riduce all’immediato interesse personale, ma si nutre anche di grandi ideali. In un mondo e in particolare in un occidente dove i grandi ideali vengono distrutti, questa partecipazione indica invece una strada chiara per il campo progressista, compresa quindi la costruzione di un’idealità. Che penso debba avere al centro la convinzione che l’economia vada governata e cambiata per ridurre le disuguaglianze e salvare l’ambiente, anche nel diretto interesse dell’Italia. C’è voglia di partecipare e di impegnarsi per il bene comune, ma ci sono anche tante idee e di quelle parleremo al Festival.

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Il Fatto Quotidiano

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