Tor Vergata, Women in Surgery contro Sica: “L’aggressione in sala operatoria non va normalizzata, la violenza non è un diritto”
- Postato il 28 giugno 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Tra i balbettii della corporazione medica, le assoluzioni sommarie e la retorica del chirurgo che interviene “con durezza” alla faccia del “politicamente corretto”, arriva finalmente una parola semplice, chiara: “Piena solidarietà alla collega per l’aggressione verbale e fisica avvenuta in sala operatoria presso il Policlinico Universitario di Tor Vergata”, ci scrive a nome di Women in Surgery Italia Daniela Rega, capo della chirurgia colonrettale al Pascale di Napoli e dal 2023 presidente dell’associazione. Riunisce oltre 300 chirurghe in tutto il Paese che si battono contro molestie e discriminazioni di genere in un settore ancora molto maschile.
Il caso ormai è noto, risale al 6 giugno e il Fatto ne ha dato notizia il 21. Rega dal primo giorno supporta la dottoressa Marzia Franceschilli, 37 anni, che ha denunciato l’intoccabile professor Giuseppe Sica, 60, ordinario di Chirurgia nella seconda università pubblica romana, suo maestro – per averle rifilato un pugno alla nuca, una raffica di insulti come “imbecille, vergognati” registrati con un telefonino e per averla allontanata in malo modo dalla camera operatoria, davanti a tutti, nel pieno di un intervento in cui il prof manovrava il robot dalla consolle e la dottoressa lo coadiuvava, a contatto con il paziente.
Il 27 giugno i “Garanti” del Policlinico e dell’Università hanno assolto Sica, in sostanza non hanno creduto alla dottoressa e a tre testimoni che hanno visto il pugno. Soprattutto non hanno creduto al referto di Pronto soccorso dove si legge 15 giorni di prognosi per una “tumefazione in regione parietale sinistra” dovuta a una riferita “aggressione da persona nota in orario di servizio”: è come se mezza équipe e i medici del Ps si fossero accordati per accusare un potente come Sica. La Regione Lazio avrebbe voluto almeno sospenderlo ed è entrata in conflitto con l’Ateneo, ora vedremo cosa farà il rettore Nathan Levialdi Ghiron, successore di Orazio Schillaci quando è stato chiamato a fare il ministro della Salute. C’è un’indagine giudiziaria perché Franceschilli ha sporto querela per lesioni e violenza privata con l’avvocato Simone Palombi. Anzi sono due perché hanno fatto una denuncia anche i parenti del paziente che era sotto i ferri, ed è morto. Il Policlinico Tor Vergata (Ptv) all’inizio ha provato a nascondere pure il decesso, se non è “omertà” come dice il presidente della Regione Francesco Rocca c’è per lo meno molta opacità. Naturalmente non ci sono elementi per collegare il decesso alla lite.
“Al di là dei dettagli specifici del caso – che spetta agli organi competenti chiarire – ciò che più ci allarma è la narrazione che tende a normalizzare certi comportamenti come parte della ‘tensione chirurgica’, come se alzare la voce o aggredire verbalmente e fisicamente fosse un diritto collegato alla tutela del paziente”, scrive la dottoressa Rega per Woman in Surgery (Wis). “Noi riteniamo l’opposto: un ambiente aggressivo, umiliante e dominato dalla paura compromette la lucidità, la concentrazione e la collaborazione tra operatori. È questo, semmai, a mettere in pericolo la sicurezza del paziente”. E invita non “sottovalutare questi episodi, riducendoli a ‘incomprensioni tra colleghi’ o a ‘reazioni sotto stress’”, perché “non si tratta di delicatezza femminile, né di carattere: si tratta di rispetto, di sicurezza, di cultura del lavoro”. L’associazione ritiene “ancora più preoccupante che il comportamento contestato riguardi una figura accademica e formativa, che ha anche il compito di trasmettere i principi di deontologia professionale alle nuove generazioni. È un messaggio devastante per gli specializzandi, le specializzande”, presenti in gran numero anche quel giorno in sala operatoria.
Rega risponde con decisione a Sica, che con il Fatto ha negato l’aggressione fisica, con alcuni colleghi sembra aver ammesso un contatto non violento, chi dice “involontario, con il braccio” e chi “con le nocche, per richiamare l’attenzione” della sua assistente. Ha chiesto invece scusa per gli insulti, ma si è anche giustificato: “La sala operatoria è un teatro: un atto unico, irripetibile. È il fronte dove si combatte davvero tra la vita e la morte – ha scritto domenica scorsa in una nota in cui sorvola amabilmente sui fatti di cui è accusato – Se percepisco un rischio concreto per il paziente, è mio dovere reagire. Sì, anche con fermezza. Sì, anche con durezza”. E ha invocato lo “stato di necessità” che è “un’esimente assoluta. In quei momenti – sostiene – si fa ciò che serve per salvare una vita. Non vorrei qualcuno che tace per paura della gogna mediatica o del politicamente corretto”. E’ un’immagine d’altri tempi, “quando in sala operatoria ti prendevano pure a bisturate” dice un chirurgo appena più giovane di Sica. Il quale mette in dubbio perfino il referto, come se ci fosse una policy favorevole alle donne: “Al Ptv per riferita aggressione ad una donna da direttiva danno 18 giorni – ci ha scritto – Per ottenere vantaggi Inps o altro”. Un’accusa clamorosa visto che proviene da un primario in servizio. E per il resto: “Non ho dato un pugno, verrà fuori quando saranno giudici e avvocati a far domande. Se vengo assolto la Franceschilli dovrà risarcirmi per il resto della vita. Una follia”.
Le chirurghe di Wis Italia si rivolgono soprattutto ai loro colleghi. L’associazione informa di aver “inviato una lettera formale al Collegio dei Docenti Ordinari di Chirurgia Generale, chiedendo una presa di posizione chiara, coerente con i principi etici condivisi dalla comunità accademica e professionale”. Vorrebbero stanare il ristretto club dei professori di prima fascia della materia di cui ovviamente fa parte anche Sica: “Colgo lo stimolo, per il momento c’è un dibattito informale, ma seguiamo con preoccupazione, non conosco bene l’accaduto, non sapevo ci fosse un referto di Pronto soccorso, ma non credo che il Collegio possa esprimere supporto al collega, semmai disappunto, perché l’episodio non fa onore ai chirurghi, specie universitari. Ma noi ci riuniamo a ottobre”, dice al Fatto il professor Annibale Donini, ordinario a Perugia, che presiede l’organismo. “Questo non è un episodio marginale – scrive ancora Rega -. E non può essere ridotto a una questione privata”, che poi era la prima difesa di Sica. “È un fatto pubblico che chiama in causa la credibilità delle nostre istituzioni”.
Le istituzioni non hanno fatto una gran figura, non solo quelle sanitario-accademiche di Tor Vergata, anche le Società di Chirurgia. Tacciono pure i sindacati su quella che, dopo tutto, è una denuncia di aggressione sul lavoro da parte di un primario maschio ai danni di un medico donna, in posizione subordinata. Poi c’è chi guarda il dito invece della luna e si concentra sul telefonino che ha registrato gli insulti e “non doveva essere in sala operatoria”, almeno secondo il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, mentre decine di chirurghi sostengono invece che “gli smartphone in sala operatoria entrano eccome, anche perché servono a comunicare con la caposala o a trasmettere o ricevere immagini tac o d’altro genere, o un esame istologico”, basta che a usarli non siano gli operatori “lavati”, come si dice in gergo, ovvero sterili. Cosa che qui non pare sia successa. E’ un po’ come a Palermo, dove il problema, diceva uno bravo, “è il traffico”.
Il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca è stato molto duro, ha detto che Sica “non deve più entrare in sala operatoria”, ha parlato di “omertà e paura” a Tor Vergata e sta per nominare un nuovo commissario, Ferdinando Romano che viene dall’Abruzzo, dopo aver liquidato Isabella Mastrobuono, gradita all’Ateneo: fatale il disastro del Pronto soccorso documentato da più ispezioni e da Report. Al Fatto la notizia dell’aggressione di Sica è arrivata dopo quindici giorni da più fonti che temevano “un insabbiamento” e non avevano tutti i torti vista poi la decisione dei “Garanti”. Molti attribuiscono a Sica altre intemperanze, la stessa dottoressa Franceschilli sarebbe stata “strattonata” in un’altra occasione, quasi tutti dicono di Sica “ottimo chirurgo ma ha un brutto carattere” e potrebbero emergere altri episodi. Senza contare che il reparto, l’ha scritto Repubblica, non ha numeri eccezionali per un Policlinico universitario e ha visto negli anni la fuga di diversi chirurghi, proprio mentre Sica ascendeva al trono.
Certi incidenti accadono nelle migliori famiglie, anche altrove: “Ma certo, purtroppo questo succede nella chirurgia ed è questo che combattiamo. Nessuno si può permettere di insultare una collega e tanto meno di menarla – osserva Gaya Spolverato, prof associata e primario all’ospedale universitario di Padova, fondatrice di Women in Surgery Italia -. Negli Stati Uniti ti sospendono anche solo se alzi la voce in sala operatoria”.
Nella sanità pubblica alla fine del 2022 c’erano 58 mila medici donne e 54 mila uomini, ma nelle chirurgie la proporzione è ben più che invertita: 1.900 donne in Chirurgia generale contro 4.500 uomini, 30 a 70. La distanza si allarga a dismisura nelle fasce d’età più avanzate e nei ruoli apicali. “Numeri preoccupanti, li conosco bene, il mio aiuto è una donna – dice il professor Donini – C’è il problema di conciliare la carriera con la famiglia e i figli, c’è il problema culturale del paziente che spesso nel ruolo del chirurgo ancora vede più un uomo che una donna”.
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